Urbanistica

Standard urbanistici, il Consiglio di Stato indica la strada ai comuni (in attesa che si pronunci la Consulta)

Palazzo Spada: i piani urbanistici attuativi che rispettano anche i parametri statali superano il dubbio di costituzionalità

di Guido Inzaghi*

Nel mese di marzo si era evidenziato il clima di incertezza in merito alla possibilità per il legislatore regionale di introdurre nella legge urbanistica una deroga agli standard urbanistici stabiliti a livello statale dal D.M. n. 1444 del 1968 (gli standard indicano i rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi). A oggi la Corte costituzionale non si è ancora pronunciata, ma la recente sentenza del Consiglio di Stato (n.8821/2022) sugli standard adottati con riferimento all'Ambito di Trasformazione Urbana dello Scalo Farini di Milano ha fornito un importante indirizzo per i Comuni, soprattutto per quelli che devono adottare i piani regolatori o che hanno i piani attuativi in fase di istruttoria (chi scrive è il legale di una delle parti interessate dal giudizio).

Si ricorda infatti che nel marzo scorso lo stesso Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimità costituzionale in relazione all'art. 2-bis, comma 1, del Testo Unico dell'Edilizia, nella parte in cui riconosce alle regioni e alle province autonome la possibilità di derogare agli standard urbanistici fissati dal D.M. del 1968. In quell'occasione il Giudice amministrativo ha ritenuto che l'indeterminatezza della legge statale consentisse di fatto una derogabilità senza limiti della dotazione di standard urbanistici comunali da parte delle regioni, in violazione della normativa costituzionale in materia di riparto di competenze tra Stato e regioni. In pratica, l'impianto normativo consentirebbe ai Comuni, in attuazione della legge regionale, di incrementare la dotazione di aree per servizi pubblici o di interesse pubblico in misura sensibilmente superiore rispetto alle determinazioni previste a livello statale.

Allora era stata prospettata l'opportunità di assicurare, in via prudenziale, una "duplice conformità", per cui la dotazione di standard prevista nei piani attuativi rispettasse sia la legge statale, sia la legge regionale. Con sentenza n. 8821 del 17 ottobre 2022, il Consiglio di Stato ha riconosciuto come l'adozione di piani urbanistici attuativi che rispettino anche i parametri statali sia la soluzione pragmatica per consentire un'applicazione del quadro normativo vigente superando il dubbio di costituzionalità. La pronuncia ha infatti riconosciuto la legittimità degli standard specificamente adottati con riferimento all'Ambito di Trasformazione Urbana dello Scalo Farini – e, pertanto, ha escluso la rilevanza della questione di costituzionalità - in quanto, all'esito delle operazioni di verificazione, ne è stata accertata la relativa adeguatezza. Per giungere a questa conclusione il Consiglio di Stato ha ritenuto necessario avvalersi di un verificatore esterno che vagliasse gli aspetti tecnici adottando gli standard di cui al D.M. del 1968 quale parametro di riferimento della valutazione in ordine all'adeguatezza del fabbisogno residenziale minimo, del fabbisogno residenziale di attrezzature pubbliche di interesse generale e del fabbisogno non residenziale.

Non deve pertanto ritenersi che l'art. 2-bis, comma 1, TUE riconosca una "delega in bianco" alle regioni, in quanto allo Stato rimane la competenza in materia di determinazione delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire sull'intero territorio nazionale. In altri termini, il Consiglio di Stato sembra dare un monito ai Comuni che operano in attuazione della legge regionale, chiamandoli al rispetto del DM almeno nelle more della pronuncia della Corte, al fine di superare lo stallo dato dalla richiamata situazione di incertezza. Un'incertezza che indubbiamente rimane, visto che la Consulta potrebbe ancora dichiarare l'illegittimità della legge nazionale che consente alle regioni di derogare agli standard del DM e, in via consequenziale, della legge regionale medesima, che introduce appunto una disciplina degli standard urbanistici potenzialmente derogatoria dei limiti nazionali (in Lombardia, l'art. 103, comma 1-bis, L.R. n. 12/2005).

È sempre auspicabile una riforma settoriale da parte del legislatore nazionale, se non anche del legislatore costituzionale, al fine di avere finalmente regole certe sul riparto di competenze in materia urbanistica, visto che frequentemente la Corte costituzionale è stata chiamata a sopperire alla mancanza di un quadro legislativo chiaro, con un evidente pregiudizio per gli enti locali, i privati e l'interesse collettivo.Tuttavia, anche considerata la difficoltà di adottare una legge urbanistica nazionale che detti solo i principi, l'impostazione pratica offerta dal Consiglio di Stato consente di rispettare il quadro normativo vigente, senza che assuma rilievo l'eventuale violazione da parte del legislatore nazionale (e, conseguentemente, del legislatore ragionale) delle norme costituzionali sulle rispettive competenze in materia di governo del territorio, determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, tutela ambientale, dell'ecosistema e dei beni culturali. I Comuni sono chiamati a una maggiore responsabilità, nella consapevolezza che una eventuale declaratoria di incostituzionalità porterebbe il Giudice amministrativo (o lo stesso Comune in autotutela) ad annullare una dotazione di standard che non rispetti la normativa nazionale.

(*) Bip – Belvedere Inzaghi & Partners; nel giudizio di fronte al Consiglio di Stato relativamente alla sentenza citata, l'autore dell'articolo ha assistito uno degli appellati

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