Appalti

Fondo salva opere, Il Mims liquida le imprese: in arrivo ristori ai creditori per oltre 70 milioni

Entro il 7 dicembre tutti i decreti di pagamento. Resta irrisolto il nodo dei concordatari di Astaldi

di Massimo Frontera

Tutti gli operatori che sono stati ammessi dal ministero delle Infrastrutture al primo e al secondo riparto del Fondo salva opere tengano d'occhio il loro conto in banca perché stanno per essere saldati tutti i crediti nei confronti di appaltatori e general contractor insolventi a causa di procedure concorsuali. La buona notizia riguarda centinaia di imprese e relativi crediti insoddisfatti. I decreti di pagamento - per una somma complessiva di oltre 70 milioni - sono in corso di firma e di invio alla Ragioneria per il pagamento: entro il 7 dicembre saranno firmati tutti, dicono al Mims. La data, spiegano, è legata alla chiusura, il 10 dicembre, della contabilità statale dell'anno. Di fatto, il Mims utilizza l'intera cassa a disposizione per il 2021. Per tutte le altre imprese che nel frattempo hanno fatto e stanno facendo istanza di accesso al fondo - che saranno oggetto di un futuro terzo riparto - appuntamento al 2022. Le risorse nel 2022 ci saranno - assicurano sempre dal Mims - grazie a fondi appositamente individuati in legge di bilancio. In realtà, il fondo si dovrebbe alimentare da una piccola quota fissa versata dalle stazioni appaltanti in occasione di ogni gara, ma questo canale non sembra aver dato, al momento, la consistenza prevista e, dunque, ci sarà uno stanziamento ad hoc.

La buona notizia del pagamento è in realtà una doppia buona notizia. Infatti nelle scorse settimane e mesi, non solo l'attività istruttoria del Fondo ha subito un rallentamento, ma l'intero impianto ha rischiato il blocco. La vicenda è da mettere in relazione con il fatto che alcune imprese creditrici di Astaldi, inizialmente incluse nel fondo, ne sono poi state escluse con anche la richiesta di restituire alcuni soldi anticipati dal Mims. È una storia complicata e amara (si veda oltre) tutt'ora irrisolta e che richiede un minimo di spiegazione.

Come spiegare il Fondo salva opere? Diciamo che se il meccanismo degli appalti pubblici fosse il Cervino, il fondo salva opere sarebbe una nuova via aperta da un alpinista un po' folle sulla parete nord e per giunta d'inverno. Il meccanismo di salvataggio di tanti subappaltatori, subaffidatari e subfornitori a valle dei grandi e famosi general contractor è infatti una prima assoluta, in cui lo Stato - dietro una forte pressione arrivata dalle imprese, dalle associazioni, dalla politica locale e nazionale - ha ideato un meccanismo di soccorso con lo stesso spirito di solidarietà civile con cui ricostruisce la casa a chi l'ha avuta distrutta da un terremoto. Perché un terremoto, in effetti, è stato lo sgretolarsi di molti nomi blasonati delle costruzioni, famosi in Italia e conosciuti anche all'estero. Una valanga che ha travolto una miriade di operatori, di lavoratori e di famiglie. La risposta è stata appunto il fondo salva opere - e salva imprese - che ha preso forma nei primi due governi Conte, con la ministra Paola De Micheli a capo delle Infrastrutture. La misura è stata poi confermata nell'attuazione dall'attuale governo Draghi, con Enrico Giovannini insediato a Porta Pia. Un intervento di solidarietà in nome della quale lo Stato ha accettato, di fatto, di pagare un'opera pubblica due volte.

Come funziona il fondo
Infatti, i creditori insoddisfatti dei general contractor sono tali perché hanno eseguito le lavorazioni che la committenza ha già pagato a Sal al general contractor stesso. Solo in tal caso, infatti, le imprese possono certificare che il loro credito è «certo, liquido ed esigibile» e di avere quindi titolo di accedere al Fondo. Se tutto è in regola, si ottiene il ristoro del credito al 70 per cento. Ecco perché lo Stato, di fatto paga una lavorazione (quasi) due volte: prima al 100% al general contractor e poi al 70% al subaffidatario non pagato dal general contractor.

Lo stato diventa "proprietario" di imprese (in crisi)
Tutto questo è possibile perché lo Stato surroga le imprese nella procedura concordataria in cui è coinvolto il general contractor, cioè prende il posto dei subaffidatari nella procedura di liquidazione dei creditori. Solo che alla fine della procedura concordataria non ci sono soldi ma azioni (più esattamente sfp: strumenti finanziari partecipativi) per l'equivalente del credito. Questa "moneta concordataria" ha un valore reale che, confermano gli operatori interessati, è molto inferiore a quello nominale. L'operazione "salva imprese" attuata dal fondo è, dunque chiaramente antieconomica per lo Stato, giustificata solo dall'obiettivo di tutelare i piccoli, medi e spesso piccolissimi operatori a valle dei big delle costruzioni. Non solo. Lo Stato, attraverso il ministero delle Infrastrutture, acquisisce (appunto attraverso la surroga) quote societarie di grandi imprese e concessionarie, come Astaldi e Cmc, per esempio. La conseguenza è che il Mims finisce per ritrovarsi nel doppio ruolo di stazione appaltante/ente concedente di un'opera alla cui gara potrebbe partecipare lo stesso Mims nel ruolo di azionista dell'impresa concorrente. E questo è un problema, per il quale è stata comunque ipotizzata una "exit strategy" (si veda oltre).

Il caso delle imprese concordatarie di Astaldi
Come si diceva, il fondo ha rischiato seriamente di bloccarsi a tempo indefinito. Il motivo sta nei vari contenziosi aperti da alcune imprese incluse nella prima lista dei beneficiari del fondo, pubblicata dalla direzione per l'Edilizia statale del dipartimento Infrastrutture del Mims nel giugno 2020, e poi invece espunte nella successiva rettifica dell'elenco, con successiva richiesta di restituire i soldi versati a titolo di anticipo. Ne è scaturito un contenzioso amministrativo, in quanto diversi interessati hanno impugnato al Tar le note del Mims. In alcuni casi sono stati impugnati anche i decreti di approvazione del riparto, con il rischio che il giudice decidesse la caducazione dei decreti, bloccando per un tempo indeterminabile l'intera operazione di "salvataggio". Questo rischio, al momento, sembra scongiurato. Tra ordinanze e sentenze, sono oltre 20 le delibere del Tar (principalmente del Lazio) finora pubblicate. In quasi tutti i casi il primo giudice ha rigettato i ricorsi per difetto di giurisdizione, indicando ai ricorrenti la strada della giustizia ordinaria. In un solo caso il Tar Napoli ha concesso la sospensiva all'impresa ricorrente, e si attende la decisione nel merito. In ogni caso, il ricorrente ha impugnato la sola nota del Mims di restituzione dell'anticipo (e non anche i decreti di riparto).

Le imprese "soddisfatte" dal concordato Astaldi
Perché alcune decine di imprese sono di fatto uscite dalla lista dei beneficiari del Fondo? Attenzione alle date. Il fondo si concretizza alla fine del 2019, in piena crisi dei grandi costruttori - Astaldi incluso - ma il primo decreto di riparto, con una lista di 522 imprese, arriverà solo il 19 giugno 2020. A poco tempo di distanza, il 17 luglio, il tribunale omologa il concordato di Astaldi ma solo tra il 5 e il 6 novembre quest'ultimo trasferisce la "moneta concordataria" ai creditori chirografari che hanno indicato il conto titoli, su specifica richiesta. Sui conti correnti delle stesse imprese arrivano anche i soldi del Mims, che nel frattempo ha iniziato a liquidare i primi anticipi. All'inizio del 2021 il ministero scopre che alcune imprese hanno avuto la doppia soddisfazione, per così dire, dello stesso credito: da Astaldi sotto forma di sfp e dal Mims sotto forma di anticipo. E lo viene a sapere dal Tribunale, quando, avendo surrogato l'impresa, scopre che quest'ultima è già stata "soddisfatta". Nella primavera 2021 il ministero ricostruisce l'intera mappa delle imprese "doppiamente soddisfatte" e analizza la questione. Seguono alcuni giorni di fuoco, di incontri (e scontri) con imprese, associazioni, consulenti e interlocuzioni con la stessa Astaldi. Una cosa emerge con chiarezza: il credito può essere soddisfatto una sola volta. Ed è altrettanto chiara anche un'altra cosa: il 70% cash del credito è decisamente preferibile alla moneta concordataria in sfp dello stesso credito.

Dalla "doppia soddisfazione" al quasi nulla
Viene anche prospettata al ministero la possibilità di acquisire gli sfp dalle stesse imprese che le avevano ricevute a valle dell'omologa del Tribunale, in modo da poter continuare a fruire del fondo. Ipotesi che il Mims alla fine considera impraticabile. Le imprese realizzano di aver subito un doloroso autogol: doversi accontentare delle azioni di scarso valore dopo avere superato la complessa e impegnativa istruttoria per l'accesso al fondo. Istruttoria che richiede, fra le altre cose, la doppia certificazione del credito: della stazione appaltante e del general contractor. Ma amarezza c'è anche da parte di chi, al ministero, è stato colto di sorpresa dagli avvenimenti, dopo aver lavorato intensamente (nelle settimane di lockdown e poi di smart working) per superare le infinite difficoltà che via via si presentavano nella verifica delle informazioni o nella ricerca di documenti o nel sollecito delle certificazioni. Un lavoro frenetico e una fitta interlocuzione in cui però a nessuno è mai venuto in mente di toccare l'argomento del concordato. Alla fine, al Mims non resta che una soluzione: rettificare la prima lista dei 522 beneficiari, che nell'elenco approvato con il decreto di maggio 2021 scendono a 438; e chiedere i soldi indietro a chi li ha ricevuti. Da qui, appunto il contenzioso, tutt'ora aperto, da cui gli interessati attendono una soluzione. Intanto, l'attività istruttoria del fondo è andata avanti. Sempre nel maggio 2021, il ministero pubblica il secondo decreto di riparto, che assegna 12 milioni ad altre 76 imprese. Inoltre, dopo aver osservato l'orientamento che si andava consolidando nella giurisprudenza, i tecnici del Mims ritengono che i decreti di riparto siano sufficientemente in sicurezza; e riaccendono la macchina dei mandati di pagamento, premendo anzi l'acceleratore per recuperare il tempo perso.

I concordatari di Astaldi (auto)esclusi
Comprensibilmente, le imprese (auto)escluse dal fondo, cui è stato anche intimato di restituire i soldi appena ricevuti, non stanno vivendo giorni sereni. L'opinione raccolta presso alcuni degli operatori interessati è che l'adesione al concordato Astaldi, con relativa indicazione del conto titoli per gli sfp, è stata un atto dovuto, "cogente", cioè senza possibilità di scelta. D'altra parte, di fronte a una scelta tra il ristoro del fondo e gli sfp, nessun imprenditore ragionevole avrebbe scelto i secondi. L'impressione è che in questo incidente potrebbero aver pesato soprattutto ingenuità, imperizia e forse qualche consiglio sbagliato. Peraltro, in questo infortunio paradossale non sono incappati solo piccole imprese, ma anche società finanziarie strutturate, certamente consapevoli e "avvertite". C'è per esempio Banca Ifis, cui il ministero ha chiesto di restituire un anticipo di oltre due milioni di euro. Il ricorso è stato respinto dal Tar Lazio, per difetto di giurisdizione (sentenza n.12100 del 24 novembre 2021). Ricorso - va sottolineato - sia contro le richieste del Mims sia contro tutti e due i decreti di riparto. Identico ricorso - e identica risposta del Tar - anche nei confronti di Unicredit Factoring, cui il ministero ha chiesto di restituire circa 1,1 milioni di euro anticipati (sentenza n.12102 del 24 novembre 2021). In quest'ultima pronuncia il ricorrente propone la stessa argomentazione fornita dalle imprese: «la richiesta di restituzione degli importi erogati - si legge nelle premesse della pronuncia - sarebbe viziata per assenza del presupposto, in quanto il Ministero non avrebbe valutato la circostanza che le azioni e gli strumenti finanziari partecipativi emessi dalla Società Astaldi ed intestati ad UniCredit Factoring non fossero frutto di una libera scelta delle parti volta a sanare la situazione debitoria, ma, al contrario, derivassero dall'esecuzione del concordato preventivo omologato cui la società Astaldi era stata ammessa». Va anche detto che le imprese che non hanno dato seguito alla richiesta di indicare il conto titoli per il deposito degli sfp hanno continuato il percorso di ristoro con il fondo del Mims.

Il ministero delle Infrastrutture azionista di Astaldi
Come si diceva, una delle conseguenze della "creatività" del fondo salva opere è che il Mims si ritrova azionista di alcune note imprese di costruzioni, fra cui appunto Astaldi, ora gruppo Webuild. Una situazione in cui sono evidenti i potenziali profili di incompatibilità e di conflitto di interessi. La soluzione? Il percorso al momento ipotizzato è quello di "confinare" le azioni in una società in house del governo (Invitalia) per poi procedere alla vendita delle azioni stesse, e infine riversare il ricavato nel fondo salva opere. Così il cerchio si chiude.

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