Tributi comunali minori, il nuovo canone unico inciampa su regolamenti e rischio rincari
Discipline locali da riscrivere entro l'anno anche se i bilanci slittano a fine gennaio
Cresce la preoccupazione dei Comuni per il nuovo canone unico patrimoniale, che dal 2021 è destinato a sostituire l'intero comparto dei tributi cosiddetti “minori”, in particolare l’imposta sulla pubblicità, la Tosap e i prelievi alternativi (Cosap, Cimp), nonché la Tari giornaliera.
Saltato lo slittamento al 2022, proposto in sede di conversione in legge del decreto Agosto, si pone ora il problema per gli enti locali di rivedere procedure e regolamenti ormai consolidati, con le difficoltà connesse all’attuale contesto emergenziale e alle criticità contenute nella normativa di riferimento. E trattandosi di un canone del tutto nuovo, anche se il termine per i preventivi 2021 è ora fissato al 31 gennaio prossimo, i regolamenti dovrebbero essere preparati comunque entro l’anno per evitare un buco nella disciplina dell’entrata. Ma la sfida rischia di rivelarsi impossibile anche per i complessi confronti con le tante associazioni di rappresentanti dei diretti interessati, per di più da sviluppare su regole del tutto incerte.
Il nuovo canone nasce infatti con un vizio genetico di fondo: mette insieme due prelievi diversi, uno basato sul beneficio che ritrae l’occupante dall'utilizzo di un bene pubblico e l’altro sull’utilizzo di un bene privato (manufatto pubblicitario) che incide su rilevanti interessi pubblici (viabilità, sicurezza, ambiente, eccetera). Ebbene, la fusione di entità diverse e la qualificazione di entrata patrimoniale di un prelievo che, di fatto, ha elementi strutturali tipici di un tributo, potrebbe essere oggetto di rilievo da parte della Consulta, che si è già espressa per la natura tributaria del canone alternativo all'imposta di pubblicità, cioè il Cimp (Corte costituzione n. 141/2009, n. 218/2009 e n. 18/2010).
Tuttavia, pur lasciando sullo sfondo questioni giuridiche anche complesse, il nuovo impianto tariffario e normativo presenta nel merito diversi problemi. In primo luogo il vincolo di garantire il pareggio delle entrate porterà inevitabilmente a un aumento delle tariffe, non essendoci peraltro un tetto massimo da rispettare, considerato che diverse fattispecie sono destinate a scomparire: fra queste, per fare solo degli esempi, la pubblicità fonica o sonora.
Inoltre, da dicembre 2021 viene soppresso l'obbligo di effettuare il servizio delle pubbliche affissioni, dovendo i Comuni garantire l’affissione di manifesti aventi finalità sociali, mettendo a disposizione un congruo numero di impianti a tal fine destinati.
In sostanza tra meno di un anno il servizio delle pubbliche affissioni diventerà facoltativo, ma con è chiaro con quali tariffe, demandando così la determinazione ai singoli Comuni senza alcuna base normativa.
Non va ignorata poi la previsione, del tutto irrazionale, secondo cui l’occupante l’area mercatale dovrà utilizzare la piattaforma del PagoPa prevista dall’articolo 5 del Dlgs 82/2005. È come dire che l'agricoltore o il commerciante ambulante che frequenta l’area mercatale, prima di allestire il banco (cioè alle 6 di mattina) deve pagare utilizzando la piattaforma telematica. Ciò comporterà un’oggettiva evasione per l’impossibilità di provvedere con le modalità sopra indicate.
Peraltro è difficile se non impossibile immaginare che i Comuni e i soggetti affidatari dei servizi possano adeguare in breve tempo i software finora utilizzati. Solo per citare alcune delle criticità contenute nella normativa di riferimento.
Insomma, pur se ispirata da esigenze di semplificazione, la scelta di introdurre un nuovo canone di concessione finisce per stravolgere un comparto piuttosto stabile, creando preoccupazioni per gli enti locali, peraltro impegnati a fronteggiare gli effetti economici, sociali e amministrativi della pandemia in atto.