Appalti a rischio contenzioso con il nuovo obbligo di indicazione del Ccnl nei bandi
Il vincolo imposto dal nuovo codice appalti rischia di mettere in difficoltà stazioni appaltanti e imprese e aprire nuovi varchi ai ricorsi
Come noto, l'art. 11 del nuovo codice dei contratti pubblici (sull'applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore) prevede espressamente al c. 1 che «al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quello il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l'attività oggetto dell'appalto o della concessione svolta dall'impresa anche in maniera prevalente» e, soprattutto, al c. 2, che «nei bandi e negli inviti le stazioni appaltanti e gli enti concedenti indicano il contratto collettivo applicabile al personale dipendente impiegato nell'appalto o nella concessione, in conformità al comma 1».
Nelle intenzioni del legislatore, la norma intendeva dare attuazione alla previsione posta dall'art. 1, c. 2, lettera h), n. 2, della legge delega n. 78/2022, da cui trae origine il medesimo codice (vale a dire: «garantire l'applicazione dei contratti collettivi nazionale e territoriali di settore, tenendo conto, in relazione all'oggetto dell'appalto e alle prestazioni da eseguire anche in maniera prevalente, di quelli stipulati dalle associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, nonché garantire le stesse tutele economiche e normative per i lavoratori in subappalto rispetto ai dipendenti dell'appaltatore e contro il lavoro irregolare»), che mirava a conseguire un effettivo risultato applicativo con norme maggiormente pregnanti e vincolanti rispetto a quelle presenti in passato.
Si tratta di una novità assoluta nell'ambito delle disposizioni in materia di contrattualistica pubblica, in quanto, secondo la giurisprudenza prevalente espressasi sul contenuto del precedente Dlgs n. 50/2016, «rientra nella discrezionalità della amministrazione appaltante fissare i contenuti dei servizi da affidare mediante gara, quale aspetto caratteristico del merito amministrativo e sebbene all'interno di queste scelte si collochi anche quella dei requisiti da richiedere per l'espletamento dei servizi oggetto di una gara; tuttavia non rientra nella discrezionalità dell'amministrazione appaltante anche quella di imporre o di esigere un determinato contratto collettivo nazionale di lavoro, tanto più qualora una o più tipologie di contratti collettivi possano anche solo astrattamente adattarsi alle prestazioni oggetto del servizio da affidare» (Cons Stato, sez. V, 23 luglio 2018, n. 4443; id., sez. V, 28 febbraio 2022, n. 1412; sez. V, 15 marzo 2021, n. 2198).
Peraltro, la previsione recata dall'art. 11 del nuovo codice è strettamente correlata al contenuto dell'art. 41, c. 14, secondo cui nei contratti di lavori e servizi, per determinare l'importo posto a base di gara, la stazione appaltante o l'ente concedente individua nei documenti di gara i costi della manodopera, prevedendo che i costi della manodopera e della sicurezza devono essere scorporati dall'importo assoggettato al ribasso, precisando inoltre che resta ferma la possibilità per l'operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell'importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale.
Ebbene, l'insieme delle previsioni sopra richiamate intende restringere le ipotesi in cui, per la frammentazione dei contratti collettivi potenzialmente applicabili nell'ambito del medesimo settore, l'operatore economico finisca con l'optare per un Ccnl che non garantisce al lavoratore le migliori tutele sotto il profilo normativo ed economico.
Rimane tuttavia aperta la questione, altrettanto centrale, della possibile sovrapposizione tra settori di attività e quindi della possibile (quantomeno in astratto) applicabilità di più contratti collettivi conformi alle attività dedotte in affidamento, con ambiti di applicazione compatibili con l'attività oggetto dell'appalto.
In tal senso va letto il comma 3 del medesimo art. 11 del nuovo codice dei contratti pubblici, ispirato alla tutela della libertà di iniziativa economica, che consente comunque agli operatori economici di indicare nella propria offerta il differente contratto che essi applicano, purché però esso assicuri le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante o dall'ente concedente, previsione, questa, da leggersi tuttavia in combinato disposto con il successivo comma 4, che impone all'operatore economico di presentare prima dell'aggiudicazione o dell'affidamento un'ulteriore dichiarazione con la quale lo stesso si impegna ad applicare il contratto collettivo indicato dalla stazione appaltante negli atti di gara per tutta la durata del contratto, ovvero ancora la dichiarazione di equivalenza delle tutele garantite dal Ccnl dal medesimo operatore prescelto rispetto a quanto prescritto dalla committente.
Ma tale quadro normativo garantisce davvero la risoluzione definitiva del problema o piuttosto ne crea di maggiori, lasciando ipotizzare che, nella fase operativa e quantomeno di prima applicazione del nuovo codice, sia elevato il rischio del proliferare del contenzioso?
Dal 1° luglio viene difatti imposto alle stazioni appaltanti, sin dalla fase di progettazione dell'intervento, di individuare il Ccnl su cui "costruire" la gara e la futura esecuzione di lavori, e ciò anche con riferimento alle attività che verranno affidate in subappalto. Il problema, però, si pone non solo nel settore dei servizi (dove si registra la presenza di molti Ccnl diversamente applicati), ma anche nel classico caso di lavori edili ed impiantistici, in cui vi è la concomitante presenza di diversi Ccnl potenzialmente ammissibili (fra gli altri, ad esempio, il Ccnl Edilizia Industria, il Ccnl Settore metalmeccanico, il Ccnl Edilizia Artigianato o addirittura il Ccnl Metalmeccanico Artigianato).
In tale prospettiva, è facilmente ipotizzabile che un operatore economico possa contestare la legittimità di un bando di gara in cui la stazione appaltante abbia indicato un Ccnl diverso da altri astrattamente compatibili e a cui distinti concorrenti potrebbero voler fare riferimento.
Di più: posto che la "scelta" del Ccnl da inserire in un bando di gara incide anche sulla potenziale anomalia delle offerte collocatesi utilmente in graduatoria, che eventualmente rechino il riferimento ad un Ccnl – ed al conseguente costo della manodopera - diverso da quello posto a base della lex specialis (in tal senso va letto il combinato disposto degli artt. 110, c. 1 e 108, c. 9), è di tutta evidenza che la questione appare particolarmente delicata, oltre che pericolosa per la "tenuta" delle procedure di affidamento.
Peraltro, è la stessa Relazione illustrativa al nuovo codice che, pur arrivando ad "assolvere" il legislatore, di fatto ravvisa possibili profili di illegittimità costituzionale delle norme qui in commento, segnalando – forse con troppo ottimismo – che «la previsione non pare in contrasto con l'art. 39 Cost. in quanto non è diretta a estendere ex lege ed erga omnes l'efficacia del contratto collettivo, ma si limita a indicare le condizioni contrattuali che l'aggiudicatario deve applicare al personale impiegato, qualora, sulla base di una propria e autonoma scelta imprenditoriale, intenda conseguire l'appalto pubblico, restando libero di applicare condizioni contrattuali diverse nello svolgimento dell'attività imprenditoriale diversa; e restando libero di accettare o non la clausola dell'appalto pubblico oggetto dell'aggiudicazione (accettando, quindi, anche l'esclusione dalla procedura). I medesimi argomenti possono essere utilizzati per affermare la compatibilità anche rispetto all'art. 41 Cost., tenuto conto altresì che la libera iniziativa economica "non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale". Il consentire alla p.a. la scelta di indicare il Ccnl applicabile alle prestazioni oggetto di gara sembra trovare giustificazione proprio sotto questo profilo (Art. 41, secondo comma, Cost.)».
Tuttavia il rischio c'è, anche perché – non considerando la difficoltà che le stazioni appaltanti saranno chiamate ad affrontare nella corretta e puntuale determinazione del Ccnl da indicare negli atti di gara, profilo, questo, di non poco momento – le conclusioni alle quali perviene la Relazione illustrativa non tengono adeguato conto delle complicazioni legate ad una valutazione (connotata comunque da ampi spazi di discrezionalità) in merito alla effettiva «compatibilità» e alla «equivalenza» fra diversi Ccnl, né tantomeno dell'indirizzo giurisprudenziale formatosi sull'argomento che, sebbene basato sulla diversa disciplina recata dal Dlgs n. 50/2016, può comunque rappresentare l'espressione di principi di portata generale, quindi ancora validi anche nella vigenza del nuovo codice.
In particolare, il Consiglio di Stato, in diverse occasioni (fra cui sez. V, 15 marzo 2021, n. 2198), ha avuto modo di precisare che l'imposizione di un determinato Ccnl potrebbe presentare profili di illegittimità, soprattutto qualora una o più tipologie di Contratti possano anche solo astrattamente adattarsi alle prestazioni oggetto del servizio da affidare (Cons. Stato, sez. V, 23 luglio 2018, n. 4443; id. 5 ottobre 2016, n. 4109), con la conseguenza che l'applicazione di un Ccnl diverso da quello indicato dalla lex specialis di gara non può essere a priori sanzionata dalla stazione appaltante con l'esclusione per inammissibilità dell'offerta (Cons. Stato, sez. III, 2 marzo 2017, n. 975; 9 dicembre 2015, n. 5597), valendo tale assunto anche in relazione alla valutazione di anomalia dell'offerta, legata al costo della manodopera in relazione al Ccnl di riferimento (Cons. Stato, sez. V, 1 marzo 2017, n. 932; id. 12 maggio 2016, n. 1901).
A ciò va aggiunto che, in una recentissima sentenza, il medesimo Consiglio di Stato ha affermato che la clausola della lex specialis che imponga il divieto di ribasso sui costi della manodopera (il che vale ancor di più laddove legato ad un differente Ccnl applicato) sarebbe in flagrante contrasto «più in generale, con il principio di libera concorrenza nell'affidamento delle commesse pubbliche» (Cons. St., sez. V, 9 giugno 2023, n. 5665). Sulla base di questi presupposti, ci attende una stagione di difficile applicazione delle nuove regole e, soprattutto, ad elevato rischio di contenzioso, il tutto in un momento cruciale per il Paese, in cui è essenziale procedere all'attuazione di numerosi interventi di primaria importanza, anche finanziati dal Pnrr.
(*) Avvocato, partner, Head of public law & infrastructure services, Osborne Clarke