I temi di NT+Tributi e bilanci a cura di Anutel

Legittima la differenziazione delle tariffe pubblicitarie del canone unico patrimoniale

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di Stefano Baldoni (*) - Rubrica a cura di Anutel

I comuni possono differenziare le tariffe della componente pubblicitaria del canone di concessione, autorizzazione e diffusione pubblicitaria (canone unico patrimoniale-CUP) in base alla tipologia degli impianti ed alla loro ubicazione. Questa è l’importante conclusione a cui è giunto il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 8846 del 10 ottobre 2023, ribaltando le decisioni del giudice di primo grado.

La vicenda trae origine dal ricorso presentato da una società avverso il pagamento del canone unico patrimoniale, con il quale contestava la legittimità del prelievo sotto diversi aspetti.

In primo luogo, per il ricorrente, il comune avrebbe violato la disposizione dell’articolo 1, comma 817, della legge 160/2019, in base alla quale, con l’introduzione del nuovo canone unico patrimoniale, occorreva rispettare il principio dell’invarianza del gettito rispetto ai prelievi soppressi. Tuttavia, il Consiglio di Stato ha invece correttamente ritenuto che il rispetto di tale limite deve essere verificato con riferimento all’intero cumulo dei canoni e/o dei tributi sostituiti dal CUP, facendo riferimento all’intero gettito rappresentato da tutte le esposizioni pubblicitarie effettuate nel comune. Il Tar Lazio aveva invece erroneamente ritenuto violato tale limite semplicemente confrontando quanto dovuto dalla società ricorrente per la diffusione pubblicitaria oggetto di contestazione, con l’importo che sarebbe stato pagato in precedenza con il medesimo tipo di impianto. La norma del comma 817 costituisce invero una clausola di salvaguardia per le entrate del comune, ben potendo l’ente modificare anche in aumento le singole tariffe (come precisa lo stesso comma 817), garantendo comunque l’invarianza finanziaria. Ciò per il necessario bilanciamento tra il principio della riserva di legge in materia di prestazioni imposte, che richiede la fissazione di un limite legislativo al prelievo, e l’autonomia finanziaria riconosciuta agli enti dagli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, da cui discende la facoltà degli enti di differenziare i prelievi.

La seconda doglianza della ricorrente riguardava la determinazione delle tariffe che, a detta della società, non avrebbero potuto essere differenziate in base alla tipologia ed all’ubicazione dell’impianto pubblicitario, in quanto il comma 825 dell’articolo 1 della legge 160/2019 stabilisce che il canone è determinato in base alla superficie complessiva del mezzo pubblicitario, indipendentemente dal tipo e dal numero dei messaggi.

Il Consiglio di Stato evidenzia invece che il riferimento della norma alla superficie del mezzo pubblicitario non vieta una differenziazione sulla base della tipologia dell’impianto o della zona di ubicazione. Ciò è confermato dal testo letterale del comma 825, in base al quale non incidono sulla determinazione del canone il tipo ed il numero dei messaggi, con la conseguenza che possono invece essere utilizzati i diversi parametri della tipologia dell’impianto e della zona di ubicazione nella determinazione della tariffa in base alla superficie. Come a dire che la tariffa è sempre parametrata alla superficie, ma che la stessa può essere differenziata tenendo conto dei suddetti parametri. Differenziazione che serve altresì per non rendere del tutto illogico il prelievo e soprattutto per garantire la coerenza con le esigenze del mercato, che apprezzano diversamente un impianto illuminato da uno che non lo è, come la diversa frequentazione turistica di una zona. In tale modo viene sconfessata la lettura data dal Tar Lazio al comma 825 della citata legge 160/2019 la quale avrebbe richiesto una tariffa unica per tutti gli impianti, commisurata alla superficie degli stessi. Sul punto si era espresso anche il Tar Brescia, con la sentenza n. 576/2023. Per i Giudici lombardi, seppure imprescindibilmente la base di calcolo del prelievo è la superficie dell’impianto, l’ente può (anzi è necessario secondo il TAR) stabilire una serie di parametri che tengano conto delle installazioni del territorio e che riflettano il maggiore o il minore valore di mercato di una determinata postazione. Parametri che rientrano nel calcolo matematico della tariffa (e non sono quindi parte della base di calcolo che resta la superficie) e che, come tali, sfuggono alla riserva di legge. Peraltro, è la stessa legge 160/2019 che invita gli enti locali a tutelare le località più fragili e meno adatte alla diffusione di messaggi pubblicitari e ad applicare tariffe più elevate alle postazioni di maggiore interesse economico.

La componente pubblicitaria del canone unico patrimoniale, introdotto dall’articolo 1, comma 816 della legge 160/2019, secondo il TAR Brescia, non ha natura tributaria. Pertanto, è possibile per il regolamento comunale differenziare il trattamento tariffario degli impianti pubblicitari, oltre che sulla base della superficie, anche tenendo conto della tipologia opaca o luminosa della pubblicità e del carattere ordinario o speciale delle località del territorio comunale.

La decisione del Consiglio di Stato si spera possa porre fine ad una questione che ha portato al sorgere di diversi contenziosi in tutta Italia, questione che è affrontata anche dallo schema di decreto legislativo attuativo della delega fiscale (legge 111/2023). Nello stesso, infatti, si specifica che gli enti determinano le tariffe del canone (sia la componente suolo che quella pubblicitaria) tenendo conto di diversi parametri, quali la popolazione residente, la rilevanza dei flussi turistici presenti nel comune e le caratteristiche urbanistiche delle diverse zone del territorio comunale, nonché la ritraibilità economica e l’impatto ambientale delle occupazioni e delle esposizioni pubblicitarie.

(*) Vice presidente Anutel

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