Servizi locali, domani in Unificata gli incentivi alle aggregazioni.
Un provvedimento che non centra l'obiettivo di ridurre la frammentazione delle gestioni
Il 27 aprile è convocata, in seduta straordinaria, la Conferenza Unificata per ottenere l'intesa sullo schema di decreto del ministero dell'Economia sulle misure incentivanti in favore degli enti locali che aderiscono alle riorganizzazioni e alle aggregazioni dei servizi pubblici locali, in base all'articolo 5 del decreto di riordino (Dlgs 201/2022).
Il lavoro sul decreto di riordino, dunque, complici le scadenze imposte dal Pnrr, va avanti e riguarda, in primo luogo, l'articolo 5 che, si ricorda, seppur blandamente, auspica un potenziamento della gestione integrata sul territorio dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. A questo proposito, per i servizi a rete, è compito delle regioni promuovere «la riorganizzazione degli ambiti o bacini di riferimento dei servizi pubblici locali a rete di propria competenza, anche tramite aggregazioni volontarie, superando l'attuale assetto e orientandone l'organizzazione preferibilmente su scala regionale».
Il Mef, in realtà, si è trovato a operare lungo un sentiero stretto, fatto di incentivi che non devono comportare ulteriori oneri per la finanza pubblica, e quindi a ragionare in una sorta di ossimoro finanziario. Saranno quindi incentivi indiretti, quelli offerti ai Comuni che aderiscono a questo processo, premiandoli su altre linee di finanziamento destinate agli enti. Poca cosa? Certo, ma visto la previsione del comma 3 difficile immaginare qualcosa di diverso.
Si muove anche Arera che, in base all'articolo 5, comma 6, proprio al fine di contribuire alla razionalizzazione degli assetti istituzionali locali del settore dei rifiuti, deve presentare alle Camere una relazione semestrale sul rispetto delle prescrizioni stabilite dalla disciplina di settore per la definizione del perimetro degli ambiti territoriali e per la costituzione degli enti di governo dell'ambito. Per questo l'Autorità ha inviato una richiesta di informazioni, che vanno dallo stato di aggiornamento del Programma Regionale Di Gestione dei Rifiuti (PRGR) fino alla all'indicazione dei «casi di mancata adesione al corrispondente Ente di governo dell'ambito, esplicitando le ragioni di tale mancata adesione e se vi siano procedure di adesione ancora in corso, eventualmente dovute ad un riordino organizzativo degli Enti di governo dell'ambito».
È certo corretto che le istituzioni preposte si muovano, nel senso delle indicazioni date dal decreto. Il punto, però, è che l'articolo 5 è carente, in termini sostanziali, perché non centra, a nostro giudizio, il cuore della questione non è tanto razionalizzare il numero degli enti d'ambito, quanto piuttosto quello di ridurre la frammentazione delle gestioni. Per fare questo, occorrono interventi decisamente più incisivi di quello a oggi prospettato e che dovrebbero muoversi in una duplice direzione.
Da una parte seguendo il modello, di successo, adottato nel Servizio Idrico Integrato, ovvero imponendo tempi stretti per la regolarizzazione degli affidamenti (articolo 14 del Dl 115/2022) e condizionando la assegnazione dei fondi Pnrr di settori al rispetto delle discipline di settore.
Dall'altra semplificando i processi aggregativi, oggi resi ancora più complicati dalla assenza di una disciplina per le operazioni straordinarie e dalla necessità di un parere della Corte dei conti per le operazioni di costituzione di società e di acquisto di partecipazioni.
In sostanza, il decreto di riordino, da solo, può rappresentare un debole stimolo ma certo non è sufficiente per una effettiva riorganizzazione del sistema. È indispensabile, piuttosto, intervenire sul Tusp (Dlgs 175/2016) e sulle disposizioni di settore.
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di Pietro Alessio Palumbo