Partecipate, dal Consiglio di Stato via libera ai diritti di prelazione nello Statuto
Le clausole preservano per quanto possibile l'assetto della compagine sociale e l'interesse pubblico
Gli statuti delle società partecipate possono contenere clausole di prelazione esercitabili dai soci pubblici e privati, finalizzate a tutelare l'interesse pubblico perseguito con il modulo societario. Il Consiglio di Stato, sezione V, con la sentenza n. 6222/2020, ha chiarito la funzione delle clausole di prelazione che stabiliscono il diritto esercitabile dai soci pubblici e i criteri per la determinazione del prezzo delle azioni o delle quote (per questo definito come "improprie"), delineando il percorso per l'applicazione della facoltà data dal comma 2 dell'articolo 10 del Dlgs 175/2016. Proprio questa disposizione, infatti, inserisce nel processo di alienazione delle partecipazioni la possibilità di garantire il diritto di prelazione dei soci, quando eventualmente previsto dalla legge o dallo statuto. Pertanto è un dato normativo di rango legislativo che stabilisce che anche in ipotesi di società a partecipazione pubblica, la libera circolazione delle partecipazioni può essere limitata dall'autonomia privata mediante clausole di prelazione.
I giudici amministrativi chiariscono che le clausole di prelazione previste dagli statuti societari rispondono all'interesse dei soci a conservare omogenea e inalterata la compagine sociale nell'ipotesi in cui un socio decida la dismissione della propria partecipazione (o di una sua parte), condizionando così l'ingresso di terzi e preservando i reciproci rapporti interni.
Il Consiglio di Stato evidenzia però che quando la clausola di prelazione figura nello statuto di una società a partecipazione pubblica, pone, tuttavia, una barriera protettiva non soltanto all'ingresso dei terzi estranei, come è per una società di diritto comune, ma anche, per quanto indirettamente, all'ingresso di un interesse estraneo e potenzialmente confliggente con gli interessi pubblici perseguiti con tale mezzo dai soci pubblici e sintetizzati nella costituzione della società e nella partecipazione pubblica ad essa quale strumento indiretto per realizzare obiettivi di interesse pubblico
La tutela dell'interesse pubblico potrebbe essere esposta a rischi se il prezzo e le condizioni della prelazione fossero rimesse al mercato ovvero a una procedura d'asta aperta alle offerte private. In una tale situazione, i soci pubblici infatti si troverebbero nell'evidente difficoltà di dover finanziariamente competere con investitori privati, naturalmente orientati al lucro e non alla cura di interessi pubblici, e a tal fine sarebbero chiamati a significativi esborsi di denaro pubblico per risultare vincitori nella contesa al fine di mantenere l'originario equilibrio tra pubblico e privato.
Al fine di prevenire queste situazioni critiche, negli statuti di società partecipate da amministrazioni pubbliche possono quindi essere introdotte clausole di prelazione improprie, nelle quali la fissazione del prezzo avviene sulla base di criteri predeterminati.
Nel caso di società a partecipazione pubblica, queste clausole evidenziano come l'interesse del socio alienante al maggior ricavo sia naturalmente recessivo rispetto a quello alla preservazione dell'equilibrio tra pubblico e privato nell'assetto societario: in quale è riflesso dell'articolazione di interessi pubblici rispetto alla prestazione del servizio a opera della società.
Il Consiglio di Stato chiarisce, inoltre, come il dato normativo contenuto nell'articolo 10 del Tusp non precluda l'operatività delle clausole di prelazione statutarie anche a favore dei soci privati, in quanto la funzione propria di tali clausole (preservare per quanto possibile l'assetto della compagine sociale) è assicurata dalla legge anche in favore dei soci privati di una società a partecipazione pubblica, come ad esempio nelle società miste, nelle quali il socio privato è individuato in quanto portatore di un convergente interesse economico.