Fisco e contabilità

Delega fiscale, Lega e Fi: «Cerchiamo una soluzione senza aumenti sulla casa»

Nel Def 9 miliardi extra ma il taglia-tasse fatica a partire

di Gianni Trovati

Sarà la Nadef di settembre l’appuntamento chiave per avviare davvero il meccanismo che taglia la pressione fiscale con gli aumenti di gettito prodotti dalla lotta all’evasione. Ma nemmeno in quell’occasione sarà facile abbandonare la via che fin qui ha tenuto gli incassi nei saldi di finanza pubblica, per contenere deficit e debito.

La promessa eterna delle norme che dicono di tradurre in pratica il «pagare tutti per pagare meno», agitata fin dai tempi del governo Monti, è ora regolata da un bilancino normativo ieri al centro di un’interrogazione al ministro dell’Economia Daniele Franco dal presidente della commissione Finanze Luigi Marattin (Iv). Le previsioni del Def «segnalano un incremento di quasi 9 miliardi rispetto alle entrate tributarie stimate nella Nadef 2021», ha spiegato Franco. In questa somma ci sono anche i frutti della compliance, cioè dell’adesione spontanea (o spintanea, perché indotta soprattutto da fattura elettronica, reverse charge e split payment) dei contribuenti agli obblighi fiscali, che già nel 2018 valevano 4,3 miliardi secondo l’ultimo calcolo della commissione sull’economia sommersa.

Ma per accendere l’automatismo che gira gli incassi extra alla riduzione della pressione fiscale bisogna rispettare due criteri fissati dalla manovra per il 2021: occorre certificare il carattere «permanente» dell’incremento di gettito, ma soprattutto bisogna calcolare nella Nadef un aumento di entrate rispetto ai livelli registrati nel Def. Perché solo questo, o una sua quota, può alimentare l’automatismo taglia-tasse. I quasi 9 miliardi, ha detto Franco, sono già calcolati nel Def: «Ma avendo registrato i 9 miliardi a marzo sarà complicato prevedere a settembre un incremento ulteriore», ribatte Marattin.

Non è difficile invece intuire il punto politico dietro all’intreccio delle regole. I soldi della compliance servono più del pane a una finanza pubblica in tensione fra crescita in frenata e spese per gli aiuti (21 miliardi con in 4 mesi con il decreto di oggi). Ma sarebbero anche la benzina migliore per riaccendere il motore di una riforma fiscale che continua ad arrancare.

La capigruppo di Montecitorio ieri ha deciso il nuovo slittamento al 9 maggio per l’arrivo della delega in Aula. Ma prima bisogna riavviare i lavori in commissione, chiusi fin qui dalla rissa del 7 aprile. E per farlo, ha spiegato ieri lo stesso Marattin che della riforma è il relatore, va trovata l’intesa sull’ennesima riformulazione del testo, soprattutto sulla parte catastale. Oggi il «centrodestra di governo» tornerà a fare il punto dopo il vertice di ieri fra Salvini e Berlusconi in cui si è ribadito, per dirla con il leader azzurro, che bisogna «cercare una soluzione senza prevedere aumenti delle tasse sulla casa».

Sul piano pratico, per il centrodestra la mediazione escluderebbe l’introduzione del «valore patrimoniale» parametrato su quello di mercato, spinto a più riprese da Palazzo Chigi, concedendo però un’azione coordinata dalle Entrate per spingere i Comuni all’aggiornamento delle rendite. Che aumenterebbe in realtà le tasse sul mattone, a carico di chi fin qui ha pagato poco in base a parametri archelogici. Ma resta da capire che cosa ne pensa il centrosinistra. E che cosa ne pensa il governo.

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