I temi di NT+Tributi e bilanci a cura di Anutel

Chi paga i debiti tributari nelle associazioni non riconosciute

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di Antonia Panico - Rubrica a cura di Anutel

L'ingerenza nella gestione sociale è fonte di responsabilità personale. L'autonomia patrimoniale delle associazioni non riconosciute è rappresentata da quell'imperfetto regime che coinvolge il patrimonio personale dei soggetti che hanno partecipato alle vicende sociali. Seppur priva di personalità giuridica, l'associazione non riconosciuta risponde alle obbligazioni sorte durante la vita sociale mediante il fondo comune. Tuttavia, la garanzia delle obbligazioni viene estesa al patrimonio di coloro che hanno agito in nome e per conto dell'associazione, intendendosi come tali i soggetti che hanno concretamente svolto l'attività negoziale, anche se non titolari del potere di rappresentanza. Come già rimarcato dalla Corte di cassazione con la pronuncia n. 12473/2015 «[…] questa responsabilità non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell'associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell'associazione, con la conseguenza che l'obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia "ex lege", assimilabili alla fideiussione (Cassazione n. 25748/2008, n. 29733/2011)». Pertanto, chi agisce in nome e per conto dell'associazione è chiamato a rispondere alle obbligazioni, concorrendo ai sensi dell'articolo 1292 del codice civile, con la conseguenza che questa forma di garanzia può essere utilizzata dal terzo, in via solidale, solo se sussiste la responsabilità dell'associazione stessa. Dalla lettura congiunta dell'articolo 38 e dell'articolo 1292 del codice civile, sembrerebbe che la solidarietà scaturisca dall'attività effettivamente posta in essere dal soggetto, a nulla rilevando la carica rivestita, in quanto la voluntas rappresenta elemento determinante per porre in essere un negozio giuridico.

Tuttavia, è bene sottolineare che i rapporti tributari si caratterizzano non di certo per la sinallagmaticità delle prestazioni, bensì per la loro previsione ex lege, alla base del rapporto obbligatorio e del presupposto d'imposta.

Questo principio è stato ricostruito con la sentenza della I sezione della Ctr Marche n. 1066/1/2021 del 20 settembre scorso, nel giudizio promosso dall'agenzia delle Entrate contro il presidente di un'associazione non riconosciuta, con la quale i giudici marchigiani hanno accolto le doglianze dell'ufficio, sostenendo che chi agisce in un negozio giuridico per conto delle associazioni non riconosciute e ha contribuito all'adozione delle decisioni volte alla creazione di rapporti obbligatori di natura tributaria, per i debiti d'imposta «è chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la complessiva gestione associativa nel periodo considerato (Cassazione, sentenza n. 5746/2007, Cassazione, ordinanza n. 12473/2015; Cassazione, sentenza n. 19486/2009;)». Nel caso oggetto della controversia, il presidente dell'associazione, nell'esercizio della propria carica, aveva omesso alcuni adempimenti ai fini Ires/Irap, ma nel contempo aveva preso parte attivamente agli istituti deflattivi del contenzioso in diverse annualità d'imposta, palesando l'effettiva discrezionalità nelle scelte sociali tali da far presumere l'ingerenza nella gestione.

I giudici di seconde cure, pronunciandosi in merito alla responsabilità delle associazioni nei rapporti tributari, hanno stabilito che la soggettività passiva per effetto delle disposizioni normative vigenti prescinde dalla volontà di porre in essere un determinato rapporto obbligatorio. Questa sottile distinzione comporta un diverso trattamento processuale del soggetto coinvolto nel processo decisionale. Se, infatti, l'attività svolta dal soggetto si inquadrasse alla stregua di responsabilità sussidiaria, l'onere della prova incomberebbe sull'ufficio accertatore, il quale dovrebbe provare il coinvolgimento del soggetto nell'attività negoziale; tuttavia in sentenza, i giudici marchigiani hanno ribaltato questa posizione. Infatti, l'esercizio del potere scaturente dalla carica non può prescindere dal ruolo rivestito, determinando l'inevitabile ingerenza nell'attività gestionale, quali elementi sufficienti a far presumere la responsabilità personale di chi ha agito al verificarsi del relativo presupposto (d'imposta).

Attraverso la suddetta presunzione, pertanto, si configura il presupposto sotteso alla responsabilità personale - e non solo solidale - del rappresentante derivante dalla gestione associativa.

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