Urbanistica

Edilizia, nessun condono possibile (e, anzi, obbligo di demolizione) neanche se il vincolo idrogeologico è successivo all'istanza

Lo afferma il consiglio di Stato sottolineando che su questo la Pa non ha margini di discrezionalità

di Massimo Frontera

«Le opere soggette a vincolo idrogeologico non sono condonabili ove siano in contrasto con il suddetto vincolo, anche se questo sia stato apposto, senza che residui alcun diaframma di discrezionalità in capo all'amministrazione interessata dalla domanda di condono ai fini del suo accoglimento, dovendosi anzi provvedere alla demolizione delle opere abusive». Dalla pronuncia del Consiglio di Stato, Sesta Sezione, n.6140/2021, esce ulteriormente rafforzato il principio dell'incondonabilità "assoluta" per opere che ricadono su aree soggette a vincolo idrogeologico, oltre che paesaggistico. Il caso di specie riguarda un complesso e articolato contenzioso nato da un'istanza di condono presentata da un operatore privato (per conto dell'emittente Radio Maria) per un ripetitore realizzato in un'area del territorio del comune di Valdobbiadene (Tv), soggetta a vincolo paesaggistico - ma sulla quale era già stato posto il vincolo idrogeologico - in epoca precedente all'apposizione del vincolo.

A seguito di un parere chiesto dal Comune al ministero dei Beni culturali l'istanza non è accolta e viene anzi disposta la demolizione dell'opera. La complessità della vicenda - che ha visto tre distinte sentenze del Tar Veneto - si deve anche al fatto che l'emitente aveva in passato già realizzato opere edilizie sulla sommità di una montagna, successivamente condonate, alle quali aveva poi installato tralicci, nel tempo potenziati ed elevati in altezza, con anche la richiesta, da parte dell'emittente, di "riordinare" i vari impianti succedutisi nel tempo. Ci sono state poi una decina di altre domande di altri operatori, sempre finalizzate regolarizzare impianti già esistenti in quel sito.

Nel primo grado di giudizio il Tar conferma complessivamente la bontà dell'operato dell'Ente locale e rigetta le impugnazioni. Da qui il ricorso in appello al Consiglio di Stato. L'argomento principale dell'appellante è il seguente: dal momento che i tralicci di cui si è chiesto il condono sono stati realizzati in epoca nella quale non sussistevano vincoli di interesse paesaggistico, il comune non avrebbe dovuto chiedere il parere della Soprintendenza, considerando anche che i tralicci risultavano già autorizzati. Inoltre si contesta l'ingiunzione di demolizione con l'argomento che il comune, nelle norme tecniche attuative del Prg, prevede che gli impianti esistenti possano comunque essere oggetto di interventi di manutenzione, «circostanza - osservano i giudici della Sesta Sezione - che fa ritenere come l'amministrazione non avrebbe potuto ordinare la demolizione, ma avrebbe dovuto stabilire i termini per un loro trasferimento in aree appositamente individuate».



Gli argomenti del Consiglio di Stato/1. Il vincolo paesaggistico
I giudici della Sesta Sezione di Palazzo Spada la pensano diversamente. Per cominciare, richiamano uno spartiacque fondamentale nella vicenda, ricordando che nel 2010 il ministero della Cultura ha dichiarato l'area prealpina e collinare dell'Alta Marca Trevigiana compresa tra i comuni di Valdobbiadene e Segusin di notevole interesse pubblico, apponendo il vincolo di protezione paesaggistica. Successivamente, a partire dal 2011 il Comune di Valdobbiadene ha iniziato ad attuare un piano che individua i siti idonei a ospitare impianti di trasmissione nella fascia montana di oltre 1.300 metri. Scrivono i giudici: «La previsione di regolazione introdotta dalla delibera consiliare del 30 settembre 2011 non si pone in contrasto né con le richiamate disposizioni contenute nel Codice delle comunicazioni elettroniche né con le previsioni della l. 36/2001 (sull'esposizione ai campi elettromagnetici, ndr), in quanto la variante n.49 dispone che "con successiva variante, relativa alla parte collinare e planiziale, verranno individuati gli ulteriori siti che completeranno la dotazione comunale", con la conseguenza che la previsione di cui all'art. 25 delle Nta del Prg costituisce solo una parte della riorganizzazione urbanistico edilizia del territorio, anche con riferimento alla installazione degli impianti, non precludendola in altri siti che dovranno essere definiti». Il fatto che queste opportunità non siano ancora state rese effettive - sottolineano i giudici - cioè che alcune previsioni urbanistiche non siano state definitivamente perfezionate - «non può essere validamente invocato al fine di ritenere illegittima la previsione di cui al più volte citato art. 25». «Semmai, infatti - afferma la pronuncia - i soggetti interessati potranno, con ogni tipo di strumento consentito dall'ordinamento, finanche quello giudiziale, sollecitare e "imporre" all'ente locale l'adempimento dell'obbligo assunto con la richiamata previsione propositiva e con il completamento delle procedure indispensabili per l'approvazione delle ulteriori varianti».

Gli argomenti del Consiglio di Stato/1. Il vincolo idrogeologico
Come si diceva, prima ancora dell'apposizione del vincolo paesaggistico, sull'area già gravava un vincolo idrogeologico. Anche sotto questo profilo il Comune - osserva Palazzo Spada - è stato corretto, in quanto «le opere edilizie abusive fatte oggetto di domanda di condono da parte della società Monte Barbaria non erano comunque condonabili». «A ciò si aggiunga - si spiega nella pronuncia - che, per effetto del contrasto con le prescrizioni edilizio-urbanistiche del Comune di Valdobbiadene, anche sotto tale profilo le opere in questione, seppure insistenti su area valorizzata paesaggisticamente con vincolo imposto solo nel 2010, non erano condonabili. Sicché correttamente il Comune di Valdobbiadene ha sottoposto la questione, per l'espressione del relativo parere, alla Soprintendenza».

La vertenza comunitaria sugli impianti di telefonia mobile
Infine, il Consiglio di Stato esclude che sul caso in giudizio possa incidere la vertenza aperta con il giudice comunitario - dopo la rimessione alla Corte Ue (ordinanza 27 marzo 2019 n.2033) - circa «la compatibilità della previsione nazionale recata dall'art. 8, comma 6, l. 36/2001, laddove è consentito individuare alle singole amministrazioni locali criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile (anche espressi sotto forma di divieto) quali ad esempio il divieto di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di cura ecc.) ovvero attraverso l'imposizione di specifiche e predeterminate distanze, con le previsioni contenute nella normativa unionale e, nella specie, nell'art. 8 n. 1, della direttiva "servizio universale" (2002/22/Ce), che autorizza gli Stati membri, quando decidono di designare una o più imprese per la fornitura del servizio universale, ad imporre alle imprese affidatarie unicamente gli specifici obblighi previsti dalla direttiva stessa e che sono collegati alla fornitura agli utenti finali, non consentendo dunque, il successivo art. 3 n. 2, che uno Stato membro possa imporre ad un'impresa, designata per lo svolgimento del servizio universale, obblighi diversi da quelli previsti dalla direttiva stessa». Il motivo è che, nel caso specifico, «non affiora un comportamento da parte dell'ente locale "effettivamente" limitativo delle opportunità installatorie sussistenti in capo alle imprese di settore nelle aree territoriali di sua competenza, avendo detto ente predisposto una strategia regolatoria, sebbene ancora non definita, che renda possibile l'utilizzo di più siti per la installazione degli impianti. Di conseguenza il rilievo della previsione normativa di cui alla l. 36/2001, la cui interpretazione merita in vaglio della Corte di giustizia UE ad avviso della Sezione, nel caso di specie è sensibilmente attenuato e dunque non determina la necessità di percorrere lo strumento (processuale) della c.d. pregiudiziale eurounitaria».

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