Appalti

Ponte Genova/1. L’accusa della commissione Mit: «Aspi sapeva del rischio, doveva intervenire»

di Alessandro Arona

Il rischio di crollo del Ponte Morandi a Genova era evidente già negli anni scorsi, e ancor più lo era nel progetto di retrofitting di Autostrade del 2017. Eppure il concessionario ha sottovalutato l'«inequivocabile segnale di allarme», ha «minimizzato o celato» la gravità della situazione al Ministero delle Infrastrutture (Mit), e «non ha adottato alcuna misura precauzionale a tutela dell'utenza».
È quanto si legge nelle durissime conclusioni della relazione della Commissione ispettiva del Mit, presieduta dall'ingegner Alfredo Principio Mortellaro, nominata dal ministro Danilo Toninelli subito dopo il crollo del 14 agosto. La relazione è stata pubblicata ieri fa sul sito del Ministero.

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Gli allegati tecnici

Gli ingegneri della commissione (quasi tutti membri del Consiglio superiore) sostengono che per verificare lo stato della corrosione del ponte, già evidente nelle ispezioni visive, avrebbe dovuto essere approfondita con indagini dirette: «L'indagini dirette erano indispensabili - si legge - e tale esigenza era nota ad Aspi». Inoltre, «le indagini dirette avrebbero dovuto essere fatte a tappeto», cioè su moltissimi punti del ponte: «bisognava indagare tutti i cavi», «era indispensabile procedere alle ispezioni dirette e formulare ipotesi cautelative e prudenziali, come documentato da tutti i testi tecnici». Ma Autostrade queste indagini non le ha mai fatte, sostiene la commissione del Mit.

Anche le sole ispezioni visive e qualitative fatte da Aspi - prosegue la relazione del Ministero - «avevano permesso di accertare la presenza di alcuni cavi rotti sulle travi degli impalcati». «Questo inequivocabile segnale di allarme - scrivo gli ingegneri della Commissione ispettiva - non ha fatto sì che venisse estesa l'ispezione a tutti i cavi, né ha fatto adottare adeguati provvedimenti prudenziali, che la mancata estensione di indagine imponeva». «In mancanza di queste ulteriori indagini - si legge - l'unica conclusione possibile era che non meno del 50% dei cavi era rotto, senza poter escludere una situazione peggiore». In sostanza - scrive la commissione del Mit - «le misure adottate da Aspi ai fini della sicurezza strutturale del ponte e della prevenzione della sua corrosione sono state inappropriate e insufficenti considerata la gravità del problema».

Eppure Aspi era a conoscenza di questa situazione di rischio, e lo è diventata ancora di più con il progetto di manutenzione del 2017. Le verifiche fatte ai fini del progetto - scrivono gli ingegneri del Mit - evidenziavano «valori del tutto inaccettabili» circa il degrado e la sicurezza del ponte, «valori a cui doveva seguire, ai sensi delle norme tecniche vigenti, un provvedimento di messa in sicurezza improcrastinabile». «Non fu invece assunto alcun provvedimento con tali caratteristiche, e tale informazione» (sulla gravità della situazione) «di evidente enorme importanza, non fu riferita ai dirigenti della Direzione vigilanza autostrade del Ministero». Fu presentato da Aspi come «mero ripristino conservativo dell'opera, e questo non ha consentito al Mit di coglierne le complessita tecnica, e dunque l'opportunità di inviarlo al Consiglio superiore dei Lavori pubblici per una valutazione» (cosa a cui non era obbligato in quanto opera di importo inferiore ai 50 milioni di euro).

Secondo la relazione, dunque, Aspi avrebbe dovuto segnalare che la situazione era grave, e avrebbe dovuto sollecitare l'intervento di messa in sicurezza come «improcrastinabile». «Aspi - si legge nelle conclusioni - non ha dato corso alle attività precauzionali di verifica e indagine»; «Pur a conoscenza di un accentuato degrado del viadotto Polcevera ... non ha ritenuto di provvedere, come avrebbe dovuto, al loro immediato ripristino e per di più non ha adottato alcuna misura precauzionale a tutela dell'utenza». Avrebbe dovuto, in sostanza, limitare il traffico: «In ordine all'inadempimento degli obblighi manutentivo-conservativi dell'opera, la responsabilità più rilevante per il concessionario consiste nel fatto che, nonostante tutte le criticità sopra evidenziate, Aspi non si è avvalsa, nel caso concreto, dei poteri limitativi e/o interdittivi regolatori del traffico sul viadotto, di cui al combinato disposto dell'art. 6 comma 4 lett. a) e del successivo comma 6 del Codice della strada, e non abbia eseguito conseguentemente tutti gli interventi necessari per evitare il crollo verificatosi».

POCHI INTERVENTI
«Nonostante la vetustà dell’opera - scrive ancora la commissione - e l’accertato stato di degrado, i costi degli interventi strutturali fatti negli ultimi 24 anni (circa 23mila euro all’anno) , tutti concentrati negli ultimi 12, sono del tutto trascurabili».

LE IPOTESI DEL CROLLO
Sono tre le ipotesi sulle cause del crollo di Ponte Morandi formulate dalla speciale Commissione
ispettiva del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, una privilegiata rispetto alle altre ma tutte basate su video a disposizione sul web o addirittura, per la terza ipotesi, frutto di “considerazioni analitiche, non supportata da riprese video”. E comunque, sottolineano gli ingegneri, “allo stato delle informazioni non si possono trarre conclusioni definitive su quale sia stata la causa prima e la conseguente dinamica” per “l'impossibilità di eseguire saggi e prelievi sulla parte crollata e sulle parti rimaste in piedi”.
La prima delle ipotesi avanzate dalla Commissione 'scagiona' lo strallo e parla del crollo
'verosimilmente' della porzione dell'impalcato cassone (ovvero l'insieme delle strutture di sostegno orizzontale del piano stradale del ponte). Il cedimento trascina con sé l'impalcato tampone (ovvero quella parte di 'strada' che non ha appoggi e che è collocato tra le due pile) che, perdendo l'appoggio, entra in 'crisi strutturale' e precipita trascinando con sé un mezzo con la motrice rossa - visibile in alcune immagini - che, sottolineano i periti, “ha un peso totale pari a 44 tonnellate”. Il cedimento dei cassoni causa i collassi degli stralli.
La seconda ipotesi attribuisce l'origine del crollo al collasso di una delle sezioni dell'impalcato cassone tra lo strallo e il puntone dei cavalletti. Il collasso si estende anche alle altre sezioni, facendo entrare in crisi strutturale gli stralli. Lo strallo sud collassa, la porzione di impalcato ruota attorno allo strallo nord e cade. L'impalcato tampone resta senza appoggio e collassa.
Terza ipotesi, avanzata in base a “considerazioni analitiche e non supportata da riprese video” in possesso alla Commissione: il crollo si originerebbe dallo strallo del sistema bilanciato a causa della riduzione di sezione per corrosione dello strallo stesso. La parte sud ovest dell'impalcato cassone si torce e si spezza in due, e il ponte crolla.
La Commissione chiude il capitolo sottolineando che “per quanto notato nel documento, alcune delle sezioni e elementi strutturali delle porzioni rovinate avevano sicurezza insufficiente o incognita. La causa prima del crollo può trovarsi anche nella loro combinazione o nella concomitanza di cause”. In poche parole, quella parte di ponte era decisamente pericoloso.

La relazione (parte prima)

La relazione (parte seconda)

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