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Partecipate, la trasformazione societaria passa al vaglio della Corte dei conti

Anche se secondo le Sezioni Riunite la richiesta non sarebbe stata necessaria

di Stefano Pozzoli

A Roma Capitale arriva, dalla Sezione di controllo della Corte dei conti per il Lazio (Delibera n. 59/2023/PASP), un pesante parere negativo su una operazione societaria.

Si deve notare che, secondo le Sezioni Riunite della Corte dei conti (Delibera n. 19/SSRRCO/QMIG/2022 su Nt+ Enti locali & edilizia del 25 novembre) tale richiesta non sarebbe stata necessaria, visto che l'operazione non avrebbe comportato, per Roma Capitale l'acquisto della qualità di azionista. Ci sfuggono le ragioni di questa decisione ma resta il fatto che l'ente invia la delibera e che la Sezione regionale decide di rispondere.

Questo il fatto: il Comune ha inviato la delibera della Assemblea capitolina n. 49/2023 che autorizza l'acquisto, da parte di Ama Roma, del 49% della Roma Multiservizi Spa, una società, a cui sono affidati una pluralità di servizi di vario tipo, con ricavi che derivano per circa il 70% dal «global service-servizi alla persona» e il resto da servizi di pulizia e dalla manutenzione del verde.

L'operazione prevede che la azienda diventi interamente comunale; di modificare lo statuto secondo i criteri dell'in house providing; di affidare direttamente il servizio scolastico integrato e la cessione dei rami di azienda operanti negli altri servizi, che resterebbero in mano privata.

L'operazione revoca parzialmente la deliberazione n. 99/2018, con cui si era confermata la scelta della società mista e avviato il percorso di gara a doppio oggetto, ricevendo 6 manifestazioni di interesse. Dalla successiva gara era stata esclusa la Rti a cui partecipava la stessa Roma Servizi, la qual cosa ha generato un contenzioso ancora in corso e, a conclusione della gara, è stata proposta l'aggiudicazione a una società cooperativa, quale unica offerta valida pervenuta.

Andiamo al parere della Corte: «l'operazione, così configurata, non supera il test di legalità degli effetti, sotto il profilo del principio di necessità e del criterio della sostenibilità finanziaria. (…) Per necessità … si intende … una necessità relativa, nel senso di dimostrabile e dimostrata maggiore idoneità della partecipazione ad assolvere al compito pubblicistico di fornire un servizio di interesse generale in modo qualitativamente più adeguato e a condizioni economiche più favorevoli rispetto all'ordinaria modalità esternalizzatrice». Gli argomenti addotti, però «risultano infondati».

«Il primo argomento consiste nella sopravvenienza di una normativa statale per cui le istituzioni educative devono usare personale di supporto interno». Tale norma però riguarda una fattispecie del tutto diversa.

Ancora, l'in house providing «resta circondato da un chiaro sfavore ordinamentale» e qui la decisione viene motivata ritenendo che l'affidamento diretto consentirebbe una migliore qualità del servizio, sicura ed evidente, determinato dalla modalità gestoria. Per la Corte «Il ragionamento risulta giuridicamente e concretamente infondato».

Infine «la scelta per la costituzione di una società in house (…) è avvenuta ignorando l'esistenza di un mercato e argomentando, …, il suo fallimento sulla base di un astratto favor logico e normativo per l'affidamento diretto (insussistente)».

Per la Corte, in sostanza, si tratta di una operazione che non tiene conto dei rischi che comporta sotto il profilo economico-finanziario per il Comune, e del tutto forzata sotto il profilo delle motivazioni.

È chiaro, e questa interessante deliberazione della Sezione Lazio lo dimostra, che la novità introdotta dalla legge sulla concorrenza sull'articolo 5 del Testo unico comporta la necessità di ben motivare la sostanza delle proprie scelte, senza ricorrere a facili e indimostrate affermazioni di principio.

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