Gli italiani Autonome forme rinnovano l'architettura del deserto: polo delle arti e case a Djerba
Passione per le culture del Mediterraneo, studio delle antiche tecniche di costruzione del nord Africa, rispetto per il paesaggio, reinterpretazione dell'architettura locale in chiave contemporanea, interazioni con le maestranze berbere sono alcuni degli aspetti più significativi di Deserti Tascabili - DJ Complex, il progetto appena realizzato a Djerba da AutonomeForme Architettura (Marco Scarpinato, Lucia Pierro). All'interno di un lotto di circa 10.000 metri quadri popolato da alberi di olivo e palme, articolato su una superficie di 1.300 mq, l'intervento contempla due edifici indipendenti ma interconnessi: la DJ House (un'abitazione privata con annesse residenze temporanee per artisti) ed il DJ Center (un centro per le arti digitali nel Mediterraneo).
La storia di questo lavoro parte dalla ricerca, intrapresa da Scarpinato nel 2010, sui «deserti tascabili» citati da Peter Sloterdijk nel suo libro Devi cambiare la tua vita. Spazi dell'anima, i «deserti tascabili» sono luoghi di ritiro nei quali l'uomo si congeda dai ritmi convulsi del mondo contemporaneo alla ricerca di una dimensione personale. La possibilità di dare corpo a un «deserto tascabile» arriva quando il progettista incontra per caso, in un aeroporto occidentale ben lontano da Djerba, un ingegnere tunisino che ha girato il mondo e che desidera ritornare nel proprio Paese. Ha comprato delle vecchie case sull'isola e intende demolirle per realizzare nuovi abitazioni da affittare ai turisti. Partendo dall'esperienza di ampliamento e restauro sperimentata a Palermo con Palazzo Greco, Scarpinato gli prospetta una soluzione alternativa: recuperare e ampliare l'esistente secondo un linguaggio consapevole della tradizione locale e al tempo stesso aggiornato e sensibile alle nuove esigenze. Ben presto, fra l'altro, il committente deciderà di abbandonare l'investimento nel settore turistico in favore di una scelta a vocazione culturale, peraltro innovativa per il territorio.
Sul sito c'è un marabutto, e cioè la tomba sufi di un personaggio considerato come un santo dotato di poteri più magici che religiosi, secondo la cultura berbera. Si tratta di una costruzione molto semplice, un cubo sormontato da una cupola che era in procinto di essere demolito e che è invece diventato l'elemento generatore dell'intervento, a partire dal quale Scarpinato, reiterando il modello di partenza e articolandone gli spazi in maniera innovativa, ha dato forma al suo «deserto tascabile». «La rilettura del sito caratterizzato da una architettura fatta di candidi volumi stereometrici che si confrontano con il paesaggio sabbioso e con il limpido cielo blu - racconta il progettista - ha permesso di definire una architettura che, reinterpretando i valori contestuali, esprime la sua dimensione contemporanea».
L'interesse che, come architetto laico, Scarpinato matura per l'estetica dello spazio islamico, lo conduce a una rielaborazione linguistica che non cade mai nell'orientalismo di maniera, ma che piuttosto recupera le forme archetipe -cubo e cupola- e le restituisce alla loro purezza, eliminando ogni velleità decorativa. E così nel progetto a parlare sono le forme essenziali, i colori netti, quasi violenti, del paesaggio nordafricano, la luce che declina le sue ombre sui volumi candidi, l'acqua dell'antica vasca per l'irrigazione dei campi con i suoi valori simbolici e le sue proprietà riflettenti.
La riscoperta e lo studio di antiche tecniche di costruzione locali, reinterpretate dalla tradizione romana e ancora presenti nel territorio - come dimostrato dagli esempi rilevabili nelle Isole di Kerkennah -, ha consentito di fare a meno di qualunque sistema meccanico di controllo della qualità ambientale. Anche il cantiere è stato terreno di confronto con la cultura locale: l'intervento, unitario e omogeneo, è paradossalmente il risultato del lavoro stratificato di numerose ed eterogenee maestranze locali dal carattere avventizio, spesso disponibili per una sola giornata, senza che questo dipenda necessariamente da motivazioni di natura lavorativa o economica. Piuttosto da una cultura, quella berbera, legata sì alla tradizione, ma anche alla libertà e all'indipendenza che si riflette anche nel lavoro.
Lo studio
AutonomeForme | Architettura, fondato dagli architetti Marco Scarpinato e Lucia Pierro, ha come obiettivo la definizione di nuove strategie urbane basando la sua attività progettuale sulla relazione tra architettura e paesaggio e sulla collaborazione interdisciplinare. Il team ha recentemente ottenuto la medaglia d'oro all'Holcim Award per il progetto del Waterfront e il parco di Saline Joniche. Fra i progetti in corso di realizzazione ci sono alcune residenze private fra Palermo e Firenze, un intervento sul paesaggio a Mazara del Vallo, un giardino a Overloon (Paesi Bassi).
I crediti
Progetto: AutonomeForme Architettura | Marco Scarpinato con la collaborazione di Lucia Pierro
Committente: privato
Programma: centro per le arti digitali nel Mediterraneo, abitazione privata, residenze temporanee
Superficie del lotto: 10.000 mq
Superficie lorda edificata (DJ House): 600 mq
Superficie lorda edificata (DJ Center): 700 mq
Cronologia: 2010 / affidamento di incarico, 2015 / termine dei lavori
Foto: AutonomeForme Architettura