Progettazione

Prevenzione incendi, nei luoghi di lavoro cambia la progettazione per le vie di esodo (e non solo)

Un anno per adeguarsi a tutte le novità del «mini-codice» appena pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale

di Mariagrazia Barletta

È stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 29 ottobre il decreto interministeriale (firmato dai ministri dell'Interno e del Lavoro) contenente i criteri semplificati per la valutazione del rischio e l'individuazione delle misure di prevenzione, protezione e gestionali da adottare nei luoghi di lavoro considerati a basso rischio di incendio. Il provvedimento fa parte del tris di decreti emanati per sostituire il Dm 10 marzo 1998 sulla sicurezza antincendio nei luoghi di lavoro. Un "pacchetto" che comprende altri due regolamenti: il Dm 1° settembre 2021, che ha introdotto un percorso di abilitazione e qualificazione obbligatorio per i tecnici che effettuano controlli e manutenzioni ordinarie sui presidi antincendio, e il Dm 2 settembre 2021, contenente i criteri per la gestione della sicurezza antincendio durante il normale esercizio dell'attività lavorativa e in fase di emergenza. Battezzato «mini-codice», il terzo Dm andrà in vigore trascorso un anno dalla pubblicazione (ossia il 29 ottobre 2022).

Tante le innovazioni che coinvolgono la progettazione, a partire dai termini, per i quali si fa riferimento al Codice di prevenzione incendi (Dm 3 agosto 2015). Sparisce la tripartizione del rischio e cambia notevolmente la progettazione delle vie d'esodo, la cui metodologia deriva dal Codice, seppure sia stata molto semplificata. Maggiore attenzione anche ad una progettazione inclusiva che si faccia carico delle caratteristiche di ciascun occupante, definito come «persona presente a qualsiasi titolo all'interno dell'attività, considerata anche alla luce della sua modalità di interazione con l'ambiente in condizioni di disabilità fisiche, mentali o sensoriali».

Tutti i luoghi di lavoro esistenti dovranno essere adeguati alle nuove norme nei casi in cui ricorre l'obbligo, previsto dal Dlgs 81 del 2008 (art. 29, comma 3), di rielaborare la valutazione dei rischi, ossia in caso di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica o a seguito di infortuni significativi o quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità.

Il campo di applicazione
Il nuovo Dm si applica ai luoghi di lavoro considerati «a basso rischio di incendio». La definizione di basso rischio di incendio la dà stesso il decreto che vi fa ricadere tutti i luoghi di lavoro in cui si svolgono attività non soggette a controllo da parte dei Vigili del Fuoco (non inserite nell'elenco di cui all'allegato I del Dpr 151 del 2011) e prive di regola tecnica verticale. In più, per essere classificato a basso rischio, il luogo di lavoro deve rispondere contemporaneamente ad ulteriori sei requisiti: l'affollamento complessivo non deve superare il limite di cento occupanti (per occupanti si intendono le persone presenti a qualsiasi titolo all'interno dell'attività); la superficie lorda complessiva non deve oltrepassare la soglia dei mille metri quadri; i piani devono essere compresi tra le quote -5 e 24 metri; non devono effettuarsi lavorazioni pericolose ai fini dell'incendio; non sono ammesse quantità significative di sostanze o miscele pericolose e nemmeno quantità significative di materiali combustibili (generalmente - viene indicato in una nota – la quantità di materiale combustibile è ritenuta significativa quando si supera il valore di 900 MJ/mq di carico di incendio specifico). Se l'attività non ricade nella classificazione di «basso rischio», non si applicano i criteri semplificati ma il Codice di prevenzione incendi e/o, a seconda dei casi, le pertinenti regole tecniche verticali.

La valutazione del rischio è centrale
La valutazione del rischio incendi resta centrale per l'individuazione delle misure di prevenzione, di protezione e gestionali: è il punto di partenza per la progettazione e l'individuazione di ogni soluzione e misura. Le soluzioni sono basate sull'individuazione dei pericoli, sull'analisi del contesto, sull'identikit degli occupanti e delle loro esigenze (anche «speciali»), sul riconoscimento dei beni esposti ai rischi di incendio e sull'analisi (qualitativa o quantitativa) delle conseguenze dell'incendio sugli occupanti. La valutazione del rischio è ancorata alla specificità del luogo e alla profonda conoscenza dell'ambiente di lavoro, dei processi, delle lavorazioni, delle persone che lo frequentano e vi lavorano.

Questo resta un presupposto imprescindibile per arrivare a definire efficaci azioni di prevenzione, di protezione e gestionali. Inoltre, per alcune misure, quali la protezione dagli incendi, la rivelazione e la compartimentazione, la regola tecnica suggerisce delle strade possibili, utilizzando molto spesso non il verbo «dovere» che introduce prescrizioni cogenti, bensì il verbo «potere» che, come specificato nel capitolo G1 del Codice (richiamato nel nuovo Dm), serve per suggerire opportune valutazioni o modalità tecniche aggiuntive. «La valutazione del rischio d'incendio – viene precisato in una nota inserita nell'allegato tecnico - rappresenta un'analisi dello specifico luogo di lavoro, finalizzata all'individuazione delle più severe ma credibili ipotesi d'incendio e delle corrispondenti conseguenze per gli occupanti.

Tale analisi consente di implementare e, se necessario, integrare le soluzioni progettuali previste nel presente allegato». Poche, dunque, le prescrizioni: ogni soluzione e misura da adottare deriva prevalentemente dalla valutazione dei rischi. In quest'ottica non è più previsto il meccanismo delle misure di sicurezza compensative, previste dal Dm 10 marzo 1998, né si fa più riferimento al rischio residuo. Ovviamente, la valutazione dei rischi di incendio resta parte integrante e specifica del documento di valutazione dei rischi e deve essere coerente con l'eventuale valutazione del rischio di esplosione.

Decade la tripartizione del rischio
Il datore di lavoro non è più indotto, effettuata la valutazione del rischio, ad incasellare l'attività in uno dei tre livelli di rischio incendi (elevato, medio e basso) individuati dalla normativa. Difatti, la tripartizione dei livelli prevista dal Dm 10 marzo 1998 sparisce dalla valutazione del rischio ma riemerge ai fini della definizione dei contenuti minimi dei corsi di formazione e aggiornamento degli addetti al servizio antincendio. Una sorta classificazione del livello di rischio va comunque effettuata a monte della valutazione, nel momento in cui si individua la normativa da applicare. È infatti lo stesso campo di applicazione del Dm a definire i luoghi di lavoro da considerare a basso rischio. Se non si rientra in tale classificazione, per i luoghi di lavoro si applicano, come si diceva, il Codice di prevenzione incendi o le pertinenti regole tecniche di stampo tradizionale.

I termini
Per la progettazione il cambiamento inizia dai termini. Per le definizioni presenti nella regola tecnica, come: spazio scoperto, luogo sicuro, sistema d'esodo, corridoio cieco, bisogna far riferimento al capitolo G1 del Codice di prevenzione incendi. Ovviamente, la nuova normativa va letta tenendo come riferimento fisso il Dlgs 81 del 2008.

Lunghezza d'esodo e corridoi ciechi
Rispetto al Dm 10 marzo 1998, la progettazione delle vie d'esodo è rivoluzionata. Il metodo di progettazione deriva dal Codice di prevenzione incendi, seppure sia stato molto semplificato. La progettazione cambia già dall'obiettivo: gli occupanti devono poter raggiungere un luogo sicuro, autonomamente o con assistenza, prima che l'incendio determini condizioni incapacitanti. Una differenza importante rispetto a quanto stabilisce il Dm 10 marzo che pone l'obiettivo del raggiungimento del luogo sicuro «senza assistenza esterna». Una differenza che è legata ad una rafforzata sensibilità della nuova norma verso la progettazione inclusiva. Resta la regola generale secondo cui vanno previste almeno due vie di esodo indipendenti, tuttavia, è possibile – entro certi limiti - la presenza di corridoi ciechi, ossia di percorsi unidirezionali. In questo il nuovo Dm non differisce molto dal Dm del 1998, anche se cambiano le massime lunghezze ammissibili. Non c'è un range da rispettare, ma il corridoio cieco può essere al massimo lungo 30 metri o 45 se è installato un Irai (Impianto di rivelazione e segnalazione allarme incendio) con funzioni minime A, B, D, L, C (rispettivamente: rivelazione automatica, controllo e segnalazione, segnalazione manuale, alimentazione e allarme incendio) o se i locali serviti dal corridoio cieco hanno altezza pari o superiore a 5 metri. Nell'attività deve essere prevista, inoltre, almeno una lunghezza d'esodo non superiore a 60 metri. Poche le regole, semplici e chiare.

Larghezza delle vie d'esodo e delle uscite
Viene archiviata la formula adottata dal Dm 10 marzo per definire la larghezza delle scale e delle uscite di piano, basata sull'affollamento e sul modulo unitario di passaggio. Per la larghezza dei varchi e dei percorsi di esodo delle vie verticali e orizzontali, la norma fissa pochi ed essenziali paletti: i percorsi non possono avere larghezza inferiore a 900 mm; sono ammessi varchi di larghezza maggiore o pari a 800 mm. Fanno eccezione le porte dei locali con affollamento fino a 10 occupanti, che possono avere larghezza minima di 700 mm. Nei locali di servizio e nei piccoli depositi, con presenza occasionale e di breve durata di persone o frequentati da persone specificatamente formate, tale misura può ridursi a 600 mm. Dunque, la progettazione è semplificata e non si fa riferimento ai passaggi articolati che invece sono previsti dal Codice, come la verifica di ridondanza o il calcolo della larghezza minima delle vie d'esodo basata sul Rischio vita, sulla larghezza unitaria e sull'affollamento oppure l'applicazione dei criteri finalizzati a scongiurare il sovraffollamento localizzato.

La progettazione deve essere inclusiva
I sistemi di esodo non possono essere pensati considerando le esigenze di una popolazione mediamente abile. Le difficoltà motorie, cognitive e sensoriali, che siano temporanee o permanenti, vanno prese in considerazione quando si va a progettare il sistema di esodo. Bisogna tener conto non solo delle esigenze di un disabile, ma anche di quelle, ad esempio, di un anziano, di un bambino, di una donna in stato di gravidanza, di chi può avere un'inabilità temporanea. Dunque, la realtà e le esigenze a cui dover fare riferimento possono essere le più svariate. La nuova norma se ne fa carico quando rimanda al Codice per i termini e le definizioni in essa incluse. La valutazione del rischio deve considerare – viene scritto chiaramente nel nuovo Dm - la quantità e la qualità della tipologia di ciascun occupante, definito dal codice come «persona presente a qualsiasi titolo all'interno dell'attività, considerata anche alla luce della sua modalità di interazione con l'ambiente in condizioni di disabilità fisiche, mentali o sensoriali».

Ma il concetto di inclusività è anche più ampio: la progettazione e la realizzazione delle misure di sicurezza antincendio (tutte, non solo l'esodo) devono rispondere al requisito della piena inclusività: «il datore di lavoro (o responsabile dell'attività) – secondo il nuovo Dm - deve individuare le necessità particolari delle persone con esigenze speciali e tenerne conto nella progettazione e realizzazione delle misure di sicurezza antincendio» e nelle «procedure di evacuazione dal luogo di lavoro». Infine, il piano di emergenza, laddove previsto, deve contenere le «specifiche misure per assistere le persone con esigenze speciali». Già il Dm 10 marzo obbligava il datore di lavoro a prendere in considerazione, in fase di pianificazione delle procedure di evacuazione e nell'applicazione delle misure antincendio, le disabilità, le esigenze di anziani, bambini, donne in stato di gravidanza e persone con arti fratturati, o di persone con udito menomato o visibilità limitata, in riferimento sia ai lavoratori che alle persone presenti nel luogo di lavoro. Nel caso del mini-codice, l'inclusività, però, è ancora più ampia perché farsi carico delle «esigenze speciali» degli occupanti significa preoccuparsi di qualsiasi esigenza che, se non soddisfatta, può generare difficoltà nell'esodo o nell'applicazione di una misura antincendio.

Obbligo di esodo orizzontale
In tema di inclusività, un'altra novità importante, sempre in merito all'esodo, è l'obbligo di ricorrere all'esodo orizzontale, verso luogo sicuro o verso uno spazio calmo, in tutti i piani del luogo di lavoro nei quali possano esserci persone prive di abilità sufficienti per raggiungere un luogo sicuro in autonomia.

Estintori: niente più distribuzione in funzione del livello di rischio
Per lo spegnimento di un principio di incendio, la norma obbliga all'installazione di estintori di capacità minima non inferiore a 13A e carica minima non inferiore a 6 chili o 6 litri, in numero tale da garantire una distanza massima di raggiungimento di 30 metri. Laddove sia possibile prevedere un principio di incendio di un fuoco di classe B, dovuto a solidi liquefattibili, gli estintori devono anche avere una capacità estinguente non inferiore a 89 B. Qualora sia previsto l'impiego di estintori su impianti o apparecchiature in tensione, devono essere installati estintori idonei a tale uso. In esito alla valutazione dei rischi possono essere previsti estintori adatti allo spegnimento di altri fuochi o per rischi specifici. Queste le regole principali. Resta il canonico limite dei 30 metri per la massima distanza da percorrere affinché una persona possa raggiungere l'estintore, ma viene meno la determinazione del numero di estintori in funzione della classificazione del rischio dell'attività e della conseguente superficie minima da proteggere. La necessità, invece, di installare o meno una rete di idranti deriva dalla valutazione del rischio.

Controllo dei fumi e del calore
La progettazione e soprattutto la pianificazione delle emergenze devono tener conto dello smaltimento di fumi e calore in caso d'incendio, in modo da facilitare le operazioni delle squadre di soccorso. Si tratta di una misura di protezione che il vecchio Dm 10 marzo 1998 non considera. L'attenzione al controllo dei fumi e del calore è nuova ed è in linea con una maggiore sensibilità che le norme nell'ultimo periodo (il Codice e le sue successive integrazioni) mostrano verso questa fondamentale misura. Lo smaltimento di fumi e calore nei luoghi di lavoro a basso rischio è garantito attraverso aperture che possono coincidere con quelle già presenti (finestre, porte, lucernari, etc..), richieste ai fini igienico-sanitari, ma le modalità di apertura devono essere considerate nella pianificazione di emergenza. Ovviamente, il fumo e il calore smaltiti non devono interferire con le vie d'esodo.

Operatività antincendio
Il Dm richiese una particolare attenzione rispetto all'operatività antincendio. Dunque, è obbligatorio agevolare l'efficace conduzione di interventi di soccorso dei Vigili del Fuoco nei luoghi di lavoro. Secondo la nuova norma, va assicurata la possibilità di avvicinare i mezzi di soccorso antincendio ad una distanza non superiore a 50 metri. Se ciò non è possibile, allora bisogna adottare specifiche misure che consentano un agevole ed efficace intervento dei Vigili del fuoco, come ad esempio la predisposizione di accessi protetti a tutti i piani o la disponibilità di agenti estinguenti per i soccorritori.

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