Personale

Non rileva l'utilità delle prestazioni svolte se il rapporto di lavoro si è costituito a titolo di dolo

Viene meno il rapporto sinallagmatico tra prestazione e retribuzione in mancanza dei requisiti lavorativi

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di Claudio Carbone

Viene meno il rapporto sinallagmatico tra prestazione e retribuzione in mancanza dei requisiti lavorativi. Il conseguente danno erariale deve essere quantificato sulla base di tutte le retribuzioni lorde maturate e corrisposte. Non trova applicazione l'articolo 2126 del codice civile, che tutela il lavoratore per il periodo in cui il rapporto lavorativo ha avuto esecuzione sulla base di un contratto di lavoro nullo o annullabile, poiché la stessa disposizione non ammette detta tutela nell'ipotesi in cui «la nullità derivi dall'illiceità dell'oggetto o della causa». Sono questi i principi fissati dalla Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Lombardia, con la sentenza n. 214/2022.

La prestazione lavorativa resa in assenza di laurea, in particolare, in quanto non espressione di capacità derivante dalla preparazione professionale conseguita con un regolare percorso di studio, non arreca all'ente alcuna utilità, se non limitatamente al disbrigo di mansioni lavorative aventi caratteristiche di genericità e fungibilità, quali non sono quelle conferite e per le quali era richiesto il diploma di laurea. In tali casi, infatti, il sinallagma tra prestazione e retribuzione deve considerarsi irrimediabilmente ed integralmente mancante in quanto l'assenza dei titoli culturali e professionali richiesti preclude in partenza ogni possibilità di valutazione dell'utilità delle prestazioni svolte, avendo, in ogni caso, privato il datore di lavoro pubblico della possibilità di avvalersi di altro soggetto che, in possesso dei titoli richiesti, avrebbe senz'altro rappresentato una scelta più efficace ed efficiente. La produzione di documentazione falsificata per l'accesso al posto messo a concorso, inoltre, determina una forma di occultamento doloso del danno, avendo lo scopo di ingannare l‘Amministrazione circa il possesso del titolo richiesto, con conseguente differimento del dies a quo del termine prescrizionale al momento della scoperta dell'occultamento medesimo.

La vicenda all'esame del Giudice contabile trae origine dall'azione del Procuratore regionale per far valere la responsabilità nei confronti di un dipendente per un danno arrecato al Comune a titolo di dolo, per effetto delle retribuzioni fraudolentemente percepite in forza di rapporto di lavoro costituito a seguito di falsa certificazione del possesso di diploma di laurea richiesto dal relativo bando di concorso pubblico. In sede di invito a dedurre è stato accertato: l'antigiuridicità della condotta costituita dalla falsificazione del titolo di laurea; la sussistenza del nesso causale tra condotta illecita e danno; che la falsa dichiarazione del titolo di laurea ha avuto incidenza causale non solo sulla costituzione del rapporto di lavoro, ma su tutti i progressi curriculari successivi; che il danno è imputabile esclusivamente al convenuto, non risultando apporti causali di soggetti terzi; che il danno deve essere quantificato in misura pari al trattamento economico retributivo correlato al rapporto di lavoro intrattenuto con il Comune; che non può valorizzarsi, al fine di elidere o ridurre il suddetto danno, alcuna utilità conseguente all'attività lavorativa svolta, poiché l'illiceità rende ex se disutile la prestazione lavorativa e preclude in radice l'applicazione della disciplina ex articolo 1, comma 1-bis, della legge 20/1994 in tema di valutazione dei vantaggi conseguiti.

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