Fisco e contabilità

Pil, appesi al Pnrr i due terzi della crescita fra 2023 e 2026

Il Rapporto sulla finanza pubblica: Senza il Piano, aumento annuo allo 0,4% e non all’1,2%, la discesa del debito non è al sicuro e servono fondi per sanità, cuneo fiscale, investimenti e Pa

di Gianni Trovati

Alla spinta del Pnrr sono affidati due terzi della crescita italiana da qui al 2026, perché il tasso medio annuo dell’1,2% si ridurrebbe senza il Piano a un modesto +0,4%, abituale per l’Italia nel ventennio di stagnazione prepandemica.

Il Rapporto 2023 sul coordinamento della finanza pubblica presentato ieri dalla Corte dei conti è efficace nell’individuare lo snodo cruciale nelle sfide che attendono economia e conti pubblici italiani nella fase di uscita dall’emergenza energetica e di ingresso nelle nuove regole del Patto di stabilità Ue.

All’appuntamento l’Italia si presenta in uno stato di salute decisamente migliore rispetto alle attese di molti previsori, grazie a un’economia che dopo aver «dimostrato ottime capacità di resistenza ai ripetuti shock» ora per i magistrati contabili offre «una solida base per la ripartenza» nonostante il «quadro internazionale complesso» e percorso da «persistenti pressioni inflazionistiche solo leggermente attenuate dal rientro dei prezzi dei beni energetici». Per la prima volta da decenni il confronto internazionale premia Roma; che a fine 2022 ha un Pil superiore dell’1% ai livelli 2019 (come la Francia, meglio di Germania e Spagna) e nei primi tre mesi di quest'anno «evidenzia un maggiore dinamismo rispetto alla media dell'area dell’euro» (+0,5% come la Spagna, meglio di Francia ed Eurozona e molto meglio della Germania in recessione). «I conti in ordine sono una necessità assoluta per il nostro Paese, che deve mantenere la fiducia dei mercati per contenere i costi di finanziamento ed evitare ripercussioni su famiglie e imprese», aveva spiegato in mattinata il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che si attende anche «sorprese positive dagli extraprofitti», con «maggior gettito rispetto alle stime prudenziali e risorse da mettere a disposizione delle famiglie più vulnerabili».

A un debito pubblico ancora sopra al 140% del Pil non basta però la congiuntura, e lo stesso Giorgetti sottolinea la «sfida complessa ma ineludibile di dare stabilità alla crescita». Perché è vero che anche la discesa del passivo dopo il picco del Covid è stata più rapida del previsto, grazie anche all’inflazione che ha gonfiato entrate tributarie (Iva) e prodotto nominale. Ma ora la flessione, avverte la Corte, «perde sensibilmente di forza» perché la corsa dei prezzi è infida per i conti pubblici e agli effetti positivi immediati fa seguire quelli negativi più spalmati nel tempo. Nel 2023-26 la partita sul debito si fa quindi equilibrata, fra la spinta al rialzo prodotta da interessi (16,5 punti nel rapporto con il Pil) e dall’aggiustamento stock-flussi (4,8 punti) e quella al ribasso alimentata da crescita reale (-6,6 punti), prezzi (-16 punti) e saldo primario (-2,7). Il risultato, 4% in meno nel periodo, «non è sufficiente a porre il rapporto debito/Pil su una traiettoria di discesa plausibile e continua», rimarca la Corte; e siccome la dinamica del passivo è al centro delle attenzioni di mercati e Patto Ue, «per contrastarne la tendenziale risalita occorreranno correzioni» ulteriori.

Non è semplice. Perché l’ultimo Def «non offre una pur generale indicazione sulle scelte» di politica economica. Nel quadro programmatico non ci sono nemmeno «gli oneri per le politiche invariate», ma il menù minimo indispensabile alla prossima manovra sembra già molto pesante. Con i colpi dell’inflazione per la Corte dei conti «appare difficile non prevedere l'estensione» al 2024 almeno del mini-aumento lineare degli stipendi pubblici, «risorse saranno necessarie per la conferma della riduzione del cuneo fiscale», non si potranno evitare «i rifinanziamenti di interventi in conto capitale», e «di peso sono pure gli interventi di manutenzione straordinaria di importanti segmenti del sistema di welfare»; a partire dalla sanità dove «criticità ormai evidenti» impongono «interventi strutturali di portata ben superiore» a quelli recenti e «l’aggiornamento dei Lea appare non più rinviabile».

In un quadro del genere non c'è grasso da tagliare. E non c'è spazio per un'altra tappa del viaggio al ribasso imboccato dal Pnrr, che nel tempo ha visto assottigliarsi le ambizioni di crescita aggiuntiva dai 12,7 punti cumulati nel 2021-26 delle prime stime ai 9,2 punti attuali, messi a rischio «dal ritardo con cui è iniziata l'attuazione del Piano».

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