Personale

Dl Rilancio, triplo censimento per avviare lo smart working al 50-60 per cento

Con un emendamento approvato al decreto 34/2020 viene quasi completamente riscritto il quadro normativo sul lavoro agile

di Tiziano Grandelli e Mirco Zamberlan

Nuovo impulso al lavoro agile, in attuazione di quella «rivoluzione in atto» della pubblica amministrazione annunciata dalla ministra Dadone. Con l’emendamento approvato al decreto n. 34 (Enti locali e edilizia del 6 luglio) viene quasi completamente riscritto il quadro normativo dello Smart Working nella Pa.

Una prima disposizione riguarda il 2020: da strumento per fronteggiare l’epidemia da Covid-19, previsto nel decreto 18, il lavoro agile diventa un’ordinaria modalità per rispondere alle esigenze di cittadini e imprese. Questo passaggio era già stato disegnato con il Dl 34/2020 e ora viene ulteriormente rafforzato su più fronti. Un primo intervento ne allunga la vita, estendendola dalla scadenza dello stato di emergenza, vale a dire il 31 luglio, al 31 dicembre 2020. Un secondo aspetto riguarda la quantità: mentre nella Legge 124/2015 l’obiettivo minimo di dipendenti che poteva accedere allo Smart Working era fissato nel 10%, con l’emendamento si sale al 50%, calcolato sulle attività in cui la presenza non è indispensabile. Un terzo punto delega il ministero per la Pa a intervenire nuovamente sulla disciplina in relazione all’andamento epidemiologico. Il tutto in deroga, fino alla fine dell’anno, alle misure che disponevano la presenza nei luoghi di lavoro per le sole attività «indifferibili», previste dall’articolo 87, comma 1, lettera a) del Dl 18/2020. Ma a questo proposito sorge un piccolo giallo: il periodo successivo dello stesso emendamento stabilisce che la lettera a) cessa di avere effetto dal 15 settembre 2020. La domanda sorge spontanea: dal 16 settembre come si può derogare da una disposizione che non produce più effetti?

Una seconda norma dispone per gli anni a venire. Innanzitutto la percentuale di lavoro agile si innalza ulteriormente al 60% dei dipendenti addetti ad attività che possono essere rese in modalità agile. Nel contempo, le amministrazioni da un lato devono garantire ai lavoratori le stesse possibilità in termini di riconoscimento di professionalità e di progressione di carriera dei colleghi che lavorano in ufficio, dall’altro stabiliscono misure organizzative e modalità di rilevazione dei risultati conseguiti «anche in termini di miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione amministrativa». Concetti, questi, non proprio nuovi se si pensa che già i contratti collettivi dei dipendenti della Pa risalenti almeno al 1983 contenevano una previsione simile per corrispondere i premi legati alla produttività: disposizione che non ha ottenuto i risultati sperati.

Il primo passo da attuare è rappresentato, indubbiamente, dalla definizione delle attività che all’interno di ogni amministrazione risultino compatibili con il lavoro agile. A seguire, dovranno essere specificati tutti i dipendenti assegnati a queste attività, per quantificare il numero minimo di addetti in lavoro agile nell’amministrazione. Infine, vanno fissati i criteri per l’individuazione dei dipendenti che saranno chiamati a rendere la prestazione in lavoro agile. In proposito risulta consigliabile l’introduzione della rotazione di questi lavoratori.

Il tutto deve essere contenuto nel «Pola», piano organizzativo del lavoro agile, che deve essere approvato entro il 31 dicembre di ogni anno da tutte le Pa e che rappresenta una sezione del piano delle performance. È indubbio che l’introduzione dello Smart Working, nei termini che saranno previsti dalla norma, rappresenta un obiettivo rilevante, almeno per le ricadute organizzative che comporta. Ma anche gli altri obiettivi di performance devono fare i conti con il lavoro agile, che a seconda dei casi potrà costituire un ostacolo o uno strumento che facilita il loro raggiungimento.

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