Personale

Pubblico impiego, il calcolo dei premi individuali divide dirigenti e dipendenti

Per i vertici l'incentivo va misurato sulla quota «destinata» al risultato

di Gianluca Bertagna

L’obiettivo è chiaro: puntare a valorizzare anche economicamente i dirigenti e i dipendenti che prendono le valutazioni di performance più elevate. Ci aveva già pensato la Riforma Brunetta con il Dlgs 150/2009.

Ora l’obbligo di individuare dei premi specifici è diventato realtà con il contratto nazionale del 21 maggio 2018 dei dipendenti e con quello del 17 dicembre 2020 dei dirigenti delle Funzioni Locali. Due disposizioni molto simili prevedono che in sede di contrattazione integrativa si individuino gli importi e la quota limitata di percipienti. Ma con quali meccanismi? Con quali regole?

Una proposta operativa è giunta dall’Aran con l’orientamento applicativo Cfl 126 (si veda NT+ Enti Locali & Edilizia del 14 gennaio) che contiene elementi utili per procedere correttamente entro le clausole della contrattazione con le rappresentanze sindacali.

Le regole precisate all’articolo 69 del contratto nazionale del 21 maggio 2018 per i dipendenti sono leggermente diverse rispetto a quelle indicate all’articolo 30, comma 2 del contratto del 17 dicembre 2020 per i dirigenti. Al di là del fatto che per questi ultimi la differenziazione va effettuata sulla retribuzione di risultato e per i dipendenti sulla performance, in entrambe le situazioni il premio deve essere pari ad almeno il 30% del valore medio-procapite delle retribuzioni.

La differenza risiede però nel fatto che mentre per i dipendenti si parla di media pro-capite rispetto ai premi «attributi al personale valutato positivamente», per i dirigenti si deve invece fare riferimento a quella «destinata», facilitando quindi di molto i calcoli aritmetici in quanto realizzati su quote teoriche e non effettive.

Di certo, però, la procedura tende a coincidere. Il primo passaggio è quello di definire quante somme vengono destinate al premio individuale. La quantificazione potrebbe avvenire sia come valore assoluto o percentuale rispetto alla performance, ma potrebbe anche scaturire da eventuali economie che si creano in favore della produttività o del risultato a seguito di minori erogazioni dovute alle assenze o altre dinamiche.

Con i sindacati, poi, è necessario fissare due elementi: a quanti dirigenti e a quanti dipendenti si deve corrispondere il premio, tenuto conto di quote necessariamente «limitate», e l’importo del premio, in quanto i contratti nazionali semplicemente prevedono la quota minima – il 30% della quota media – e non eventuali importi maggiori.

Sulla base delle somme accantonate per erogare il compenso, dell’importo del premio e del numero di beneficiari individuati, sarà possibile quindi andare a definire l’esatto importo richiesto dalle norme. L’Aran, nel parere, ha comunque precisato che per evitare rischi di elusione, non è possibile prevedere dei criteri che permettono di prendere il premio a tutti i dipendenti collocati sopra un determinato punteggio di valutazione.

Inevitabilmente, quindi, si dovranno prevedere anche dei criteri di priorità o precedenza in caso di dipendenti o dirigenti che raggiungono la stessa valutazione.

Da ultimo: al momento attuale un meccanismo simile non è previsto per le posizioni organizzative. Nulla vieta però che, in sede di contrattazione integrativa al momento dell’individuazione dei criteri di riparto della retribuzione di risultato, si prevedano procedure simili.

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