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Il paradosso di Province e Città: «strategiche» ma senza soldi

Piani da 9 miliardi per scuole e strade ma squilibrio da un miliardo in parte corrente

di Gianni Trovati

Chi è alla ricerca di un esempio sintetico ma efficace dell’inconcludenza del sistema politico e legislativo italiano può guardare alle Province e alle Città metropolitane. Ricacciate dalla crisi in una condizione di sospensione caotica che dura da 8 anni, e promette di proseguire con il naufragio della riforma del Tuel.

Certo, in un Paese atteso da un autunno economicamente pericoloso sotto la minaccia di guerra, inflazione e tassi la riforma delle Province non occupa il centro della scena. Ma proprio le dimensioni non ciclopiche dell'intervento aiutano a evidenziare il grave deficit strutturale nella capacità del procedimento legislativo di produrre risultati. Anche modesti.

Un risultato, preterintenzionale, in realtà esiste, e prende le forme dell’ennesimo paradosso: quello di enti considerati strategici dal Pnrr, che però a decine non hanno i soldi per chiudere la gestione ordinaria entro la scadenza del 31 luglio; destinatari di un’opera di «rafforzamento amministrativo» che permette 4.980 assunzioni in tre anni, senza che però ci siano le risorse per pagare i nuovi stipendi. Mentre una maionese istituzionale impazzita continua a costringere i presidenti a un lavoro in solitaria che per di più procede con un calendario diverso da quello delle assemblee con cui dovrebbero costruire le decisioni.

Come sempre un paio di numeri sono preziosi per inquadrare meglio il problema. Il Pnrr, anche se pure lui inciampato in una crisi politica che produce incertezze molto superiori a qualsiasi possibile flessibilità regolamentare, offre alle Province 1,98 miliardi per ammodernare 1.500 scuole superiori, e 291 milioni per costruire 27 “scuole innovative”. All’altra competenza cruciale delle Province, quella sui 120mila chilometri di strade, pensano i fondi nazionali creati dal 2020, che cumulano 6,7 miliardi entro il 2034. A gestirli sono però chiamate amministrazioni che nella parte corrente hanno 840 milioni di sbilancio fra le entrate e i fabbisogni finanziari certificati dai calcoli sugli standard. Altri 150 milioni di rosso sono nelle Città metropolitane.

In realtà proprio la definizione degli standard a cui si è lavorato in questi anni segna un passo avanti importante, che oltre alla premessa ha prodotto il fondo per le funzioni fondamentali che dagli 80 milioni del 2022 sale fino ai 600 milioni annui dal 2031. Ma questa crescita è troppo lenta: un primo, modesto (tranne che per la Città metropolitana di Roma) intervento è stato inserito nel decreto Aiuti. Ma non basta: e per molti enti la chiusura dei bilanci entro il 31 luglio è un problema al momento privo di soluzione. Che non riguarda solo le amministrazioni già alle prese con il pre-dissesto ma anche realtà più in salute per le quali si può portare con qualche fatica a pareggio il 2022, ma l’ostacolo diventa insormontabile per il 2023-24 (e il bilancio è pluriennale).

Agli amministratori riuniti una decina di giorni fa a Ravenna per l’assemblea nazionale dell’Upi un governo già collabente per la crisi ha promesso nuovi aiuti e un (eternamente) imminente approvazione della riforma del Tuel. Sul primo punto occorrerà vedere quali misure riusciranno a sopravvivere. Sul secondo l'avvio della nuova legislatura sarà l'occasione per riavviare un dibattito che va avanti senza costrutto da circa 20 anni.