I temi di NT+Tributi e bilanci a cura di Anutel

La servitù di pubblico passaggio nel canone unico patrimoniale

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di Alessandro Merciari (*) - Rubrica a cura di Anutel

Le risposte del dipartimento delle Finanze in materia di canone unico patrimoniale hanno aggiunto dubbi e problematiche a una materia che presenta ancora molti interrogativi. L'incertezza e la varietà di interpretazioni fanno parte della natura stessa della nuova entrata, che da una parte esalta la potestà regolamentare dei Comuni e dall'altra evidenzia una legislazione troppo scarna di contenuti per consentire una corretta conduzione del prelievo. Una disciplina complessa fin dalla definizione del suo presupposto applicativo.

Nel nuovo canone sono state identificate due distinte ipotesi: una relativa la componente pubblicitaria, che tutto sommato, salvo alcune eccezioni e l'utilizzo improprio della parola impianti, ricalca quella del precedente prelievo, l'altra, relativa la componente dell'occupazione suolo pubblico, che invece nella sua formulazione asciutta ha aperto un grosso interrogativo. Rispetto ai precedenti prelievi infatti viene a mancare la precisazione sul realizzarsi del presupposto nei casi di occupazioni effettuate su aree private soggette a servitù di pubblico passaggio.

Sia nel regime della Tosap che nel regime della Cosap il legislatore aveva espressamente previsto l'assoggettabilità degli spazi privati, quando, per volontà del proprietario, venivano messi a disposizione di una massa indeterminata di cittadini per soddisfare un'esigenza comune ai membri di questa collettività uti cives.

Il dipartimento delle Finanze ha invece ritenuto che il legislatore, nel non richiamarle espressamente, intendesse escluderle dal presupposto impositivo, così che improvvisamente e aggiungerei inspiegabilmente la cosiddetta servitù di pubblico passaggio uscirebbe, secondo l'autorevole interpretazione, dalla soggettività passiva del canone.

Questa interpretazione tuttavia non può trovare condivisione. La fattispecie subisce una naturale attrazione nell'ambito applicativo dovendo seguire il regime già previsto per le aree demaniali e per quelle appartenenti al patrimonio indisponibile degli enti locali. Non averle formalmente richiamate nel comma dedicato al presupposto, non deve essere quindi letta come una scelta di esclusione dall'ambito applicativo, ma anzi deve essere valutata come una definitiva e pacifica inclusione. Del resto, le servitù pubbliche, e la cosiddetta dicatio ad patriam ne rappresenta solo una delle diverse possibili modalità di costituzione, sono aree che necessitano di una serie di attenzioni legate alla pubblica sicurezza, alla viabilità, al decoro urbano e in generale a una responsabilità da parte dell'autorità amministrativa. Anche per questo, non possono essere considerate estranee alla disciplina del nuovo canone unico patrimoniale.

Seguendo una analisi giuridica possiamo collocare le servitù pubbliche nell'alveo della disciplina dei beni demaniali. È l'articolo 825 del Codice Civile che, in modo inequivocabile, stabilisce che le aree private gravate da servitù siano soggette al regime del demanio pubblico tutte le volte che i diritti stessi sono costituiti per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi. Come dire, tutte le volte che le cosiddette servitù di uso pubblico, vengono in essere a vantaggio di una collettività indeterminata di persone, debbono sottostare al regime autoritativo previsto per le aree demaniali. La servitù di pubblico passaggio è a tutti gli effetti il diritto reale di godimento spettante alla collettività di transitare liberamente sul bene del privato.

Come si può sostenere che un'occupazione realizzata su una area con queste caratteristiche debba considerarsi estranea all'ambito applicativo del nuovo canone? Chi azzarderebbe ipotizzare che il Comune non debba provvedere a regolare il rilascio di autorizzazioni per le occupazioni di aree private soggette a un uso continuo ed indiscriminato da parte della collettività? Pensiamo a quanto succede tutti i giorni sotto i portici delle nostre città, superfici di proprietà privata destinate fin dall'origine ad uso pubblico, zone dove spesso la pulizia, l'illuminazione e i sistemi di videosorveglianza e sicurezza sono a carico del Comune, chiamato a tutelare gli interessi di tutti coloro che indistintamente utilizzano questi beni per la libera circolazione pedonale. Aree dove diventa imprescindibile una attività di regolazione da parte dell'ente pubblico chiamato così ad espletare una attività amministrativa per disciplinare la presenza di occupazioni ed esposizioni pubblicitarie.

Impossibile quindi ritenere queste aree estranee alla disciplina del Canone Unico Patrimoniale, per di più risulterebbe anche iniquo nei confronti dei diversi operatori economici che operano nel medesimo contesto. Anche sulle aree private soggette a servitù, in caso di occupazione si prefigurano infatti gli stessi principi e presupposti che vediamo abitualmente concretizzarsi sulle aree pubbliche. Basti pensare al sacrificio imposto alla collettività che consegue direttamente da una occupazione, diventerebbe inspiegabile e poco logico stabilire il pagamento di un canone per un'occupazione realizzata su un area pubblica e una totale esclusione per la stessa tipologia realizzata a pochi passi di distanza sotto un portico privato, dove tuttavia transitano liberamente centinaia di persone al giorno.

Ecco quindi che senza tentennamenti, le amministrazioni Comunali, bene fanno a disciplinare nel proprio regolamento la riscossione del canone anche per le occupazioni realizzate su aree private ad uso pubblico, riservandosi eventualmente la possibilità di definire regimi tariffari differenti, ma rimanendo in ogni caso e senza dubbio, sempre nell'ambito applicativo del canone.

(*) Docente Anutel

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