Amministratori

Servizi locali, aggregazioni con incentivi senza risorse

Per quanto il Mef abbia provato a destreggiarsi, i meccanismi individuati potrebbero risultare poco allettanti

di Harald Bonura e Davide Di Russo

Il Mef ha adottato il decreto attuativo degli incentivi alle aggregazioni nei servizi pubblici locali previsto dall’articolo 5, comma 3 del Dlgs 201/2022 (Nt+ Enti locali & edilizia del 1° maggio).

La norma chiedeva al Mef di stabilire le misure per spingere gli enti locali ad aderire alle riorganizzazioni previste dallo stesso articolo 5 ai commi 1 e 2, ovvero: delega al capoluogo, da parte dei Comuni compresi nella Città metropolitana, a esercitare le funzioni comunali in materia di servizi a rilevanza economica; il riassetto dei servizi a rete su scala regionale o comunque in modo da consentire economie di scala o di scopo, anche tramite aggregazioni volontarie.

Tra gli incentivi introdotti dal Dm spicca la possibilità per gli enti locali di ripianare le perdite delle società preesistenti all’operazione, in presenza di un piano industriale del soggetto risultante dall’aggregazione che evidenzi entro tre anni successivi il recupero dell’equilibrio economico e finanziario. Sarà importante, tuttavia, approfondire la relazione tra questa norma e l’articolo 14 del Tusp (Dlgs 175/2016) sul «divieto di soccorso finanziario».

Interessanti sono anche l’attribuzione di un minor concorso alla finanza pubblica del 10% rispetto ai criteri definiti nel riparto della legge 178/2020 (comma 853), l’incremento fino al 25% del limite di spesa previsto dall’articolo 9, comma 28 del Dl 78/2010, e il riconoscimento di una riserva fino al 10% nelle assegnazioni delle risorse statali per gli interventi a titolarità degli enti locali relativi al Pnrr per attività di assistenza tecnica o inerenti la politica di sviluppo e coesione territoriale 2021/2027.

A questi incentivi si aggiungono la previsione di linee progettuali dedicate nell’ambito di iniziative di rafforzamento della capacità amministrativa degli enti locali finanziate con risorse dei programmi comunitari e complementari; il riconoscimento di una priorità nell’accesso alle iniziative di supporto tecnico specialistico per il rafforzamento della capacità amministrativa degli enti locali poste in essere da partecipate pubbliche; la previsione di standard di prestazioni migliorativi rispetto ai livelli adeguati di servizio di trasporto pubblico locale e regionale, a livello di ambito o lotto di riferimento; la considerazione, nell’ambito delle procedure di revisione della spesa, dell’efficientamento dalla riorganizzazione dei servizi a rete.

Infine, nel caso di finanziamenti a carico del bilancio statale relativi al servizio oggetto di aggregazione, il Dm chiede che la ripartizione delle risorse preveda un incremento percentuale a favore degli enti che partecipano alle aggregazioni, fermo restando l’ammontare complessivo dei finanziamenti.

Lo sforzo del Mef è apprezzabile, e il risultato raggiunto è forse quello massimo, visto l’handicap di partenza: l’articolo 5, comma 3 del Dlgs stabiliva a monte, e in linea con l’invalicabile criterio di delega, che il Dm non potesse comportare «nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato».

Vista la premessa, gli incentivi ad aggregazioni e riorganizzazioni rischiano di nascere zoppi perché, per quanto il Mef abbia provato a destreggiarsi, i meccanismi individuati potrebbero risultare poco allettanti, proprio per l’impossibilità di conseguire forme di diretta e immediata incentivazione economica.

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