I temi di NT+Tributi e bilanci a cura di Anutel

Dalla Cassazione i requisiti per l’esenzione dei beni merce ai fini Imu

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di Stefano Baldoni (*) - Rubrica a cura di Anutel

I fabbricati acquistati pur se destinati alla ristrutturazione non possono beneficiare dell’agevolazione prevista dalla normativa Imu. La ristrutturazione di un fabbricato comporta il mutamento del criterio di determinazione della base imponibile, da quello basato sulla rendita catastale tipico dei fabbricati, al valore venale dell’area edificabile, solo dopo che i lavori sono effettivamente iniziati.

Questi sono gli importanti principi che si possono desumere dall’ordinanza della Corte di cassazione n. 3094 del 2 febbraio 2024.

Una società ha contestato l’avviso impositivo Imu con cui un Comune non ha riconosciuto alla stessa l’esenzione prevista dall’articolo 13, comma 9-bis, del Dl 201/2011 nel caso di fabbricati costruiti e destinati alla vendita dall’impresa costruttrice, per tutto il periodo in cui persiste questa destinazione. In particolare, l’esenzione veniva invocata per un fabbricato dismesso acquistato dal contribuente al fine di ristrutturarlo e, previo frazionamento, rivenderlo, siccome suscettibile di riqualificazione, previo piano attuativo. Considerando che il ritardo era dovuto anche al fatto che l’ente locale aveva diniegato la stipula della convenzione attuativa necessaria per la ristrutturazione del complesso immobiliare.

La Corte di cassazione ha ribadito il principio di tassatività delle fattispecie esonerative previste dalle norme, in quanto sono un’eccezione alla regola generale di applicazione del tributo. Così come vige il principio in relazione al quale è pacificamente escluso che la tassazione possa investire oggetti o soggetti non espressamente indicati dal dato normativo, allo stesso modo le norme agevolative non possono essere oggetto di interpretazione estensiva. La Corte ha osservato che la norma non comprende la casistica del fabbricato immesso nel mercato immobiliare (per l’acquisto operato dall’impresa), seppur per una successiva attività di costruzione, non sussistendo al momento del detto acquisto né l’esistenza di un fabbricato «costruito» dal soggetto passivo Imu, e destinato alla vendita (ovvero alla sua ristrutturazione edilizia), né la permanente destinazione alla vendita del bene (Cassazione, 28 marzo 2022, n. 9897). Sebbene si ricorda che il Ministero dell’economia e delle finanze, con la risoluzione n. 11/DF del 11/12/2013, ha ritenuto che sia equiparabile alla costruzione, al fine dell’agevolazione, la ristrutturazione del fabbricato, in quanto interventi edilizio “pesante”.

La disposizione intende agevolare la fattispecie di fabbricati costruiti e destinati alla vendita, con l’intento di favorire le imprese operanti nel settore, evitando di gravarle di un tributo incidente sul magazzino. Fattispecie lontana da quella esaminata nel contenzioso, poiché il fabbricato non può dirsi costruito dall’impresa acquirente e non è altrettanto sussistente la destinazione alla vendita, che al momento era un mero intento del proprietario, una volta effettuati i lavori di ristrutturazione, intento peraltro in nessun modo verificabile.

Quanto sopra è un principio valido anche nella “nuova Imu”, entrata in vigore dal 2020 ad opera della legge 160/2019. Si ricorda, infatti, che la disposizione prevista dall’articolo 13, comma 9-bis, del Dl 201/2011 è stata interamente riproposta dal comma 751 dell’articolo 1 della citata legge 160/2019, seppure come trattamento agevolato in termini di aliquota per gli anni 2020 e 2021 e come esenzione solo a decorrere dal 2022.

In merito alla seconda questione, va ricordato preliminarmente che l’articolo 5, comma 6, del Dlgs 504/1992, valido anche nell’Imu ai sensi dell’articolo 13, comma 3 del Dl 201/2011 e riproposto nella “nuova Imu” dall’articolo 1, comma 746, della legge 160/2019, stabilisce che in caso di utilizzazione edificatoria dell’area, di demolizione di fabbricato, di interventi di ristrutturazione, restauro o risanamento conservativo (articolo 3, lettera c), d) e f) del Dpr 380/2001), la base imponibile è costituita dal valore dell’area, la quale è considerata fabbricabile anche in deroga a quanto stabilito dalla definizione di area fabbricabile e di fabbricato, senza computare il valore del fabbricato in corso d’opera, fino alla data di ultimazione dei lavori di costruzione, ricostruzione o ristrutturazione ovvero, se antecedente, fino alla data in cui il fabbricato costruito, ricostruito o ristrutturato è comunque utilizzato.

Il ricorrente sosteneva che nella fattispecie di fabbricato dismesso, acquistato per la successiva ristrutturazione, il criterio di determinazione della base imponibile basato sul valore venale del sedime dello stesso fosse applicabile indipendentemente dall’effettivo avvio dei lavori, per la semplice circostanza che il bene immobile era stato acquistato per essere ristrutturato, previa riqualificazione dell’area con piano attuativo presentato dallo stesso contribuente al comune (pur se il Comune aveva negato la possibilità di procedere alla stipula della convenzione).

La Corte non ha accolto la tesi del contribuente evidenziando, correttamente, che l’applicazione di detta disposizione necessariamente presuppone la realizzazione dell’intervento edilizio cui si correla il relativo criterio di determinazione della base imponibile. In questo modo il mutamento della regola per la determinazione della base imponibile opera solo da quando vi è stato il materiale avvio dei lavori. La Corte ha altresì precisato che la disposizione in esame non è una norma agevolativa, ma solo una regola per la quantificazione della base imponibile.

(*) Vice presidente Anutel

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