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Canone sulle occupazioni realizzate dalle compagnie telefoniche a un bivio: chi pagherà?

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di Alessandro Merciari (*) - Rubrica a cura di Anutel

Si farà presto luce sulla corretta applicazione del canone stabilito al comma 831 della Legge 160/2019 a carico delle società che erogano i servizi di rete, in particolare per quelle che erogano i servizi di telefonia per mezzo di cavi e condutture presenti nel sottosuolo dei territori dei nostri Comuni.

Da una parte le società proprietarie delle infrastrutture, titolari delle concessioni di suolo pubblico, che hanno pagato il canone per le proprie utenze interpretando la norma in un certo modo, dall'altra le compagnie telefoniche che utilizzano in via mediata le reti della società concessionaria che ritengono di esserne semplicemente escluse. A conti fatti, a farne le spese sono stati solo i Comuni, che hanno visto il loro gettito più che dimezzato rispetto a qualsiasi previsione. Per ogni amministrazione comunale conoscere l'ordine di grandezza del numero di utenze telefoniche attive nel proprio territorio è piuttosto semplice, moltiplicando il numero complessivo di utenze telefoniche attese per la tariffa fissata dal Legislatore. Le compagnie telefoniche in questi primi anni di gestione del Cup hanno giocato al rimbalzo delle competenze tra titolari delle reti e utilizzatori delle medesime: chi ritiene di dover pagare solo per i propri clienti e chi ritiene la prima debba pagare per tutti. Il risultato è che oggi pochi gestori versano il canone calcolato solo sulle proprie utenze, mentre la maggior parte in molti casi non versa affatto o si limita a versare l'importo minimo di 800 euro.

Davanti ad una realtà di questo tipo, alcuni Comuni hanno iniziato a emettere avvisi di accertamento, dopo i vani tentativi di regolarizzare le posizioni per via bonaria. Ecco quindi, finalmente, l'istaurarsi dei primi contenziosi, via quasi obbligata per risolvere il caso. Perché diciamolo subito, ai Comuni interessa incassare il giusto, ovvero il canone calcolato sulle utenze attive; che sia un operatore a farlo o che siano tutti, ciascuno per la propria quota di mercato, poco importa. Certamente non può essere più tollerato ricevere meno della metà di quanto dovuto.

Per capire meglio le dinamiche e le posizioni assunte dai diversi attori di questa vicenda ricostruiamo il quadro normativo di riferimento.

A decorrere dall'anno 2021, con la legge 160/2019, il Legislatore ha introdotto il canone unico patrimoniale, sostituendo i precedenti prelievi in materia di occupazione suolo pubblico e diffusione di messaggi pubblicitari.

Nell'articolata disciplina della nuova entrata è stata espressamente contemplata la casistica delle occupazioni permanenti effettuate sul territorio comunale mediante cavi e condutture, da chiunque effettuata per la fornitura di servizi di pubblica utilità, tra cui rientrano i servizi di telecomunicazione.

Più precisamente, l'articolo 1, comma 831, della legge 160/2019, norma che fonda il presupposto dell'entrata individuando i soggetti tenuti al pagamento del canone, è stato oggetto di numerosi interventi normativi volti a delinearne il corretto ambito di applicazione.

Nella versione originale del comma 831, oggi del tutto superata e mai entrata in vigore, il Legislatore disponeva che le società titolari di concessioni per le occupazioni di cavi e condutture del sottosuolo per l'erogazione dei pubblici servizi, dovessero versare in base al numero delle proprie utenze, sommandole a quelle delle aziende che usufruivano delle infrastrutture stesse. Il titolare della concessione, in virtù di quanto previsto dalla norma stessa, avrebbe poi esercitato un legittimo diritto di rivalsa sulle aziende utilizzatrici della rete.

Pertanto sotto questo regime, che in realtà, si ribadisce, non è mai entrato in vigore, il soggetto chiamato al pagamento del canone sarebbe stato da individuarsi, per la maggior parte dei comuni italiani, esclusivamente nel concessionario dell'infrastruttura. Lo stesso avrebbe poi potuto legittimamente esercitare il diritto di rivalsa sugli altri operatori telefonici individuati come utilizzatori delle reti mediante collegamenti tecnici quali la Vula (Virtual Unbundled Local Access), l'Nga (Next Generation Access) e lo Slu (Sub-Loop Unbundling).

Con gli acronimi Vula, Slu e Nga ci si riferisce a quelle modalità che gli operatori di rete hanno a disposizione per accedere alla rete dell'operatore che possiede gran parte delle infrastrutture dell'intero Paese.

Successivamente alla prima stesura, Il Legislatore, con il comma 848 della Legge di Bilancio 2021 n. 178/2012 ha completamente stravolto la disciplina riscrivendo il comma 831 e introducendo la cosiddetta «soggettività passiva in via mediata», prevedendo che: «…il canone è dovuto dal soggetto titolare dell'atto di concessione dell'occupazione del suolo pubblico e dai soggetti che occupano il suolo pubblico, anche in via mediata, attraverso l’utilizzo materiale delle infrastrutture del soggetto titolare della concessione sulla base del numero delle rispettive utenze moltiplicate per la seguente tariffa forfetaria…».

È dunque evidente che sotto questo nuovo regime, i soggetti passivi chiamati al pagamento del canone sono individuati, tanto nel concessionario della rete quanto in tutti gli altri operatori telefonici che utilizzano la stessa, in virtù di contratti d'affitto, per portare il servizio nelle case e nelle aziende del Paese, ancorché non concessionari dell'infrastruttura.

Il Legislatore, nel riscrivere il comma 831, si è chiaramente ispirato a quanto sostenuto dal Mef fin dalla nota circolare pubblicata in materia il 20 gennaio 2009. In tale atto si è chiarito come ciascuna società che fruisce a qualunque titolo delle infrastrutture, è tenuta a corrispondere direttamente al competente ente locale gli importi dovuti calcolati in base al numero delle proprie utenze. Questo perché, scriveva il ministero: «effettuano anch’essi un’occupazione di suolo pubblico, seppure in via mediata, attraverso l’utilizzazione dei cavi e delle condutture di altri soggetti». Esattamente quanto ora disposto dal comma 831. Fu proprio il ministero a chiarire, nella sua circolare, come l'evoluzione tecnologica raggiunta nel settore dei servizi di pubblica utilità permettesse un utilizzo delle condutture contemporaneamente da parte di diverse società. Concetto oggi recepito dal comma 831, con il quale si è finalmente posto rimedio agli effetti della liberalizzazione del mercato delle telecomunicazioni, che ha portato in questi anni ad una ingiustificata contrazione di gettito causata dalla fuoriuscita di clienti dal gestore nazionale titolare delle concessioni di suolo pubblico.

Con il criterio di applicazione di Tosap e cosap prima (in base all'articolo 63 del Dlgs 446/1997) e del Cup poi (in base al comma 831 della legge 160/2019), per le occupazioni permanenti realizzate dalle aziende che erogano pubblici servizi il calcolo del canone è basato sul numero delle utenze attive al 31 dicembre dell'anno precedente moltiplicate per la tariffa forfetaria ad utenza stabilita dal Legislatore.

Orbene, finché il mercato della telefonia era gestito esclusivamente da un solo operatore, questo versava per tutte le utenze attive nel territorio; dopodiché, progressivamente, per effetto della liberalizzazione del mercato e della condivisione delle reti con le altre compagnie, le sue utenze si sono ridotte, fino ad arrivare a oggi, dove si registra, sulla base dei dati nazionali contenuti nell'osservatorio sulle telecomunicazioni pubblicato da Agcom (Osservatorio delle Comunicazioni n. 4/2022 del 29/12/2022), la seguente suddivisione: Tim detiene il 41,9% del mercato nazionale, Vodafone il 16,2%, WindTre il 14,3%, Fastweb il 14,1%, oltre ad altre compagnie minori.

Con la prima versione del comma 831, sarebbe stato il concessionario della rete a versare anche per le utenze delle altre compagnie; con l'attuale versione emendata dalla Legge di Bilancio 2021, sono le stesse corporate telefoniche che devono versare il canone in qualità di soggetti passivi in via mediata.

La posizione delle compagnie telefoniche che utilizzano la rete in via mediata è tuttavia diversa. Queste compagnie, che non sono titolari delle infrastrutture, ritengono che la casistica di condivisione delle reti poc'anzi esposta possa ricadere nel raggio di azione della norma di interpretazione autentica successivamente varata e destinata ad altri settori in cui vi è invece una netta separazione tra i due soggetti e giammai una condivisione delle reti come nel caso di specie.

È bene ricordare che esistono dei casi, espressamente previsti dal Legislatore, in cui si assiste ad una separazione netta tra i soggetti titolari delle infrastrutture e i soggetti titolari del contratto di somministrazione del bene distribuito per il tramite delle infrastrutture stesse. Sono i settori del gas e dell'energia elettrica, separati per specifica imposizione normativa in attuazione di direttive comunitarie.

Questo, tuttavia, non è quanto accade nel settore delle telecomunicazioni, dove il Legislatore non ha imposto alcuna separazione ma anzi, in attuazione di altre direttive europee, ha incentivato la condivisione delle reti. Unico caso in cui esiste e trova dunque applicazione la cosiddetta «soggettività passiva mediata« che altrimenti non avrebbe ragion d'essere.

Infatti, grazie ai sistemi di trasmissione tecnologicamente avanzati, il collegamento tra la "Rete Primaria" della compagnia telefonica e la presa del cliente, avviene attraverso l'utilizzo, parziale o completo, di servizi per il collegamento forniti da altri soggetti posti sul territorio. Il principale soggetto, tramite le proprie infrastrutture, centraline e cavidotti, fornisce servizi di collegamento Wholesale in favore di altri operatori attraverso dei cavi posti lungo le strade che, diramandosi, entrano materialmente negli immobili degli utenti. Le diverse compagnie telefoniche, che non possiedono cavi nel territorio, sfrutteranno collegamenti come la Vula, per accedere alla centrale del concessionario, utilizzando un apposito kit di consegna. La natura stessa dell'infrastruttura vuole quindi una compresenza di più operatori che agiscono sulla stessa rete del concessionario che, a sua volta, utilizza l'infrastruttura assieme ai propri competitor. È questa la vera differenza del settore delle Telecomunicazioni rispetto a quanto succede nelle reti del gas e dell'energia elettrica.

Conclusioni
È evidente quindi, in base al quadro normativo attuale, come tutte le compagnie telefoniche dovrebbero versare il Canone per le proprie utenze. Ora la parola passa ai giudici. I magistrati dovranno decidere se a pagare saranno, come si pensa, le diverse compagnie che utilizzano anche in via mediata le reti, o se invece, per effetto della norma di interpretazione autentica, dovrà essere il concessionario a versare per tutti. Di certo non potrà più perpetrarsi la situazione attuale, dove di fatto, a livello nazionale, con circa 20 milioni di utenze attive, viene incassato solo il 42 per cento del gettito totale atteso.

(*) Docente Anutel
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- Verona, 21/03/2023: Le principali novità in materia di tributi locali per il 2023 (9,00-16,30)

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