Appalti

Collegio consultivo tecnico, istruzioni per l'uso (in attesa delle linee guida Mims)

Le questioni aperte: rapporto concessionario-appaltatori, incompatibilità; conflitto con Rup e direttore lavori

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di Roberto Mangani

Il primo Decreto semplificazioni (Decreto legge 76/2020, convertito nella legge 120/2020) ha introdotto l'istituto del Collegio consultivo tecnico (articolo 6), la cui disciplina è stata successivamente integrata dal Decreto Legge 77/2021, convertito nella legge 108/2021 (articolo 51, comma 1, lettera e). L'istituto si pone sulla scia dei numerosi strumenti che il legislatore ha previsto negli anni per dirimere le controversie tra stazione appaltante e appaltatore relative alla fase esecutiva. L'obiettivo dichiarato è quello di essere più incisivo rispetto a tali istituti, sia sotto il profilo dell'ampliamento dell'ambito di applicazione che sotto quello della semplificazione e accelerazione dei processi decisionali sia, infine, in relazione alla vincolatività delle determinazioni assunte dal Collegio. Sotto quest'ultimo profilo va evidenziato che la funzione del Collegio non è di mero supporto alle parti e in particolare alla stazione appaltante, poiché le decisioni da esso assunte hanno natura vincolante, sia pure con alcuni temperamenti collegati all'espressione di una diversa volontà delle parti.

La norma legislativa si limita a indicare i caratteri essenziali dell'organismo, ma la definizione delle concrete modalità di funzionamento, finalizzate anche a risolvere alcuni dubbi operativi, è demandata – a seguito dell'integrazione disposta dall'articolo 51 del Dl 108/2021, che ha inserito il comma 8-bis all'articolo 6 del DL 76/2020 – a un provvedimento del ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, da emanarsi previo parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici. In particolare, questo provvedimento dovrà contenere le Linee guida volte a definire i requisiti di professionalità e i casi di incompatibilità dei componenti del Collegio, i criteri preferenziali per la loro scelta, i parametri per la determinazione dei relativi compensi, le modalità di costituzione e funzionamento del Collegio, il coordinamento con gli altri istituti deflattivi del contenzioso.


Queste Linee guida non sono ancora state emanate. Tuttavia, ancor prima che fosse introdotta questa modifica normativa, il Consiglio superiore dei lavori pubblici aveva emanato in data 21 dicembre 2020 delle proprie Linee guida per l'omogenea applicazione dell'istituto da parte delle stazioni appaltanti. Considerato che le nuove Linee guida del Mims dovranno essere emanate previo parere del Consiglio superiore, le indicazioni contenute nel documento da quest'ultimo predisposto in data 21 dicembre 2020 possono ragionevolmente rappresentare un'indicazione significativa sui contenuti del futuro provvedimento del Mims. Alla luce di questo quadro complessivo, è utile soffermarsi su alcuni dei profili più rilevanti connessi al funzionamento dell'istituto.

L'ambito di applicazione
Il Collegio deve essere istituito obbligatoriamente per tutti i contratti relativi a lavori di importo pari o superiore alla soglia comunitaria. I contratti sono sia quelli già in corso sia quelli la cui stipulazione è prevista fino al 31 dicembre 2023 (termine così prorogato dal Dl 77/2021). Va evidenziato che in relazione all'importo dei lavori e in particolare al raggiungimento della soglia comunitaria che rende obbligatoria l'istituzione del Collegio, il Parere del 21 dicembre 2020 del Consiglio Superiore dei lavori pubblici ha precisato che tale obbligo scatta anche nell'ipotesi in cui la soglia venga raggiunta a seguito di varianti disposte in fase esecutiva. La norma parla genericamente di lavori finalizzati alla realizzazione di opere pubbliche, non fornendo specifiche indicazioni se il Collegio debba essere costituito non solo con riferimento ai contratti di appalto – il che è pacifico – ma anche ai contratti di concessione di lavori.

In realtà nella formulazione testuale delle previsioni si fa sempre riferimento alla nozione di stazione appaltante. Inoltre, la funzione dell'istituto sembra adattarsi alle controversie tra ente appaltante e appaltatore e non a quelle tra concedente e concessionario. Si deve quindi ragionevolmente ritenere che il Collegio vada istituito con esclusivo riferimento ai contratti di appalto. Resta il dubbio se l'obbligo all'istituzione sussista eventualmente per i concessionari nei rapporti con gli appaltatori, tenuto conto che la nozione di stazione appaltante ricomprende anche i soggetti privati – appunto i concessionari – che sono tenuti nell'affidamento e nell'esecuzione dei lavori a rispettare le norme del D.lgs. 50/2016. L'ambito di operatività del Collegio è chiaro e molto esteso: assistenza per la rapida risoluzione delle controversie o delle dispute tecniche di ogni natura suscettibili di insorgere nella fase esecutiva dei lavori. Il termine assistenza, come già rilevato, va inteso in termini stringenti, in quanto la funzione del Collegio non è semplicemente di supporto alle parti, ma assume una valenza decisoria.

Quando il collegio è facoltativo
Fin qui le previsioni relative all'obbligo di istituzione del Collegio. Vi sono poi due ipotesi in cui tale istituzione non è obbligatoria ma facoltativa. La prima riguarda le opere di importo inferiore alla soglia comunitaria, per le quali le parti possono nominare il Collegio, anche eventualmente limitandone le funzioni solo ad alcune di quelle previste in via generale. Si deve ritenere che, trattandosi di istituzione volontaria, sia necessario il consenso di entrambe le parti. La seconda ipotesi si riferisce alla istituzione del Collegio nella fase antecedente l'esecuzione del contratto, cioè per dirimere questioni inerenti le caratteristiche delle opere o le clausole o condizioni del bando o dell'invito alla gara o ancora la verifica del possesso dei requisiti di partecipazione o dei criteri di aggiudicazione. In questo caso la scelta se istituire il Collegio è di esclusiva spettanza dell'ente appaltante, che è anche chiamato a nominare due membri, mentre la nomina del terzo è di competenza del Mims o delle regioni.

Si tratta quindi di un'ipotesi profondamente diversa dalle precedenti, in quanto il Collegio non è chiamato a dirimere controversie con la presenza di un rappresentante dell'appaltatore - che allo stato non può esistere in quanto tale, trattandosi di fase antecedente all'aggiudicazione - ma svolge piuttosto una funzione di supporto consulenziale a favore della stazione appaltante. È peraltro evidente che le eventuali determinazioni assunte dal Collegio non possono in questo caso assumere carattere vincolante, per l'impossibilità di limitare l'ambito della giurisdizione amministrativa eventualmente attivabile da chiunque vi abbia interesse.

Composizione e requisiti dei componenti
Il Collegio è formato da un numero di componenti ricompreso da tre a cinque, a scelta della stazione appaltante in relazione alla complessità dell'opera o all'eterogeneità delle professionalità richieste. La nomina può avvenire di comune accordo, ovvero ciascuna delle parti (ente appaltante e appaltatore) può nominare i componenti di propria spettanza (uno o due per parte). Il Presidente è invece scelto d'intesa dagli altri componenti o, in caso di mancata intesa, dal Mims per le opere di interesse statale o dalle regioni (o province autonome o città metropolitane) per le opere di rispettivo interesse. Per quanto attiene i requisiti, l'indicazione normativa è generica, precisandosi che si deve trattare di ingegneri, architetti, giuristi ed economisti con comprovata esperienza nel settore degli appalti e delle concessioni di opere pubbliche. Una più puntuale definizione dei requisiti è demandata alle emanande Linee guida. Al riguardo, indicazioni molto articolate sono già state fornite nel Parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici – ed è quindi presumibile che verranno recepite nelle Linee guida - che ha definito in maniera dettagliata le esperienze che possono costituire titolo preferenziale per la nomina, riferite distintamente alle tre categorie degli ingegneri e architetti, dei giuristi e degli ecomomisti.

Le cause di incompatibilità
Un aspetto importante riguarda le cause di incompatibilità per la nomina, la cui definizione è demandata anche in questo caso alle Linee guida. Al riguardo, se si assume al momento come riferimento il richiamato Parere del Consiglio superiore, lo stesso indica tra le cause di incompatibilità – oltre a quelle più tradizionali quali situazioni di conflitto di interessi o mancanza di requisiti reputazionali e di onorabilità – lo svolgimento sia per l'ente appaltante che per l'appaltatore di attività di controllo, verifica, progettazione, approvazione, autorizzazione, vigilanza e direzione sui lavori oggetto dell'affidamento. Si tratta di una concezione di incompatibilità assai stringente e di cui si fa fatica a comprendere fino in fondo la ratio. Non si capisce infatti per quale motivo chi ha svolto funzioni di questo tipo sarebbe incompatibile a esaminare e decidere su questioni che, proprio in relazione alle funzioni svolte, dovrebbe avere maggior titolo a conoscere e valutare. Peraltro questa formulazione appare, se non proprio in contrasto, certamente non in piena sintonia con la modifica introdotta dal Dl 108/2021 con cui il legislatore ha inteso precisare che i componenti del Collegio vanno individuati, sia per l'ente appaltante che per l'appaltatore, tra i dipendenti o tra persone legate da rapporti di lavoro autonomo o di collaborazione anche continuativa. Per questi soggetti non vi sono quindi ragioni di incompatibilità, ed è difficile ipotizzare – se non complicando molto l'effettività funzionalità dello strumento, specie per le realtà organizzative meno strutturate - che gli stessi possano essere completamente estranei alle attività elencate nel richiamato Parere.

La vincolatività delle determinazioni del Collegio
Per espressa previsione della norma le determinazioni del Collegio hanno natura di lodo contrattuale ex articolo 808-ter del Codice di procedura civile. Ciò significa che le stesse sono annullabili dal giudice competente esclusivamente nei limitati casi previsti da tale norma (accordo invalido, difetto di nomina, violazione delle regole procedurali, mancanza di contraddittorio). È tuttavia previsto che le parti possano con espressa dichiarazione di volontà escludere che le determinazioni abbiano natura di lodo contrattuale, con le conseguenti limitazioni ai fini della loro impugnazione davanti al giudice competente. Si deve ritenere, anche al fine di non incorrere in una illegittimità costituzionale della previsione, che la volontà negativa possa essere espressa anche da una sola delle parti. Quanto alla vincolatività delle determinazioni, l'eventuale inosservanza delle stessa da parte dell'ente appaltante costituisce indice di responsabilità per danno erariale, mentre per l'appaltatore configura grave inadempimento degli obblighi contrattuali, salvo prova contraria.

Eventuali conflitti con il Rup e il direttore lavori
Questi effetti sembrano operare in termini generali, e cioè anche nell'ipotesi in cui le determinazioni non abbiano natura di lodo contrattuale. Quindi, in quest'ultima ipotesi, le parti hanno ampia libertà di azione ai fini dell'impugnazione, ma sono comunque soggette – almeno fino a diversa eventuale decisione del giudice ordinario – agli effetti sopra indicati. Resta peraltro la questione, tutt'altro che secondaria e che andrà attentamente valutata, dei rapporti tra le determinazioni del Collegio e i compiti e le prerogative propri degli altri soggetti che intervengono nella fase esecutiva per conto dell'ente appaltante, quali il Rup e il direttore lavori.

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