Per la stabilizzazione del precario assunto con concorso non serve una nuova selezione
La selezione può essere attivata qualora il numero dei posti sia inferiore a quello dei soggetti aventi i requisiti
È illegittima la stabilizzazione del personale precario se richiede una procedura concorsuale anche a quanti erano stati assunti mediante concorso. Lo afferma la sesta sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 1108 del 5 febbraio.
Il caso
Un dipendente con contratto a tempo determinato stipulato a seguito di pubblico concorso ha chiesto la stabilizzazione del proprio rapporto di lavoro in base all'articolo 1, commi 519 e seguenti, della legge 296/2006, istanza che non ha ricevuto alcun riscontro. L'ente ha poi approvato il regolamento per le procedure di stabilizzazione e emanato il bando concorso, a cui il dipendente è risultato inidoneo. É stato impugnato così sia il bando che il regolamento, deducendo che per la stabilizzazione dei soggetti assunti da almeno tre anni con contratto a tempo determinato previo espletamento di procedura concorsuale non sarebbe stato necessario indire un ulteriore concorso. Il ricorrente ha proposto altresì domanda alla sezione lavoro del Tribunale per accertare il diritto all'instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato data in cui era scaduto il contratto a tempo determinato, in ragione delle sopravvenute norme in materia di stabilizzazione.
Il ricorso è stato accolto con sentenza confermata anche in appello, ma pende ancora giudizio di legittimità dinnanzi alla Cassazione. A sua volta, il Tar ha affermato la propria giurisdizione e ha accolto il ricorso, ritenendo fondata la tesi del ricorrente.
L'appello
L'ente ha proposto appello, partendo dalla centralità del principio del pubblico concorso quale regola per l'accesso all'impiego pubblico e dalla constatazione che i provvedimenti di stabilizzazione troverebbero una spiegazione unicamente se assistiti dal requisito della eccezionalità, allo scopo di smaltire il precariato. Il soggetto aspirante, afferma, dovrebbe ritenersi titolare di una mera aspettativa di fatto e non già di un diritto, poiché la stabilizzazione costituirebbe una mera facoltà e non già un obbligo per l'ente, anche alla luce delle verifiche in tema di copertura di spesa. La legge, inoltre, sembra prefigurare una procedura concorsuale caratterizzata dall'emanazione di un bando, dalla valutazione comparativa dei candidati per titoli e prove o per soli titoli e dalla compilazione di una graduatoria finale di merito. Tant'è che la successiva legge 244/2007 ha sancito il principio della necessità di assumere mediante procedura concorsuale.
No alla selezione
Pur ricordando che l'utilizzazione delle speciali forme di immissione in ruolo dei lavoratori precari non comporta un diritto soggettivo alla stabilizzazione, con la conseguenza che non può considerarsi illegittima la scelta di non procedervi, la sesta sezione rigetta l'appello. Ricorda a questo fine che la legge 296/2006 consente di stabilizzare il personale assunto a tempo determinato in deroga alle normali procedure di reclutamento, ma qualora abbiano già sostenuto procedure selettive di tipo concorsuale non è necessario bandire concorsi ma dare "avviso" della procedura e della possibilità degli interessati di presentare la domanda. La selezione può verosimilmente essere attivata qualora il personale non abbia già superato prove concorsuali e il numero dei posti oggetto della stabilizzazione sia inferiore a quello dei soggetti aventi i requisiti. Nemmeno si può invocare la lesione dei principi costituzionali in materia di concorso pubblico, in quanto è possibile derogarvi in presenza di peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico, qualora legislativamente disposte per singoli casi e secondo criteri che rispondano a ragionevolezza, che non contraddicano i principi di buon andamento e di imparzialità e che per questo siano delimitate in modo assai rigoroso. Nel caso delle stabilizzazioni, spiegano i giudici di Palazzo Spada, la deroga muove dalle peculiari necessità funzionali al buon andamento dell'amministrazione di evitare il proliferarsi di contenziosi risarcitori per l'illegittima reiterazione di contratti a termine, non sanzionabile nel pubblico impiego con la conversione a tempo indeterminato del contratto di lavoro.