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Malattia, l'errore del medico sul numero del certificato ricade sul dipendente senza reale possibilità di appello

La Funzione pubblica dice possibile ma non obbligatoria la verifica del lavoratore sulla corretta registrazione presso l'Inps

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di Alice Mattarelli

Un «inceppo burocratico da errore umano» ha interessato in questi ultimi anni un certo numero di lavoratori dipendenti colpiti dalla pandemia. Nel caso di Covid, accertato tramite tampone, la visita medica, non solo non è richiesta, ma viene addirittura sconsigliata. L'articolo 6 del Dl 18/2020 al comma 6 precisa che, in caso di malattia dovuta a Covid, il certificato debba essere redatto dal medico curante con modalità telematiche. Un meccanismo semplice, utile per i medici di base, spesso oberati durante la pandemia.

L'invio dei certificati telematici è disciplinato dalla circolare n. 4/2011, emanata dalla Funzione pubblica e dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, in cui si precisa che il lavoratore deve richiedere al proprio medico il numero di protocollo identificativo del certificato inviato per via telematica (o copia in Pdf del certificato, sulla sua casella di posta elettronica). Il lavoratore può verificare presso l'Inps il corretto inoltro, accedendo al sito e autenticandosi. Non risulta un'azione obbligatoria: del resto lo stato di malattia non sempre consente di effettuare queste consultazioni.

Ma cosa succede se il numero di protocollo del certificato venisse comunicato sbagliato? O se il medico fosse impossibilitato o si scordasse di caricare il protocollo sul sistema informatico?

Prendiamo il caso di una cittadina che, dopo aver contratto il Covid, riceve dal medico un numero di protocollo sbagliato. Lei lo comunica prontamente alla sua azienda, senza procedere alla verifica presso il sito dell'Inps e, la settimana successiva, ormai guarita, si vede rifiutato il riconoscimento della malattia prima dall'azienda, e, poi, dalla stessa Inps. Perde così il diritto all'indennità, con la sola scelta di usufruire di ferie retroattive, o di un congedo non pagato.

La donna tenta una opposizione, forte di una onesta dichiarazione scritta del medico stesso che, riconoscendo la svista, chiede all'Inps di prendere atto di un evidente errore umano. Il ricorso però viene rifiutato in quanto il lavoratore risulterebbe inadempiente: secondo la circolare n. 4/2011, poteva richiedere al medico copia del certificato di malattia e verificare autonomamente il corretto inserimento del protocollo sul sito della previdenza sociale.

Il caso non è isolato. I sindacati informano che la risposta dell'Inps, con riferimento alla circolare menzionata è sempre la stessa: l'errore, del medico, anche se ammesso e pure con la prova dei tamponi molecolari effettuati, ricade sul lavoratore, senza reale possibilità di appello. Resta il fatto che il dettato della circolare, dichiara possibile la verifica della corretta registrazione presso l'Inps, ma non la impone al lavoratore: un cortocircuito che genera l'impossibilità pratica di correggere una lieve mancanza, generatasi, peraltro, in giorni in cui "l'inadempiente" non era abile per svolgere le sue funzioni, in quanto ammalato.

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