Fisco e contabilità

Per i dipendenti pubblici tasse dimezzate sui premi

Le Entrate a sorpresa: sui compensi pagati l’anno dopo a quello di riferimento va applicata la tassazione separata

di Tiziano Grandelli, Mirco Zamberlan e Gianni Trovati

Nei dettagli, si dice, si annida il diavolo. Ma qualche volta a nascondersi può essere un angelo. Che, nel caso dei dipendenti pubblici, ha assunto le vesti di un anonimo funzionario dell’amministrazione finanziaria. Anonimo ma generoso.

Perché l’estensore della risposta all’interpello 223/2021, descritta sul NT+ Enti locali & edilizia di lunedì scorso, ha riservato agli oltre tre milioni di persone che lavorano nello Stato o negli enti territoriali un ricco regalo, sotto forma di detassazione dei premi in busta paga. Nel suo tradizionale linguaggio amministrativo, il documento dell’agenzia delle Entrate promette di avere un effetto dirompente sulle buste paga. Vediamo perché.

Il principio scritto nell’interpello è generale, e piuttosto chiaro. Quando un compenso arriva l’anno successivo a quello in cui è maturato, e il suo ritardo è dovuto a una «causa giuridica», deve sfuggire all’Irpef ordinaria, ed essere assoggettato alla tassazione separata. Basta poco per togliere a queste parole la polvere burocratica e farne risaltare le conseguenze luccicanti sui cedolini. Basta ricordare che nella Pubblica amministrazione è la legge a imporre l’attesa dei premi, che devono arrivare dopo le valutazioni sull’attività svolta, e che il contratto decentrato con cui sono disciplinati è una «causa giuridica» per eccellenza.

Ai meno esperti nelle cose del Fisco si può poi ricordare che la tassazione separata è data dall’aliquota calcolata sul reddito medio dei due anni precedenti «aliquota ovviamente più bassa rispetto alla marginale, cioè alla più alta in base al reddito, che si applica di solito alle componenti aggiuntive degli stipendi.

Tutte le variabili in gioco

Tradotto: nel caso di un «titolare di posizione organizzativa», cioè in pratica a un funzionario, che ha un reddito da 43mila euro, il premio non andrà tassato con l’aliquota del 38%, cioè la marginale relativa al suo scaglione, ma con la media dell’aliquota Irpef complessiva dei due anni precedenti. E siccome questo meccanismo, oltre ad abbassare l’aliquota Irpef applicata perché tiene conto anche delle prime fasce di reddito, garantisce benefici su detrazioni e bonus, il conto può fermarsi sotto il 19%. Con un dimezzamento delle tasse.

Insomma, mentre il mondo del pubblico impiego guarda ai Patti solenni firmati sotto lo sguardo austero di Mario Draghi alla Sala Verde di Palazzo Chigi, e alle promesse di una tornata contrattuale che ha a disposizione quasi 7 miliardi di euro ma deve ancora scaldare i motori, la rivoluzione vera arriva da un interpello che da qualche settimana sonnecchia negli archivi della documentazione ufficiale del Fisco. E che d’improvviso attua la detasssazione dei premi che avvicina la Pa ai privati. Gli effetti sulle buste paga dipendono da un incrocio di variabili, ma si può individuare qualche regola generale. E qualche effetto collaterale, inevitabile in un’architettura complicata e non sempre razionale come quella delle tasse italiane.

Prima regola generale: la distanza fra l’aliquota marginale e la tassazione separata cresce all’aumentare del reddito, perché ovviamente di scaglione in scaglione la richiesta dell’Irpef sale. Ma il grafico mostra che l’andamento reale è meno lineare: il nostro funzionario con 43mila euro ottiene sui premi di produttività un risparmio d’imposta del 52%, superiore al 44,5% di sconto riservato al suo collega con 35mila euro di reddito, e al 28-34% di chi occupa scalini inferiori nella gerarchia degli uffici pubblici. Se si sale nei rami dell’organigramma, invece, il risparmio scende, fino al misero (si fa per dire) 18% di riduzione ottenuto dal dirigente con 120mila euro. Come mai?

La spiegazione è nel meccanismo della tassazione separata. Perché quando i redditi salgono oltre un certo livello cresce anche l’aliquota media dei due anni precedenti, influenzata dalla quota di guadagni che occupano gli scaglioni più alti.

Addizionali e bonus: altri benefici

C’è di più. L’uscita dei premi dal mondo Irpef abbassa ovviamente l’imponibile, e quindi alleggerisce le addizionali regionali e locali. Ma le sorprese maggiori arrivano nelle fasce di reddito, molto frequentate nella Pa, che viaggiano nell’orbita del bonus 100 euro (ex 80 euro). Perché per esempio chi ha un reddito di 41mila euro, e quindi è fuori dalla fascia del bonus, può scendere a quota 38-39mila scorporando il premio, e quindi rientrare nella platea dei 100 euro (con decalage) oltre a vedersi ridurre le tasse sul salario accessorio. Due piccioni, vien da sé, con una fava.

Non è certo che tutte queste conseguenze fossero chiare quando è stata scritta la risposta all’interpello. Ma è chiaro che la risposta ufficiale dell’amministrazione finanziaria non ammette fraintendimenti, visto che cita espressamente «i compensi incentivanti la produttività» che derivano «da contrattazione articolata di ente» fra le voci da assoggettare a tassazione separata. E non pare ammettere, a questo punto, ripensamenti.

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