Amministratori

Progressioni verticali, il periodo di lavoro dei precari è da equiparare a quello del personale di ruolo

Lo ha chiarito il Tar Lazio bocciando un bando del Comune di Roma che non considerava ilservizio svolto a tempo determinato

di Gianluca Bertagna e Salvatore Cicala

È illegittimo il bando, indetto da un ente locale, per la progressione verticale finalizzata al passaggio alla categoria superiore se lo stesso esclude, quale requisito di accesso, la non computabilità del servizio svolto a tempo determinato dal lavoratore. Questa la conclusione cui giunge il Tar Lazio con sentenza n. 9759/2021, pubblicata lo scorso 13 settembre, che vede protagonista l'amministrazione di Roma Capitale, e che rimarca ancora una volta il diritto dei precari di non vedersi più discriminati rispetto al personale di ruolo.

Il fatto
Il Campidoglio, in attuazione del proprio piano triennale del fabbisogno di personale, ha indetto una procedura per la progressione verticale per il passaggio di alcune unità di personale dalla categoria C alla categoria D. All'indomani della pubblicazione del predetto bando un dipendente capitolino ha chiesto l'annullamento della procedura ritenendo illegittimo l'operato dell'amministrazione, la quale richiedeva quale requisito di partecipazione l'aver maturato un'anzianità di servizio con contratto a tempo indeterminato (almeno cinque anni) nella categoria C, senza, dunque, tenere validi i periodi svolti, seppur nella stessa amministrazione, con contratto di lavoro a tempo determinato. Per il ricorrente tali procedure sono state indette in contrasto con il principio di non discriminazione, più volte enunciato a livello europeo ed affermato anche nell'ambito delle modifiche normative recentemente introdotte nel nostro ordinamento.

Per Roma Capitale gli avvisi pubblici adottati sono stati, invece, formulati nella piena legittimità. Cosicché, di fronte a prese di posizioni contrapposte, la questione è stata portata sui tavoli del tribunale. La decisionePer i giudici amministrativi laziali, la limitazione preclusiva adottata dall'amministrazione capitolina appare in contrasto con i vigenti principi in materia, di matrice comunitaria, che trovano la loro essenza nella clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (allegato alla direttiva n. 99/70/Ce), che ha introdotto nell'ordinamento giuridico comunitario un fondamentale principio di non discriminazione rispetto al personale a tempo indeterminato.

Tale principio di non discriminazione è stato applicato anche dal giudice europeo (Corte di giustizia europea, sentenza dell'8 settembre 2011) al fine di scongiurare che chi sia stato passato un lavoratore a tempo determinato possa subire un trattamento deteriore qualora, una volta entrato a fare parte del personale di ruolo della pubblica amministrazione, partecipi a selezioni interne legittimamente aspirando ad una migliore e più gratificante posizione lavorativa.

Non può accogliersi, si legge nella sentenza, la tesi difensiva di Roma Capitale, secondo cui il principio della parità di trattamento posto a fondamento della direttiva comunitaria riguarderebbe esclusivamente le condizioni di impiego intese quali mere condizioni di svolgimento dell'attività lavorativa e nulla avrebbe a che fare con la formazione dei titoli valutabili per concorsi o procedure selettive.Per le suesposte ragioni il ricorso viene così accolto con conseguente annullamento degli atti a fondamento della procedura selettiva in esame, e rifusione in favore del ricorrente delle spese di giudizio.

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