Progettazione

L'ingegneria italiana cresce all'estero: ecco perché (e cosa resta da fare)

Intervento. Il 60% del fatturato delle engineering italiane è realizzato oltre confine: i progetti più ambiziosi vedono ovunque nel mondo coinvolte le nostre imprese

di Roberto Carpaneto (*)

Non bisogna nascondere che il vero motivo della sempre più rilevante presenza delle società italiane di ingegneria, architettura e consulenza tecnico-cononomica all'estero è l'inevitabile e inarrestabile conseguenza, almeno negli ultimi due decenni, di una grande voglia di fare, di crescere e di poter dimostrare le proprie capacità imprenditoriali e tecniche, quando, purtroppo nel nostro Paese, per mille motivi che non dobbiamo qui ricordare, le possibilità di crescita sono state limitate. Pochi programmi nazionali ambiziosi, poche pianificazioni territoriali, pochi sviluppi infrastrutturali, pochi programmi industriali di crescita, molti "no"e molte difficoltà a focalizzare e far decollare i progetti, anche a causa di procedure farraginose e di una Amministrazione troppo attenta alla forma e poco all'obiettivo.

Ma le aziende sono le persone che ci sono dentro. Sono giovani ingegneri, architetti, tecnici neolaureati che una volta assunti vogliono avere la possibilità di far carriera, di poter far crescere il loro stato nella società, sono gli imprenditori professionisti che le posseggono e che non hanno nessuna intenzione di "fermare" la loro crescita, il loro sano pensare allo sviluppo, le loro sane ambizioni.

E allora come fare? Moltissime aziende, la mia azienda compreso, hanno dovuto "migrare". Cercare progetti, clienti, opportunità all'estero. Si sono date da fare, ci hanno messo "del loro", come si dice, e rischiando in moltissime sono riuscite a dimostrare le loro capacità tecniche e manageriali in tutto il mondo. Per questo molto hanno fatto da sole, ma credo che anche Oice (Associazione delle Società di Ingegneria, Architettura e Consulenza Tecnico-Economica) abbia in parte contribuito al loro successo. Decine e decine di attività promozionali in Italia e all'estero per far conoscere le nostre imprese, metterle in contatto con potenziali Clienti e mercati, con partner locali per indispensabili collaborazioni, ed infine aiutarle per quanto possibile, nella difficile gestione delle loro operazioni in paesi lontani e culture a volte molto differenti.

I numeri ora ce lo dimostrano. Stando ai dati del Rapporto Estero Oice 2020, presentato il 24 novembre scorso, circa il 60 percento del fatturato delle società del settore è svolto all'estero. Oltre 1,7 miliardi di euro di produzione di servizi svolti in circa 150 paesi sparsi per il mondo che danno lustro al nostro paese. I progetti più ambiziosi, le realizzazioni più importanti vedono praticamente ovunque nel mondo coinvolte imprese italiane.

Il percorso per arrivare a questo non è stato facile ed è tutt'altro che completato. Ma nel frattempo anche qualcosa attorno alle nostre imprese, nel nostro Paese è cambiato. La collaborazione con le istituzioni italiane è cambiata. Sicuramente migliorata. Il ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, le Ambasciate sparse per il mondo, il Ministero dello Sviluppo economico, L'Istituto del commercio estero (Ice) , Sace, Simest, etc. per citarne i principali, non solo ci ascoltano e dialogano costruttivamente con noi, ma ci aiutano, hanno capito quale ruolo possiamo svolgere, quale contributo possiamo dare al nostro Paese. Fare buona ingegneria e architettura all'estero, svolgere attività consulenziali nel mondo, significa essere nelle fasi iniziali dei progetti, delle pianificazioni, dei programmi; significa aprire la porta al prodotto italiano, alle imprese italiane, ai loro prodotti industriali, alle loro capacità e quindi alla loro crescita con un beneficio che direttamente poi si ribalta sul nostro Paese.

Non era facile in passato, diciamolo pure. Non era facile trovare posto nelle missioni istituzionali all'estero, quando meno si comprendeva il nostro contributo nella catena del valore dell'Export Italia. Questa questione, che chiamo del "posizionamento" ritengo possa essere quasi archiviata, ed ora le sfide sono altre. Stanno nella "velocità" con la quale si trasforma il mercato, si modifica la richiesta sempre più veloce ad accogliere e richiedere trasformazioni e evoluzioni innotative e tecnologiche.

Le nostre imprese, tutte e non solo quelle del nostro settore, ma in particolare quelle del nostro settore, devono essere capaci di trasformarsi di evolvere e ritrovarsi, come molte volte hanno fatto in passato ad essere le prime, tra le più brave (se non le più brave), le più flessibili, le più affidabili. Ci siamo riusciti in passato e ci riusciremo anche questa volta.

L'ingegno italiano è veramente unico: la capacità delle nostre società di architettura e di ingegneria è riconosciuta ovunque. Ho avuto personalmente la fortuna di lavorare in moltissimi paesi sparsi per il mondo e la reputazione delle nostre aziende e delle persone che le animano "dentro" non ha eguali. Dovremmo veramente farne tesoro e rendercene più conto quando dobbiamo affrontare i nostri problemi interni.

Siamo alla vigilia o forse meglio dire nel bel mezzo di un nuovo inevitabile cambio epocale; su moltissimi fronti. La transizione energetica con l'abbandono graduale delle fonti fossili, la rivisitazione e la rigenerazione delle aree urbane nel mondo, i nuovi paradigmi per la mobilità delle persone e delle merci, la sfida delle nuove economie verdi, la trasformazioni digitale, etc. rappresentano innumerevoli opportunità per le nostre imprese e per l'ingegno italiano. Su questi argomenti esistono programmi di investimento enormi in tutti i continenti con ordini di grandezza significatamente superiori rispetto al passato.

Secondo quanto indicato nel nostro Rapporto Estero Oice 2020 , partiamo da un buon punto. Il fatturato delle nostre società è cresciuto costantemente negli ultimi cinque anni. Circa la metà di quello che produciamo all'estero lo svolgiamo in Asia dove evidentemente la crescita impetuosa degli ultimi anni ha richiamato molte delle nostre aziende che hanno saputo rispondere prontamente alle opportunità in quell'area. Segue circa un trenta per cento in medio oriente nel Golfo, storicamente area di interesse per le nostre imprese, seguita poi da Africa Mediterranea e altre parti nel mondo. Si stanno affacciando nuove aree geografiche quali l'Asean (Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico): siamo al due per cento ma con una crescita veloce e prospettive evidenti. Non è un caso: è quella è l'area del più grande accordo di politica commerciale di tutti i tempi, il Regional Comprehensive Economic Partnership (Rcep), firmato il 15 novembre scorso dai Paesi Asean e da alcuni paesi del Pacifico, definito come nuovo motore della crescita asiatica.

Un piccolo focus su Africa: continente incredibile di grandissima potenzialità. La crescita demografica, il gap tecnologico, la questione della migrazione e più in generale l'esigenza e la necessità di un miglioramento della qualità della vita rappresentano un potenziale enorme per le nostre aziende. Secondo un recende rapporto dell'Università di Oxford, i 54 paesi africani potranno avere una crescita complessiva di circa il 6 per cento annuo nei prossimi 10 anni; un investimento complessivo di circa 4,8 trilioni di dollari al 2030. Infine ciò che sta accadendo in Europa e negli Stati Uniti ci coinvolge sicuramente: anche se per ragioni probabilmente differenti, entrambe le aree sono all'inizio di un significativo programma di investimenti anche sui temi precedentemente evidenziati.

C'è ancora molto da fare e da migliorarci sul fronte della presenza all'estero: secondo la Enr – Engineering News Record, "the bible of the construction industry", come dicono negli Usa, le prime 225 società classificate per fatturato prodotto fuori dai loro confini nazionali hanno realizzato nel 2019 un ammontare di circa 72,3 miliardi di dollari. A guidare questo speciale ranking ci sono proprio le americane che coprono il 20%, seguite dalle canadesi (15%). Poi le europee che coprono complessivamente quasi il 40% del totale (le inglesi prime tra le europee con il 14,4%).

L'Italia si colloca tra gli ultimi posti in termini di fatturato, ma vi contribuisce con il maggior numero di società (12) sempre tra i principali paesi dell'unione. Insomma "soffriamo" di dimensione, ma non di "presenza". Siamo anche in questo caso il paese "dei Comuni e delle Signorie" e non riusciamo ad esprimere grandi società paragonabili alle grandi francesi o anglosassoni, ma così siamo. Occorre tenerne conto e allora possiamo solo lavorare insieme, formare squadre, fare sistema. Sono convinto che riusciremo a spuntarla. Confesso che sono ancora oggi dopo quasi quaranta anni di attività nel settore, "sorpreso" quando le nostre imprese riescono a vincere gare internazionali, aggiudicarsi progetti enormi, regionalmente epocali, vincendo gare agguerrite contro realtà straniere più grandi, molto più grandi, 10-50 volte più grandi in termini di fatturato, ma forse non in termini di contenuto.

Questo è il punto: la nostra carta d'identità all'estero non è fatta solo di numeri: numero dipendenti, fatturato, etc. ma è fatta di competenza, esperienza, multidisciplinarità, flessibilità, innovazione, bellezza. Su quello vinciamo.
Noi tutti come responsabili di azienda e come Oice ce la stiamo mettendo tutta. E' ora il momento di giocare la partita. Pallone al centro: noi giochiamo.

(*) Ingegnere, Vicepresidente Oice alla Internazionalizzazione, membro del Consiglio Efca, amministratore delegato – Rina consulting

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