Esenzione Imu solo per attività non commerciali
La Corte di cassazione torna di nuovo ad affrontare la spettanza dell’esenzione dall’Imu in favore di un ente non commerciale che utilizza un immobile per lo svolgimento di un’attività sanitaria e assistenziale, subordinandola alla prova che la stessa sia svolta con modalità non commerciali.
L’ordinanza n. 6095 del 6 marzo 2024 si è occupata di una controversia in cui una fondazione invocava l’esenzione dall’Imu per un immobile utilizzato per lo svolgimento di un’attività assistenziale residenziale in favore di anziani disagiati, in conformità con le sue finalità istituzionali.
La Corte ha ribadito, conformemente alla copiosa giurisprudenza in materia, che la disposizione dell’articolo 7, comma 1, lettera i), del Dlgs 504/1992, applicabile anche all’Imu (nella versione ante 2020), ai sensi dell’articolo 9, comma 8, del Dlgs 23/2011, ha subordinato il riconoscimento dell’esenzione alla presenza di un requisito soggettivo, ossia alla natura di ente non commerciale, come definito dall’articolo 73, comma 1, lettera c), del Tuir, del soggetto possessore (e utilizzatore) dell’immobile e di un requisito oggettivo, consistente nello svolgimento, nell’immobile, di una delle attività indicate dalla norma del Dlgs 504/1992, con modalità non commerciali.
Particolare rilievo ricopre quest’ultimo aspetto, alla luce della normativa eurounitaria in materia che porta a escludere l’esenzione allorquando quest’ultima, venendo a incidere su un settore produttivo operante alle condizioni di mercato, finisca con l’alterare le regole della libera concorrenza mediante la pratica configurazione di un vero e proprio aiuto di Stato.
Solamente l’attività svolta in forma gratuita o con corrispettivo simbolico rispetta questo requisito, rendendo la normativa italiana compatibile con quella dell’Unione europea. Tuttavia, l’onere probatorio grava sul contribuente, alla luce del consolidato principio in base al quale, poiché le esenzioni in campo tributario sono eccezioni alla regola generale di applicazione del tributo, non solo devono essere oggetto di interpretazione letterale, con esclusione di quella analogica, ma comportano che sia il contribuente a dover dimostrare la puntuale sussistenza dei requisiti previsti dalla norma.
La sussistenza dello svolgimento delle attività con modalità non commerciali, nel senso sopra indicato, assume un rilievo determinante, tantoché, la sola sussistenza del requisito soggettivo e di quello oggettivo da sola non sarebbe sufficiente per la spettanza dell’esenzione. Infatti, un’attività condotta da un soggetto senza finalità di lucro ben può essere rivolta a produrre beni e servizi per il mercato e, quindi, avere contenuto economico, escluso solo se manca il corrispettivo o questo è puramente simbolico.
Nel caso specifico delle attività sanitarie e assistenziali residenziali, la Corte in più occasioni ha evidenziato come l’esenzione non competa anche laddove la stessa sia svolta in regime di accreditamento con il Servizio Sanitario Nazionale, in quanto le tariffe convenzionate sono pur sempre rivolte alla copertura dei costi, escludendo che l’attività possa considerarsi come gratuita o semigratuita (Cassazione, sentenze n. 32765/2022 - 24044/2022). Quest’ultima ha in particolare evidenziato che: «non è sufficiente che l’immobile sia utilizzato per lo svolgimento di attività sanitaria in regime di convenzione con il Ssn da una Fondazione, fisiologicamente priva di finalità lucrativa, ma è necessario che il contribuente dimostri che l’attività cui l’immobile è destinato, oltre a rientrare tra quelle esenti, non sia svolta con modalità commerciali, poiché, in conformità ai principi eurounitari, la presenza di un’attività con finalità sociale non basta, da sola, ad escluderne l’eventuale natura economica».
La sentenza qui commentata ha evideziato, quindi, che la dimostrazione della sussistenza dei soli requisiti soggettivo, ossia che l’ente non persegua finalità lucrative, e oggettivo, vale il tipo di attività svolta, anche in regime di accreditamento, non è di per se sufficiente per l’esenzione, poiché «il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza, in concreto, dei requisiti dell’esenzione, mediante la prova che l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti (poiché di tipo assistenziale e sanitario), non sia svolta con le modalità di un’attività commerciale ed abbia quelle finalità solidaristiche alla base delle ragioni di esenzione».
I principi sopra affermati possono ritenersi validi anche nell’Imu disciplinata dalla legge 160/2019, stante la sostanziale identità della norma agevolativa contenuta nel comma 759, lettera g), dell’articolo 1 della norma appena citata con quella dell’articolo 7, comma 1, lettera i), del Dlgs 504/1992. Pur se va osservato che la norma della legge 160/2019 richiama espressamente l’applicabilità non solo della norma dell’articolo 91-bis del Dl 1/2012, sull’utilizzo promiscuo dell’immobile, ma anche del regolamento di cui al Dm 200/2012. Decreto che, nella specifica disciplina dei requisiti di carattere speciale relativi alle attività sanitarie, include tra le fattispecie agevolate l’attività svolta in regime di accreditamento con Ssn; pur se, come correttamente ha evidenziato la Cassazione nell’ordinanza qui commentata, il regime di accreditamento non può di per se dar diritto all’esenzione in quanto, laddove non fosse dimostrata dal contribuente la natura comunque non commerciale dell’attività (tariffe simboliche o prestazione gratuita), la normativa non sarebbe compatibile con il diritto dell’Unione europea e sarebbe disapplicabile dal giudice nazionale.
(*) Vice presidente Anutel
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