Amministratori

Legittimo limitare l'orario del bar se l'ordinanza sindacale tutela dall'inquinamento acustico

Ciò che conta è l'oggettiva ascrivibilità della situazione di disturbo all'espletamento dell'attività

di Amedeo Di Filippo

È legittima l'ordinanza con la quale il sindaco limita l'orario di esercizio di un bar per disturbo della quiete pubblica. Lo ha affermato la prima sezione del Consiglio di Stato con il parere n. 2075/2021.

Il caso
La prima sezione si esprime su un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica con cui è stata impugnata una ordinanza sindacale di limitazione dell'orario di esercizio di un bar per disturbo della quiete pubblica, ritenuta illegittima perché applicata su un'area della città non connotata da particolare afflusso di persone né interessata da fenomeni di aggregazione notturna. Viene inoltre contestato il potere extra ordinem ex articolo 54, commi 4 e 6, del Tuel, che può essere esercitato solo per affrontare situazioni di carattere eccezionale e imprevisto, non presenti nel caso di specie perché non ravvisabile alcun pericolo irreparabile e imminente per la collettività, peraltro relativo a una situazione ben conosciuta dal Comune e comunque fronteggiabile con misure ordinarie.
I giudici hanno ritenuto il ricorso infondato e lo hanno respinto, partendo dal presupposto che il sindaco ha esercitato i poteri conferitigli non dal Tuel ma dall'articolo 9 della legge 447/1995, la legge quadro sull'inquinamento acustico che, nel caso di eccezionali e urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell'ambiente, consente al primo cittadino di ordinare il ricorso temporaneo a speciali forme di contenimento o di abbattimento delle emissioni sonore, inclusa l'inibitoria parziale o totale di determinate attività.

La quiete pubblica
La quiete pubblica, argomenta il Consiglio di Stato, costituisce un bene collettivo che si va facendo sempre più scarso anche nelle ore notturne e poiché questo è il periodo della giornata che la massima parte della popolazione dedica al riposo, è evidente che con l'incremento dei rumori sono aumentati disagi fisici e psicologici che, non di rado, sfociano in malattie vere e proprie. «La quiete costituisce, dunque, una condizione necessaria affinché sia garantita la salute», si legge nel parere, per cui i cittadini hanno un interesse a che le amministrazioni reprimano quei comportamenti che la pregiudicano. La prima sezione parla di vero e proprio «diritto alla quiete», espressione del diritto alla salute psicofisica, come tale prevalente sugli interessi economici di quanti costituiscano la causa diretta o indiretta del disturbo svolgendo un'attività economica di cui essi soli percepiscono i proventi, riversandone sulla collettività circostante i pregiudizi.
Se di questo si tratta, il potere/dovere previsto dall'articolo 9 della legge quadro non può essere inteso come una mera riproduzione del generale potere di ordinanza tradizionalmente riconosciuto al sindaco, ma deve essere logicamente e sistematicamente interpretato nel particolare significato che assume all'interno di una normativa dettata allo scopo primario di realizzare un efficace contrasto al fenomeno dell'inquinamento acustico. Talché, è la conclusione, l'accertata presenza di un tale fenomeno è di per sé sufficiente a concretare l'eccezionale e urgente necessità di intervenire a tutela della salute pubblica, utilizzando come unico strumento quello previsto dall'articolo 9.

La proporzionalità
Il ricorrente ha anche contestato la violazione del principio di proporzionalità e adeguatezza dell'ordinanza. Al fine di valutare questo principio, affermano i giudici di Palazzo Spada, è necessario esaminare non solo la relazione tra contenuto ed effetti della misura ma anche l'ambito dei doveri spettanti al gestore del locale, il quale deve predisporre locali e spazi che minimizzino il disturbo alla quiete, riducendo le emissioni sonore e prevenendo schiamazzi e litigi e che per questo assume l'obbligo giuridico di controllare, con la possibilità di escludere avventori poco accorti o ricorrere all'autorità di pubblica sicurezza. Posto dunque che al gestore spetta un preciso dovere di vigilanza e controllo, la modifica dell'orario di apertura e anche la chiusura dell'esercizio costituisce misura adeguata a rimuovere assembramenti rumorosi o altre condotte moleste per la quiete pubblica, non rilevando che il disturbo sia addebitabile agli avventori e non al gestore, in quanto simili provvedimenti non hanno natura sanzionatoria e prescindono dalla responsabilità soggettiva dell'esercente, sicché ciò che conta è l'oggettiva ascrivibilità della situazione di grave turbamento del vivere civile all'espletamento dell'attività colpita con l'ordine di variazione dell'orario.

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