Elezioni comunali, nei piccoli comuni va garantita la parità di genere
La mancanza di sanzioni per le liste che non prevedono quote rosa vanifica il controllo delle commissioni sulla presenza femminile
Con l'ordinanza n. 4294/2021 il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte costituzionale la disciplina dell'obbligo di rappresentatività di entrambi i sessi nelle liste elettorali nei Comuni con meno di 5mila abitanti senza previsione di sanzione in caso di elusione.
Il caso
La terza sezione si è trovata a giudicare il ricorso proposto da alcuni elettori e componenti di una lista elettorale che ha partecipato alla competizione per il rinnovo del consiglio presso un Comune con meno di 5mila abitanti, lamentando che nella lista concorrente mancava la componente femminile (quote rosa) prescritta dall'articolo 71, comma 3-bis, del Tuel. Il loro reclamo era stato respinto dalla sottocommissione elettorale e il Tar, pur riconoscendo aspetti di assoluta novità dell'oggetto, ha respinto il ricorso ritenendo che l'articolo 2 comma 1, lettera c), numero 1), della legge 215/2012, pur prevedendo un controllo e un diretto intervento delle commissioni elettorali circondariali al fine di garantire la rappresentanza di entrambi i sessi nelle liste dei candidati nei piccoli comuni, non prevede misure sanzionatorie a carico delle liste che non assicurino la rappresentanza di entrambi i sessi.
Avverso questa sentenza è stato proposto appello e il Consiglio di Stato ha ritenuto sussistere i presupposti di rilevanza e non manifesta infondatezza per rimettere alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 71, comma 3-bis, nella parte in cui non prevede la necessaria rappresentanza di entrambi i generi nelle liste elettorali nei Comuni con popolazione inferiore ai 5mila abitanti, nonché dell'articolo 30 del Dpr 570/1960 nella parte in cui esclude queste liste dal regime sanzionatorio.
Le norme
L'articolo 71, comma 3-bis, del Tuel prevede che nelle liste dei candidati sia assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi ma pone il limite dei due terzi solo per i Comuni con popolazione compresa tra 5mila e 15mila abitanti. La legge del 1960 ha predisposto misure sanzionatorie riferite unicamente ai Comuni con popolazione superiore a 5mila abitanti. È del tutto esclusa, dunque, una applicazione analogica ai Comuni di minori dimensioni, che per i giudici di Palazzo Spada «equivarrebbe a un'attività di creazione legislativa che farebbe sconfinare questo Collegio dai limiti dell'attività giurisdizionale».
D'altro canto, hanno rilevato, gli interventi del legislatore sono improntati sul sistema delle "quote", in relazione al quale la Corte costituzionale, dopo averne negato in un primo momento la legittimità, ha progressivamente maturato un atteggiamento di apertura riconoscendone la natura di azioni positive per il riequilibrio necessario a garantire parità di genere. Purtuttavia, hanno insistito, una interpretazione letterale delle norme lascerebbe senza tutela le operazioni elettorali dei Comuni con meno di 5mila abitanti, che ammontano a 5.500 su un totale di circa 8mila, più dei due terzi: se la ratio delle norme è quella di garantire la parità di genere promuovendo interventi di riequilibrio, si legge nell'ordinanza, nessuna effettività può dirsi realizzata se nella maggior parte dei Comuni italiani gli interventi sono neutralizzati dall'assenza di un meccanismo sanzionatorio.
La questione
Nemmeno è sostenibile giustificare la disparità di trattamento imputandola alla difficoltà di individuare donne candidate in contesti di piccole dimensioni, per due ordini di ragioni: non c'è l'obbligo di candidare persone residenti nel Comune e se non si predispongono misure di tutela proprio nelle realtà demograficamente svantaggiate sfugge la ratio stessa della legge che si pone quale fondamentale strumento di rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono la partecipazione all'organizzazione politica.
Tutto questo porta la terza sezione a non ravvisare elementi idonei a giustificare la disparità di trattamento tra i Comuni con più o meno di 5mila abitanti, posto che la discriminazione impatta su due piani: tra i due generi e nello stesso genere femminile tra i comuni con più o meno di 5mila abitanti, in cui le donne rischiano di rimanere completamente escluse dalla vita politica, con un vulnus che coinvolge anche il principio del buon andamento della pubblica amministrazione.