Amministratori

Anche in edilizia vale il silenzio-assenso

Anche senza requisiti di validità della domanda fissati dalla legge e delle condizioni per ottenere legittimamente il provvedimento espresso

immagine non disponibile

di Pippo Sciscioli

Anche in edilizia vale il silenzio-assenso previsto dall'articolo 20 della legge 241/1990 con il solo decorso del termine a disposizione della Pa per provvedere sull'istanza del privato. E questo, pur in assenza dei requisiti di validità della domanda fissati dalla legge e delle condizioni per ottenere legittimamente il provvedimento espresso.

Il Consiglio di Stato, con l'ultima sentenza sul tema (n. 2661/2023), torna sul delicato argomento dopo la svolta operata con la sentenza n. 5746 della scorsa estate (su Nt+ Enti locali & edilizia del 12 settembre), affermando che anche nella materia dell'edilizia e dell'urbanistica opera il meccanismo del provvedimento silente della Pa con il semplice spirare del termine per provvedere, risultando così illeggittimo l'atto con cui la Pa tardivamente ritenga l'istanza del privato priva dei requisiti di validità previsti dalla normativa di settore.

In tal caso, la Pa dovrà piuttosto adottare, in autotutela, un provvedimento di annullamento del silenzio illegittimamente formatosi dimostrando, tuttavia, i relativi presuposti previsti dall'articolo 21-nonies della legge 241/1990 e cioè il termine massimo di dodici mesi e soprattutto l'interesse pubblico alla rimozione di quello che è ormai un atto formatosi.

In altre parole, perchè si formi il silenzio assenso invocato dal privato sarà sufficiente soltanto il decorso del termine assegnato all'ente dalla normativa di riferimento in relazione al tipo di istanza del privato (per esempio, 60 giorni per il permesso di costruire in base all'articolo 20 del Dpr 380/2001) , anche in presenza di una domanda non conforme a legge.

Sarà' comunque necessario che l'istanza sia aderente al modello normativo astratto prefigurato dal modello normativo astratto prefigurato dal legislatore.

Questo, in nome della semplificazione amministrativa e dello snellimento burocratico ritenuti una delle cause di mancanza di certezza dei tempi per l'avvio di un'attività economica dei privati.

Ma anche nell'ottica del principio di collaborazione, legittimo affidamento e buona fede cui sono informate le relazioni tra cittadini, operatori economici e Pubblica amministrazione in base all'articolo 1, comma 2-bis della legge 241/1990 come modificato dal decreto "Semplificazioni 1" (Dl 76/2020).

Già in precedenza, i giudici di Palazzo Spada avevano motivato la nuova tesi sulla base di una serie di indici normativi e cioè:

• l'espressa previsione di cui all'articolo 21-nonies, comma 1, della legge 241/1990 dell'annullabilità d'ufficio anche nel caso in cui il «provvedimento si sia formato ai sensi dell'art. 20», che presuppone evidentemente che la violazione di legge non incide sul perfezionamento della fattispecie, bensì rileva (secondo i canoni generali) in termini di illegittimità dell'atto;

• l'articolo 2, comma 8-bis, della legge n. 241 del 1990 (introdotto dal Dl n. 76 del 2020 convertito dalla legge n. 120 del 2020), nella parte in cui afferma che «Le determinazioni relative ai provvedimenti, alle autorizzazioni, ai pareri, ai nulla osta e agli atti di assenso comunque denominati, adottate dopo la scadenza dei termini di cui agli articoli 14-bis, comma 2, lettera c), 17-bis, commi 1 e 3, 20, comma 1, […] sono inefficaci, fermo restando quanto previsto dall'articolo 21-nonies, ove ne ricorrano i presupposti e le condizioni», conferma che, decorso il termine, all'Amministrazione residua soltanto il potere di autotutela;

• l'articolo 20, comma 2-bis, prevedendo che «Nei casi in cui il silenzio dell'amministrazione equivale a provvedimento di accoglimento ai sensi del comma 1, fermi restando gli effetti comunque intervenuti del silenzio assenso, l'amministrazione è tenuta, su richiesta del privato, a rilasciare, in via telematica, un'attestazione circa il decorso dei termini del procedimento e pertanto dell'intervenuto accoglimento della domanda ai sensi del presente articolo», stabilisce, al fine di ovviare alle perduranti incertezze circa il regime di formazione del silenzio-assenso, che il privato ha diritto ad un'attestazione che deve dare unicamente conto dell'inutile decorso dei termini del procedimento (in assenza di richieste di integrazione documentale o istruttorie rimaste inevase e di provvedimenti di diniego tempestivamente intervenuti);

• l'abrogazione dell'articolo 21, comma 2, della legge n. 241 del 1990 che assoggettava a sanzione coloro che avessero dato corso all'attività secondo il modulo del silenzio-assenso, «in mancanza dei requisiti richiesti o, comunque, in contrasto con la normativa vigente».

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©