Amministratori

Nuova valutazione della Pa, tra illogici requisiti degli Oiv e relazioni sindacali del passato

di Giovanni Urbani

La valutazione delle performance della Pa (sarebbe corretto usare il plurale perché è concetto multidimensionale), dopo oltre sette anni dal Dlgs 150/2009, è in attesa di avere una nuova dimensione attuativa con la riforma in atto. Ci sono però rischi e alcune incongruenze nel nuovo disegno globale, come forse era possibile aspettarsi mettendo mano a una materia così complessa.
Il primo rischio all'orizzonte, rispetto alla Legge Madia è un notevole approccio centralistico rispetto al quale si auspicano modifiche significative e autonomia spinta per Regioni ed enti locali.

Relazioni sindacali
Il secondo rischio, di fortissimo impatto sul sistema Pa, è il ripristino del regime di relazioni collettive nel pubblico impiego antecedente al congelamento delle medesime avvenuto nel 2009, attraverso l'attribuzione alla contrattazione collettiva nazionale di un ruolo prevalente sulla legge e alla contrattazione collettiva decentrata di un ruolo prevalente sul potere organizzativo del datore di lavoro pubblico. Questa restaurazione (di fatto) costituisce diretta esecuzione dell'accordo stipulato velocemente tra il Ministro Madia e i grandi sindacati del pubblico impiego prima del referendum costituzionale e per motivi che si evitano in questa sede, ma erano ben chiari. A breve, l'eliminazione della previsione per cui, in sede di contrattazione decentrata, se non si raggiungeva un accordo entro quindici giorni l'amministrazione poteva comunque procedere ai cambiamenti necessari; questo significa ritornare alla subordinazione del potere organizzativo dell'amministrazione all'assenso preventivo e obbligatorio delle organizzazioni sindacali interne. Insieme al maggior potere riconosciuto ai contratti collettivi nazionali, ciò significa resettare un diritto di veto sindacale su organizzazione del lavoro e valutazione delle performance.

L’elenco degli Oiv
Ci sono poi una serie di incongruenze della norma negli atti ministeriali degli ultimi mesi davvero singolari, a iniziare dall'elenco nazionale degli Oiv come previsto dall'articolo 6 del Dpr 105/2016, che si applica esclusivamente allo Stato. Tra i requisiti che dovrebbero avere gli Oiv ci sono quelli di integrità – dell'articolo 2, con alcune cause di esclusione omesse e altre almeno illogiche (e da modificare). Tra le omissioni, non è stata riproposta la precedente coerente previsione CiVIT di esclusione per coloro che hanno rivestito, nei tre anni precedenti all'iscrizione dell'elenco nazionale degli Oiv, incarichi pubblici elettivi, incarichi apicali in partiti politici o organizzazioni sindacali. Invece, tra le cause di esclusione incomprensibili, almeno a livello temporale, la più macroscopica è quella di aver maturato una sanzione disciplinare (superiore alla censura) nella pubblica amministrazione. Si impedisce l'iscrizione all'elenco a chi ha subito sanzioni amministrative di «lieve entità» (ad esempio, una sanzione di 100 euro comminata per mancato controllo dei propri dipendenti magari 10 anni prima), consentendo, per contro, l'iscrizione all'elenco a chi abbia subito «condanne penali», a pene anche rilevanti, per comportamenti che certamente offendono la sensibilità morale: falso, furto, bancarotta fraudolenta, truffa, lesioni personali, omicidio colposo, eccetera. Infatti, l'assenza di condanne penali, prevista nei requisiti dell'elenco, è solamente per una doppia tipologia di reato specifico: reato commesso da pubblico ufficiale contro la pubblica amministrazione e per danno erariale. È davvero insensato come sia possibile l'esclusione per i soggetti che hanno riportato una sanzione amministrativa lieve, senza termini specifici di estinzione (ad esempio, 2, 3, 5 anni), e al contrario si possano iscrivere come «OIV ufficiali» dei soggetti con condotta morale assolutamente negativa e perfino condannati penalmente per reati molto gravi. Un marcato errore che dovrebbe essere sanato e, necessariamente, subito. Ci sono comunque scuole di pensiero di amministrativisti (anche autorevoli), non confortate al momento da chiarimenti del Dipartimento della Funzione pubblica, che vedrebbero superato l'assurdo sbarramento all'elenco nazionale per sanzione disciplinare lieve, richiamandosi allo Statuto dei Lavoratori. Infatti, la legge 300/1970, all'articolo 7, stabilisce che «non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione». Da questa lettura, trascorsi due anni dall'irrogazione della sanzione amministrativa, il soggetto della Pa potrebbe iscriversi o re-iscriversi nell'elenco nazionale degli Oiv.
Un ultimo appunto, a proposito di incongruenze, è doveroso sui limiti previsti per l'appartenenza a più Oiv di uno stesso soggetto, contro gli indirizzi europei e con finalità insostenibili, in quanto si contrasta il diritto di operare liberamente alla comunità dei valutatori che sono professionisti “indipendenti”. Si ricorda che prima dell'istituzione dell'elenco, il reclutamento dei valutatori era operato dagli organi politici statali e locali con discrezionalità, in assenza di requisiti di professionalità specificamente versati nel campo metodologico-disciplinare della valutazione. L'indipendenza deve essere diffusa, come la cultura della valutazione, ogni limite arbitrario è sbagliato.
In conclusione, un passo avanti rispetto la Riforma Brunetta, nella valutazione delle performance della Pa, sarà possibile solo eliminando queste strozzature. Ad ogni modo, in generale, le politiche degli ultimi anni sembrano mettere in discussione positivamente gli strumenti utilizzati per valutare il funzionamento della cosa pubblica.

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