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Concorsi: attese fino a 1.021 giorni ma le nuove procedure tagliano i tempi

Nell’indagine ForumPa il censimento di 55 maxi-bandi 2019-2021. La Funzione pubblica: dalla seconda metà dell’anno scorso durata media ridotta a 90 giorni. Boom pensionamenti: dal pubblico impiego il 49% delle uscite con Quota 100

di Gianni Trovati

Corrono nella pubblica amministrazione i contratti a termine degli esperti per l’attuazione del Pnrr. E accelerano i concorsi, anche se la macchina che deve garantire in via strutturale il «rafforzamento amministrativo» degli uffici pubblici italiani deve ancora gestire un’eredità pesante; e completare l’inversione di rotta rispetto a un un pachiderma burocratico che prima delle ultime semplificazioni viaggiava a ritmi incompatibili anche con l’ordinaria amministrazione. E questa battaglia tra il vecchio e il nuovo si è tradotta ieri in un botta e risposta che a conti fatti aiuta a chiarire la questione.

Tempi lunghi

La prima mossa è arrivata dall’edizione 2022 dell’analisi sul lavoro pubblico di Fpa che come ogni anno ha aperto il Forum Pa, arriva dai numeri che misurano i termini del problema.

Le cifre chiave sono quelle dei grandi concorsi, quelli banditi in particolare dalle amministrazioni centrali con un numero di posti più significativo. L’indagine ne ha monitorati 55 dei maggiori fra quelli avviati nel 2019, 2020 e 2021. Quelli conclusi sono 30, il 55%, ma sono in genere i più piccoli fra i grandi: perché le assunzioni realizzate sono 14.500, cioè il 14% delle 103mila messe a concorso. A pesare sono soprattutto i tempi lunghi della scuola, che moltiplica la lista dei posti vacanti.

L’accelerazione

Ma i numeri vanno letti con qualche attenzione, accentuata dalla nota di risposta che nel pomeriggio ha diffuso la Funzione pubblica. Le cifre non dicono che tutto va male, perché lo snellimento delle procedure è stato avviato solo a marzo del 2021 con il decreto Covid (il n.44), quindi nell’ultimo dei tre anni messi sotto osservazione, ed è stato completato con il decreto Pnrr-2, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 30 aprile e ora al Senato per la conversione in legge. Dicono piuttosto che «andava» tutto male, e che l’obiettivo dei «concorsi in 100 giorni» lanciato dal ministro per la Pa Renato Brunetta deve ancora essere raggiunto in pieno. Ma sui numeri pesa «il lungo stop legato alla pandemia», ribatte la Funzione pubblica ricordando anche che istruzione e ricerca, che appesantiscono il conto, hanno organizzato i concorsi in piena autonomia. Se ci si concentra sulle «22 procedure organizzate da Formez nella seconda metà del 2021 con le nuove regole», sottolinea Palazzo Vidoni, «i tempi medi dalla pubblicazione del bando alla conclusione delle prove ammontano solo a 90 giorni. La riforma funziona ed è uno spartiacque, c’è un prima e un dopo il maggio 2021» conclude la Funzione pubblica.

A tempo determinato

Più snella, e quindi più facilmente governabile, la strada dei contratti a termine dei tecnici e degli esperti direttamente collegati al Pnrr. Il censimento indica già 15mila assunzioni, un dato che supera il 50% delle 29mila programmate dal Pnrr e da completare entro il 2023 (i contratti sono in genere triennali e devono chiudersi con il Piano a fine 2026). Le cifre di queste ricerche di personale sembrano contrastare il racconto di una “fuga dalla Pa”, contestato anche da Brunetta, perché le candidature sono state oltre 160mila.

Ma è evidente che la partita vera sul piano strutturale si gioca con le assunzioni a tempo indeterminato, che fra i loro compiti hanno anche quello di rinnovare la Pa più vecchia dell’Ocse. E di farla crescere, almeno stando all’obiettivo indicato a marzo da Brunetta nell’audizione parlamentare sul Pnrr, quando ha parlato di una Pa «più vicina ai 4 milioni di dipendenti che ai 3,2 milioni attuali». Il ministro aveva indicato quest’orizzonte per la fine del decennio: a volerlo raggiungere in 5-6 anni, calcola Fpa, bisognerebbe superare i 200mila nuovi ingressi all’anno, con un ritmo di oltre il 30% superiore all’attuale.

Tutti in pensione

Le battaglie statistiche sono però solo il corollario della questione di fondo, quella di una Pa invecchiata da lunghi anni di reclutamento con il freno tirato che ora produce una gobba previdenziale peraltro tempestivamente gonfiata da Quota 100. Perché nei suoi tre anni di vita Quota 100 si è tradotta nei fatti nel prepensionamento dei dipendenti pubblici, che pur rappresentando il 14,5% degli occupati hanno presentato il 49% delle domande (166mila su 341mila).

Con il risultato che oggi nel mondo pubblico si contano 94 pensionati ogni 100 lavoratori attivi (erano 73 su 100 venti anni fa), e il sorpasso è vicino con i 434mila dipendenti pubblici che hanno già compiuto 62 anni. Mentre le pensioni di anzianità sono tornate a crescere, salendo dal 56% delle uscite 2020 al 59% del 2021, relegando sempre più ai margini quelle di vecchiaia scese dal 18,4% al 17,8%.

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