I temi di NT+Rassegna di giurisprudenza

Le ultime pronunce in materia di edilizia e urbanistica

di Esper Tedeschi

Distanza tra costruzioni – Scala esterna – Pertinenza urbanistica – Diniego di sanatoria
La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica. Sicché una scala esterna che non rispetti tali requisiti, per poter essere realizzata, deve ottenere il permesso di costruire ai sensi dell'art. 10, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto corpo autonomo in grado di modificare sagoma e prospetto dell'originario edificio.
Inoltre, trattandosi di nuova costruzione, per la sanatoria deve anche applicarsi la disciplina sulla distanza tra edifici. In particolare le distanze vanno misurate dalle sporgenze estreme dei fabbricati, dalle quali vanno escluse soltanto le parti ornamentali, di rifinitura ed accessorie di limitata entità e i cosiddetti sporti (cornicioni, lesene, mensole, grondaie e simili) che sono irrilevanti ai fini della determinazione dei distacchi. Sono rilevanti, invece, anche in virtù del fatto che essi costituiscono “costruzione” le parti aggettanti (quali scale, terrazze e corpi avanzati) anche se non corrispondenti a volumi abitativi coperti, ma che estendono ed ampliano (in superficie e in volume) la consistenza del fabbricato. Le distanze tra la scala e le pareti finestrate devono essere considerate tra lo spigolo della parete finestrata dell'edificio fronteggiante e la scala aperta, atteso che l'art. 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968 n. 1444, si riferisce a tutte le pareti finestrate e non soltanto a quella principale.
Consiglio di Stato, sez. VI, 4 ottobre 2021, n. 6613

Ordine di demolizione – Inerzia – Abuso – Prefetto
La disposizione dell'articolo 41 del d.P.R. n. 380/2001 – che è il frutto di una novella legislativa introdotta in sede di conversione del D.L.16 luglio 2020, n. 76 – innova il sistema sanzionatorio previsto dal d.P.R. n. 380/2001 concentrando in capo al Prefetto – in deroga quindi alle ordinarie competenze previste negli articoli 27 e segg. in capo a comuni, enti gestori dei vincoli e regioni – il compito di curare le procedure di demolizione in un'ottica di semplificazione e di effettività delle sanzioni laddove, entro il termine di 180 giorni dall'accertamento dell'abuso, l'Amministrazione comunale non vi abbia provveduto.
Tar Campania, sede di Napoli, sez. VI, 7 ottobre 2021, n. 6327

Ultimazione lavori – Condono – Requisiti – Rustico – Tampognature
Ai fini del condono edilizio ai sensi della l. n. 326/2003 il concetto di “ultimazione dei lavori” va riferito all'esecuzione del cd. rustico, che presuppone, per quanto d'interesse, l'intervenuto completamento delle tamponature (tompagnature) esterne, che determinano l'isolamento dell'immobile dalle intemperie e configurano l'opera nella sua fondamentale volumetria (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. II, 29 luglio 2020, n. 4816): ciò, a condizione che non si tratti di opere interne di un edificio già esistente, per le quali vale, invece, il criterio del cd. completamento funzionale. Se ne evince che, ai fini del condono, è indispensabile che entro il termine massimo stabilito dalla legge l'organismo edilizio abbia assunto una sua forma stabile ed un'adeguata consistenza plano-volumetrica, come per gli edifici, per i quali viene richiesta la cd. ultimazione al rustico, cioè l'intelaiatura, la copertura ed i muri di tompagno. Invero, “ai fini del condono, per edifici “ultimati”, si intendono quelli completi almeno al “rustico”. Costituisce principio pacifico che per edificio al rustico si intende un'opera mancante solo delle finiture (infissi, pavimentazione, tramezzature interne), ma necessariamente comprensiva delle tampognature esterne, che realizzano in concreto i volumi, rendendoli individuabili e esattamente calcolabili (cfr., fra le tante, Cons. Stato, sez. IV, 16 ottobre 1998, n. 130) […]” (così C.d.S., Sez. VI, 3 dicembre 2018, n. 6841), di tal ché un'opera priva anche soltanto in parte delle tompagnature non è condonabile. Né si può confondere l'esecuzione del cd. rustico con lo scheletro della struttura, dovendo il cd. rustico intendersi come comprensivo della muratura priva di rifiniture e della copertura e non potendo le pareti esterne considerarsi quali mere rifiniture.
Consiglio di Stato, sez. II, 11 ottobre 2021, n. 6797

Accertamento di conformità – Abuso – Requisiti – Condono
L'art. 3, comma 1, lett. b) Lr del Lazio n. 12/2004 – che esclude la sanabilità ipso facto la sanabilità delle opere abusive situate in parchi e aree protette – deve essere letta in conformità con l'art. 27 della l. n. 326/2003 che, pur collocandosi nell'impianto generale della legge n. 47/85, disciplina in maniera più restrittiva gli abusi realizzati in aree vincolate (tra cui quelli, come il caso in esame, posti a protezione dei beni paesistici), precludendo la sanatoria sulla base della anteriorità del vincolo senza la previsione procedimentale di alcun parere dell'autorità ad esso preposta, inscrivendo l'abuso nella categoria delle opere non suscettibili di sanatoria (ex art. 33 l. n.47/85).
Sicché il diniego del c.d. terzo condono del 2003 ben può essere motivato sulla mera preesistenza dell'Area protetta, senza alcuna necessità di un'ulteriore valutazione di non conformità dell'intervento sul piano urbanistico.
La disposizione regionale, infatti, è volta ad escludere la sanabilità delle opere abusive oggetto del terzo condono in via generale nelle zone vincolate con la sola ipotesi che il vincolo sopravvenuto consenta l'accertamento di conformità ed in tali limiti.
In assenza di questo non sussiste la possibilità di ottenere il condono in forza di un parere dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo.
Consiglio di Stato, sez. VI, 11 ottobre 2021, n. 6827

Termine inizio lavori – Permesso di costruire – Prova – Relazione di calcolo strutturale
Per provare l'effettivo inizio dei lavori entro l'anno dal rilascio del permesso di costruire ai sensi dell'art. 15, d.P.R. n. 380/2021 è irrilevante la data di protocollazione della relazione di calcolo strutturale che non deve necessariamente precedere l'inizio dei lavori, in quanto la relazione di calcolo strutturale deve precedere unicamente gli interventi sulle strutture portanti.
Consiglio di Stato, sez. II, 14 ottobre 2021, n. 6910

Agibilità – Abitabilità – Conformità urbanistica – Edilizia – Requisiti
Il rilascio del certificato di agibilità, ovvero, oggi, la sua dichiarazione, presuppone una molteplicità di valutazioni ulteriori rispetto a quelle che erano sottese al vecchio certificato di abitabilità, cui il primo pertanto non può essere del tutto assimilato. Ciò è ricavabile dall'art. 26 del d.P.R. n. 380 del 2001. Nel consentire, infatti, al Sindaco di intervenire comunque dichiarando la inabitabilità di un immobile, già certificato come agibile, ai sensi dell'art. 222 del T.U.L.S., il legislatore ha inteso ribadire le differenze tra i due istituti: altro è, infatti, la strutturale conformità del fabbricato a tutti i requisiti richiesti e, in parte, assorbiti nella conformità al titolo edilizio in forza del quale è stato realizzato, altro la sua (sopravvenuta) carenza di requisiti igienici tale da non consentirne l'occupazione a fini abitativi.
In sintesi, essendo la agibilità la summa del possesso dei requisiti sia igienico-sanitari che urbanistico-edilizi di un edificio, essa non può essere conseguita nel caso in cui il titolo edilizio sottostante, seppure esistente, non possa considerarsi efficace. Sicché la conformità urbanistica dell'opera è requisito imprescindibile anche ai fini dell'agibilità di un immobile.
Tar Toscana, Firenze, sez. III, 16 ottobre 2021, n. 1328

Autorizzazione – Zona sismica – Deroghe – Edilizia
Secondo una lettura preferibile del complesso ordino normativo degli artt. 93, 94 e 94-bis, d.P.R. n. 380/2001, le deroghe – fissate da quest'ultima disposizione – all'obbligo di munirsi della preventiva autorizzazione per iniziare lavori edilizi in zona sismica devono essere considerate immediatamente applicabili senza che occorra attendere l'emanazione delle linee guida di cui al comma 2 dello stesso art. 94-bis (approvate con d.M. 30 aprile 2020) qualora l'immobile rientri nelle categorie definite dal comma 1, lett. b) e c), della medesima disposizione.
Infatti, ai sensi degli artt. 93 e 94, d.P.R. n. 380/2001, per costruire in zone sismiche è necessario munirsi del prescritto preavviso. Il successivo art. 94-bis, introdotto dall'art. 3 co. 1 del d.-l. n. 32/2019, tuttavia prevede alcune deroghe, distinguendo quelle da individuare nelle linee guida, che non sono bisognevoli di alcun preavviso (co. 2), dagli interventi di minore rilevanza o privi di rilevanza per i quali la deroga è immediatamente operativa (co. 1, lett. b) e c)).
Tar Campania, sede di Napoli, sez. VIII, 19 ottobre 2021, n. 6548

Variazione strumento urbanistico – Procedura semplificata – Presupposti – Istruttoria
La procedura “semplificata” di variazione dello strumento urbanistico generale disciplinata dall'art. 5 del D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447 (oggi trasposta nell'art. 8 del D.P.R. n. 160 del 2010) ha carattere eccezionale la quale non può essere surrettiziamente trasformata in una modalità “ordinaria”: pertanto, perché a tale procedura possa legittimamente farsi luogo, occorre che siano preventivamente accertati in modo oggettivo e rigoroso i presupposti di fatto richiesti dalla norma e, quindi, anche l'assenza nello strumento urbanistico di aree destinate ad insediamenti produttivi ovvero l'insufficienza di queste, laddove per “insufficienza” deve intendersi, in costanza degli standard previsti, una superficie non congrua in ordine all'insediamento da realizzare.
Di conseguenza il Comune, prima di procedere ai sensi del citato articolo 8, dovrebbe accertare e motivatamente attestare che, alla luce dello strumento urbanistico comunale, non vi siano aree destinate all'insediamento di impianti produttivi, oppure che le aree individuate dal p.r.g. siano insufficienti con riguardo all'insediamento da realizzare.
In definitiva, la norma in questione deve essere interpretata in senso restrittivo, dando alla nozione di “assenza” un significato “assoluto”, in modo tale da evitare che mere indisponibilità contingenti e transitorie di aree - destinate dal p.r.g. ad insediamenti produttivi - possano valere di per sé a giustificare la scelta dell'ente comunale di procedere con l'iter semplificato di approvazione della variante urbanistica.
Consiglio di Stato, sez. IV, 19 ottobre 2021, n. 7027

Ordine di demolizione – Inottemperanza – Sanzione – Decorso del termine
L'illecito sanzionato dall'art. 31 co. 4-bis, d.P.R. n. 380/2001 è costituito dalla inottemperanza all'ingiunzione di demolizione, la quale inizia con l'emanazione dell'ordinanza di demolizione e continua nel tempo fino a quando l'interessato (ovvero l'autorità amministrativa, in danno) non provveda ad eseguire il ripristino dello stato dei luoghi. Secondo tale prospettiva, è da escludere che l'obbligo dell'interessato di demolire si esaurisca e venga meno per effetto del decorso del termine di novanta giorni dall'ingiunzione, previsto dal co. 3 dell'art. 31, ai fini dell'acquisizione gratuita di diritto al patrimonio comunale delle opere abusive e dell'area di sedime, nonché dell'area di pertinenza preventivamente individuata ai sensi del co. 2. Infatti, nonostante la realizzazione ope legis dell'effetto acquisitivo, l'interessato permane nel possesso dei manufatti abusivi, e quindi nella disponibilità dei beni che formano oggetto dell'ordinanza di demolizione, almeno fino al momento dell'emanazione dell'atto ricognitivo che, ai sensi del co. 4, dichiara l'acquisizione del cespite al patrimonio comunale ai fini dell'immissione nel possesso e della trascrizione nei registri immobiliari. Del resto il carattere permanente dell'illecito, costituito dall'inottemperanza all'ingiunzione di demolizione, emerge in maniera lampante dal co. 4-quater dell'art. 31 cit., nel quale si prospetta il potere della Regione di stabilire che (le sanzioni amministrative pecuniarie previste dal co. 4-bis) siano periodicamente reiterabili qualora permanga l'inottemperanza all'ordine di demolizione.
Tar Campania, sede di Napoli, sez. II, 22 ottobre 2021, n. 6659

Misure di salvaguardia – Permesso di costruire – Momento dell'autorizzazione del titolo edilizio – Termine di adozione del nuovo piano
Le misure di salvaguardia mirano a conservare l'assetto urbanistico del territorio per evitare che possano essere autorizzate, durante il procedimento di modifica del P.G.T., iniziative edificatorie incompatibili con la volontà del Comune di configurare in modo nuovo lo stesso territorio comunale.
L'art. 12, comma 3 del d.P.R. n. 380/2001 stabilisce, infatti, che “in caso di contrasto dell'intervento oggetto della domanda di permesso di costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, è sospesa ogni determinazione in ordine alla domanda. La misura di salvaguardia non ha efficacia decorsi tre anni dalla data di adozione dello strumento urbanistico, ovvero cinque anni nell'ipotesi in cui lo strumento urbanistico sia stato sottoposto all'amministrazione competente all'approvazione entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione”.
Il fondamento di tale norma è, quindi, da individuare nella necessità di contemperare l'esigenza di non alterare un territorio in fase di ripianificazione urbanistica e quella di non comprimere sine die l'aspettativa edificatoria del privato.
L'applicazione di tale disposizione è riferita, dunque, agli interventi edilizi che siano ancora oggetto di valutazione da parte dell'Amministrazione comunale al momento dell'adozione del nuovo piano, non applicandosi le misure di salvaguardia anche ad interventi edilizi già autorizzati prima del sopravvenire del nuovo strumento urbanistico.
Tar Lombardia, sede di Milano, sez. II, 22 ottobre 2021, n. 2334

Piano esecutivo convenzionato – Strumento urbanistico non generale – Permesso di costruire – Effetto viziante – Effetto caducante
La giurisprudenza ha, in primo luogo, escluso l'esistenza di un nesso di presupposizione immediato, diretto e necessario nel rapporto tra piano esecutivo convenzionato (i.e. uno strumento urbanistico non generale) e i successivi titoli autorizzatori edilizi che nel primo trovino fondamento, escludendo così il presupposto per il prodursi di un effetto caducante sul secondo in caso di annullamento del primo. Inoltre, per quanto attiene alla relazione tra l'annullamento del un piano di recupero di un immobile ed il permesso di costruire in precedenza rilasciato sulla sua base, ha stabilito che non si rinviene tra i due “un rapporto di consequenzialità necessaria, in quanto quest'ultimo non è meramente applicativo del primo, ma costituisce autonomo esercizio del potere attribuito all'amministrazione”, di talché l'eventuale caducazione della delibera consiliare di approvazione del piano di recupero “non provocherebbe il travolgimento del permesso di costruire” (Cons. Stato, sez. IV, 18 maggio 2018 n. 3001). L'annullamento di strumenti urbanistici di pianificazione si ripercuote sui singoli atti applicativi a valle relativi a terzi in termini di invalidità non caducante, ma soltanto viziante. Sicché, in conclusione, può ritenersi che il permesso a costruire si collochi entro un procedimento amministrativo differente, seppur collegato, rispetto a quello di approvazione del piano particolareggiato presupposto e che, quindi, non possa qualificarsi rispetto a quest'ultimo alla stregua di un atto meramente consequenziale, come tale suscettibile di perdere ipso iure validità o efficacia in seguito all'annullamento del primo.
Tar Lazio, sede di Latina, sez. I, 26 ottobre 2021, n. 584

Destinazione urbanistica – Discrezionalità – Piano regolatore – Motivazione – Singoli lotti
La giurisprudenza ha espresso alcuni principi ormai consolidati in tema di individuazione della destinazione urbanistica di un'area: a) il disegno urbanistico espresso da uno strumento di pianificazione generale, o da una sua variante, costituisce estrinsecazione di potere pianificatorio connotato da ampia discrezionalità che rispecchia non soltanto scelte strettamente inerenti all'organizzazione edilizia del territorio, bensì afferenti anche al più vasto e comprensivo quadro delle possibili opzioni inerenti al suo sviluppo socio-economico; tali scelte non sono nemmeno condizionate dalla pregressa indicazione, nel precedente piano regolatore, di destinazioni d'uso edificatorie diverse e più favorevoli rispetto a quelle impresse con il nuovo strumento urbanistico o una sua variante. b) l'onere di motivazione gravante sull'Amministrazione in sede di adozione di strumenti urbanistici, anche sovracomunali, è di carattere generale e risulta soddisfatto con l'indicazione dei criteri principali che sorreggono le scelte effettuate, potendo la motivazione desumersi anche dai documenti di accompagnamento all'atto di pianificazione urbanistica e, più in generale, dagli atti del procedimento.
Peraltro in occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale, le decisioni dell'Amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si possa evincere dai criteri generali – di ordine tecnico discrezionale – seguiti nell'impostazione del piano stesso.
Tar Lombardia, sede di Milano, sez. II, 26 ottobre 2021, n. 2354

Convenzione urbanistica – Piano di lottizzazione – Funzione – Distinzioni
La funzione della convenzione urbanistica non è di integrare la disciplina urbanistica, di per sé completa, ma di definire nel dettaglio gli impegni delle parti, e principalmente dei privati, in vista del conseguimento dell'equilibrio nello scambio di utilità. La convenzione di lottizzazione costituisce, di regola, il punto di approdo nel quale si formalizzano a livello negoziale i reciproci obblighi dei lottizzanti e dell'Amministrazione dopo che quest'ultima ha favorevolmente accolto la proposta urbanistica dei privati, ove il piano attuativo sia rimesso alla loro iniziativa, ovvero l'adesione alla propria, nel caso inverso. La convenzione, cioè, costituisce atto autonomo e indipendente rispetto al provvedimento di approvazione del piano di lottizzazione, il quale ultimo diventa un presupposto giuridico (e non necessariamente logico, salvo l'ipotesi in cui permangano volontà e presupposti della pianificazione approvata per la lottizzazione) della stipula; essa rappresenta cioè soltanto una delle eventuali attività che possono concretizzarsi dopo l'approvazione del piano.
Consiglio di Stato, sez. II, 28 ottobre 2021, n. 7237