Amministratori

Autonomia, parte la riforma ma c’è l’incognita dei costi extra

Via libera definitivo in consiglio dei ministri alla legge Calderoli sul trasferimento di funzioni alle Regioni. Per gli standard minimi dei servizi il nodo delle coperture se cresce la spesa

di Gianni Trovati

Ora la legge quadro sull’autonomia differenziata parte davvero. Ma sul suo cammino, oltre alle obiezioni dei Comuni, le divisioni nelle Regioni e la contrarietà del centrosinistra, pesano due incognite, entrambe relative allo snodo più importante: i livelli essenziali delle prestazioni (Lep), cioè quegli standard minimi di servizio che dovrebbero garantire l’esercizio dei «diritti civili e sociali» tutelati dalla Costituzione in tutta Italia e che da 22 anni, cioè dalla riforma del Titolo V del 2001, vivono confinati nell’ambito teorico dei convegni e dei libri sul federalismo.

Proprio il calendario, dopo il semaforo verde acceso ieri in consiglio dei ministri al testo della legge quadro Calderoli che aveva fatto un primo giro a Palazzo Chigi il 2 febbraio scorso, solleva la prima domanda. Con una bella botta di ambizione, l’ultima legge di bilancio chiede al governo, tramite commissione tecnica per i fabbisogni standard, di definire i Lep entro la fine dell’anno.

La questione è tutt’altro che burocratica, e per capirlo basta scorrere le 81 pagine del documento con cui nelle scorse settimane il ministero per gli Affari regionali ha passato in rassegna l’elenco delle norme che disciplinano il ruolo attuale dello Stato nelle funzioni potenzialmente trasferibili alle Regioni. Il menù è ricchissimo, al suo interno troneggiano istruzione e sanità ma trovano spazio, lavoro, sport, professioni, protezione civile, ricerca scientifica e tecnologica e, per l’impostazione non esattamente razionale dell’articolo 117 della Costituzione riscritto nel 2001, anche la produzione e la distribuzione dell’energia, le grandi reti di trasporto, il commercio con l’estero e i rapporti con l’Unione europea.

In un panorama così ricco, fissare i Lep significa decidere per ogni articolazione dei servizi quale sia lo standard minimo, e il relativo livello di finanziamento, da garantire su tutto il territorio nazionale. La questione, insomma, è politica molto prima che amministrativa.

Ed è finanziaria. Perché la legge quadro dice che le competenze non possono trasferirsi prima che siano formalizzati i Lep. E aggiunge che, se il finanziamento di questi standard produce costi aggiuntivi rispetto a oggi, prima di far partire l’autonomia bisognerà far entrare in vigore i «provvedimenti legislativi di stanziamento delle risorse finanziarie». Questi provvedimenti, ultima decisiva precisazione, dovranno essere «coerenti con gli obiettivi programmati di finanza pubblica»: cioè non potranno produrre deficit aggiuntivo e andranno quindi coperti con tagli di altre spese o aumenti di entrate.

Le novità intervenute nelle ultime bozze non cambiano la sostanza di queste questioni, perché come anticipato su Nt+ Enti locali & edilizia di ieri si occupano soprattutto di rassicurare gli enti locali sulla condivisione di informazioni e procedure nel tentativo di ammorbidire le critiche rivolte al progetto dai sindaci. Ma la partita vera si gioca qui. E non è ancora nemmeno cominciata.

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