Cartellino, licenziamento anche per la timbratura falsa fuori orario
Lo ha stabilito la Corte si cassazione tracciando il perimetro di applicazione dell'articolo 55-quater
Integra la falsa attestazione di presenza in servizio, prevista dall'articolo 55-quater, comma 1, lettera a, del Dlgs 165/2001, con conseguente legittimità del licenziamento disciplinare irrogato, il comportamento del dipendente pubblico che timbri in entrata e in uscita in orario non lavorativo (in cui non erano dovute prestazioni lavorative), ma che, in realtà, si assenti dalla propria postazione. Sono questi i contenuti della sentenza della Corte di cassazione, sezione Lavoro, n. 3055/2021.
Il fatto affrontato
Una pubblica amministrazione ha applicato nei confronti di un lavoratore la sanzione massima del licenziamento per aver falsamente attestato la propria presenza in servizio (nel caso di specie poco più di due ore in una determinata giornata) senza essersi effettivamente recato presso la propria postazione.
La sanzione comminata, che tiene conto anche di pregressi procedimenti disciplinari a carico del dipendente, deriva all'applicazione dell'articolo 55-quater, comma 1, lettera a), del Dlgs 165/2001, introdotto dal decreto «furbetti del cartellino» (Dlgs 116/2016), il quale prevede la sanzione disciplinare del licenziamento nel caso di «falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia».
Il dipendente si è rivolto al giudice ordinario per chiedere il suo reintegro.
Il ricorrente ha fondato la sua difesa su presupposto che l'ente non potesse contestare una falsa attestazione di presenza in ufficio poiché le timbrature in questione erano state effettuate al di fuori del proprio ordinario orario di lavoro.
Il licenziamento è stato confermato sia nel primo che nel secondo grado di giudizio, così che il lavoratore a promosso ricorso in Cassazione.
La decisione
In primo luogo, la Corte traccia il perimetro di applicazione dell'articolo 55-quater, comma 1, lettera a, del Dlgs 165/2001, con cui è stata introdotta una tipizzazione di fattispecie di illeciti disciplinari per i quali è prevista l'applicazione del licenziamento, senza dimenticare di richiamare la consolidata giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto.
In particolare, viene sottolineato come l'introduzione del comma 1 -bis nell'articolo 55-quater del Dlgs 165 del 2001 (avvenuta con il Dlgs 116/2016) non ha portata innovativa, ma vale come interpretazione chiarificatrice del concetto di «falsa attestazione dì presenza»: è falsa attestazione (prima e dopo la riforma) non solo l'alterazione/manomissione del sistema automatico di rilevazione delle presenze, ma anche il non registrare le uscite interruttive del servizio.
Dal quadro sopra delineato, si legge nella sentenza, occorre rimarcare e valorizzare la fraudolenza dell'azione nonché l'interesse del dipendente a ottenere l'attestazione circa l'effettiva prestazione del servizio, a sua volta condizione per la retribuzione.
Anche qualora l'erogazione stipendiale (incentivo) fosse subordinata a una valutazione conclusiva dell'operato del lavoratore, riservata al datore, non si esclude la valenza sintomatica del contegno tenuto e dell'intenzione di simulare la prestazione di una attività in realtà mai resa nonché di avvalersi dell'attestazione di presenza per tentare di conseguire l'emolumento. La Corte di cassazione ha dichiarato, pertanto, il ricorso inammissibile promosso dal dipendente e lo condanna al pagamento delle spese di lite.