Fisco e contabilità

Ssn a rischio sostenibilità: entro il 2050 spesa al 9,5% del Pil

Meridiano Sanità: per mantenere in futuro la sanità pubblica che varrà 220 miliardi occorre intervenire su cinque leve insieme e far convergere politica sanitaria e politica industriale del Paese<br/>

di Francesca Cerati

«La sanità pubblica non sarà sostenibile se non ci saranno interventi di correzione rispetto alle attuali dinamiche socio sanitarie». Questa, in sintesi, una delle principale indicazioni che emerge dall’ultimo rapporto Meridiano Sanità realizzato da The European House - Ambrosetti. «Il rapporto - dice Daniela Bianco, responsabile dell’area Healthcare di Ambrosetti - tiene conto dei diversi determinanti della salute, non solo sanitari, ma anche ambientali, sociali ed economici. Ci siamo resi conto che lo scenario 2050, considerando l’evoluzione del contesto demografico ed epidemiologico, non è sostenibile, di conseguenza occorre intervenire agendo su diversi livelli».

In pratica, il meta modello di partenza mette insieme fattori economici (Pil e spesa sanitaria procapite), prevalenze (malattie croniche), fattori demografici e fattori di rischio (fumo, alcol, obesità, ecc) in un grande frullatore che elabora tutti i numeri includendo le proiezioni demografiche e socio economiche. Da qui, la spesa sanitaria a prezzi reali al 2050 raggiungerà il valore di 220 miliardi di euro, con un’incidenza sul Pil pari al 9,5%, cioè +2,4 punti percentuali rispetto al 2022.

Ma qual è il punto di partenza? «In Italia l’investimento in salute in valore assoluto resta tra i più bassi d’Europa: il 7.2% di oggi pone già il nostro Paese in coda alla classifica - spiega Valerio De Molli, managing partner e amministratore delegato di The European House – Ambrosetti - Non solo, la spesa sanitaria pubblica pro capite è meno della metà di quella della Germania. E con la previsione contenuta nel Def del 5 novembre 2022 di riportare il finanziamento al 6,2% si va verso un depotenziamento. Al 2050, se prevediamo il 9,5%, è evidente che abbiamo bisogno di molti piùsoldi. Questo delta differenziale all’anno è di non meno di 16 miliardi».

E ancora. In Italia abbiamo toccato il picco della popolazione nel 2014 e siamo con la marcia indietro ormai già da otto anni. I 400mila nati sono il dato più basso dal 1861 ed è impressionante vedere come la forbice di natalità si sta amplificando. «Questo porta a una struttura demografica che tende verso una popolazione più anziana, che porta una pressione importante sul sistema sanitario e che diventa quasi insostenibile se consideriamo che 9 su 10 degli over 75 soffrono di almeno una patologia cronica e il 65%, cioè due terzi, ha ben 2 patologie - continua De Molli - In prospettiva, al 2050, il 75% dell’intera spesa sanitaria pubblica sarà legato a persone sopra i 60 anni, contro il 60% di oggi». E sul fronte dell’occupazione? «Oggi sono 23,1 milioni gli occupati nella fascia lavorativa, numero che andrà necessariamente a diminuire se diminuisce la popolazione e quindi i 23,1 milioni diventeranno 19,1. Tradotto in soldi: i 5800 euro per cittadino pagati oggi in media sulla tassazione dei redditi diventeranno 11.500. Improponibile» precisa l’ad di Ambrosetti.

Nel rapporto sono state fatte simulazioni analoghe anche tenendo conto di altre leve, come l’età pensionabile e il numero di immigrati, per scoprire però che ovunque si “giochi” con i dati il sistema non regge. Ma secondo Meridiano Sanità, se le 5 leve (pressione fiscale, politiche a sostegno della natalità, interventi sull’occupazione, sulla forza lavoro e sull’immigrazione) a disposizione per promuovere la sostenibilità del Ssn sono messe insieme renderebbero accettabile il modello di previsione.

Ma c’è anche un tema di dimensionamento e di valore delle risorse che operano nel sistema. «Oggi il personale di medicina generale, quello ospedaliero e infermieristico ha anch’esso un’anagrafica molto importante - precisa De Molli - e se nel quinquennio 22-27 più o meno il sistema potrebbe riuscire a rigenerare il corpo professionale attraverso le nuove leve, il problema si pone nel tendenziale, se si vogliono tenere le stesse proporzioni di struttura di servizio di oggi. Ipotizzando un infermiere ogni 52 over 65, un medico ospedaliero ogni 134 over 65 e un mmg ogni 331 over 65 (che è la fotografia di oggi e che è essa stessa sottodimensionata rispetto ad altri paesi), scopriamo che abbiamo bisogno nei prossimi 30 anni di 140mila infermieri in più, oltre 54mila medici ospedalieri e 22mila medici di mmg».

Altro dettaglio: siamo il Paese con le retribuzioni più basse di tutti. Quindi se vogliamo dimensionare e aumentare i compensi per evitare che i medici vadano all’estero dobbiamo aggiungere ulteriori 21,3 miliardi a quel modello già pesante appena descritto. Conclude De Molli: «Quanto più rapidamente muta l’ambiente esterno tanto più è necessaria e indispensabile avere una lucida visione del futuro che oggi non c’è. E quindi un piano nazionale delle Life sciences con una visione di medio lungo termine che veda manifattura e ricerca al centro di un modello di sviluppo del futuro e che privilegi quelle industrie che investono in cultura, produzione e ricerca è un fattore imprescindibile. E per fare questo occorre eliminare quel meccanismo assurdo del payback».

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