Fisco e contabilità

Pnrr, arrivano i fondi per le opere comunali definanziate dal Piano

Nel decreto di fine mese il quadro delle coperture sostitutive da 10 miliardi su più anni per le misure tagliate nella rimodulazione

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di Manuela Perrone e Gianni Trovati

I lavori sono ancora in pieno corso, e passano dall’analisi serrata progetto per progetto di costi effettivi e stati di avanzamento, ma il quadro si sta definendo. E punta a garantire una copertura finanziaria completa per i circa 10 miliardi di investimenti comunali usciti dal Pnrr con la rimodulazione approvata a fine novembre. Il quadro sarà dettagliato dal nuovo decreto legge sul Piano che il Governo ha intenzione di approvare entro la fine del mese, e che sul terreno finanziario deve far fronte anche a un compito più impegnativo: quello di trovare i fondi per accompagnare tutte le nuove misure inserite nel Pnrr rivisto, che richiedono circa 15-17 miliardi (su più anni), poi compensati dalle rate del cronoprogramma riscritto.

Il mosaico è complesso e più di una tessera deve ancora trovare il proprio posto, ma il senso di questa parte del decreto, chiamato anche a ridefinire il quadro normativo in un ventaglio ampio che va dalla clausola di responsabilità per la mancata spesa alle semplificazioni ulteriori chieste dalle amministrazioni centrali e locali, è facile da riassumere. Con il testo del provvedimento in mano, i sindaci non potranno avere più timori (né alibi) sull’incertezza finanziaria nello sviluppo dei loro investimenti.

In gioco ci sono due gruppi di interventi. Il primo è rappresentato da quelli che il gergo del Pnrr chiama(va) «progetti in essere», cioè quelle linee di investimento già finanziate da programmi nazionali e poi entrate nel Piano europeo non per trovare i fondi, ma per pagarli meno in termini di interessi rispetto all’indebitamento nazionale. Si tratta in particolare delle piccole e medie opere dei Comuni, cioè di quelle migliaia di mini-investimenti (spesso da poche migliaia di euro ciascuno) finanziate “a pioggia” e al centro delle accuse di «frammentazione» del vecchio piano. Valgono 6 miliardi, 3,3 già pagati dai Comuni che stanno aspettando i rimborsi dal Viminale, e sono destinate a riatterrare nei vecchi filoni di finanziamento domestico, ancora presenti nel bilancio pubblico.

Lo stesso accadrà per la «rigenerazione urbana», vale a dire i piani di riqualificazione delle periferie dal Corviale a Roma a Scampia a Napoli, anch’essi preesistenti al Pnrr dove poi sono entrati per sostituire con fondi europei i precedenti finanziamenti nazionali. In questo caso il capitolo, che contempla 2.325 progetti in 645 Comuni, in tutto valeva originariamente 3,3 miliardi (più altri 900 milioni di fondi nazionali) ed è ora diviso in due: circa 2 miliardi restano nel Pnrr, quindi rientreranno nei finanziamenti nazionali progetti 1,3 miliardi. Qui i problemi restano due: è ancora da chiarire quali sono, e in base a quali criteri sono scelti, gli interventi che restano coperti dal Pnrr e quelli invece che ne escono. E soprattutto va ora raggiunto un obiettivo che, pur alleggerito sul piano finanziario, diventa più ambizioso su quello della realizzazione perché il target rivisto prevede il completamento entro il giugno 2026 di 1.080 interventi, invece dei 300 del Piano originario, per un milione di metri quadri di superficie.

Si divide in due anche il terzo grande insieme di progetti comunali, i «Piani urbani integrati». Dei 2,7 miliardi destinati inizialmente ad alimentare circa 600 progetti negli oltre 300 Comuni interessati dai 31 Piani, circa un miliardo rimane nel Pnrr ma il resto deve trovare una nuova copertura perché, a differenza di piccole opere e rigenerazione urbana, i Piani integrati non esistevano prima del Pnrr. A intervenire sarà la rimodulazione del Piano nazionale complementare, il gemello domestico del Pnrr che vale 30,5 miliardi ed è stato costruito dal Governo Draghi per realizzare una serie di investimenti, anche stradali, esclusi per varie ragioni dal programma europeo. Il Pnc già si occupa dei «Piani integrati», con una dote da 210 milioni che sarà destinata a moltiplicarsi (quasi) per dieci rinunciando però ad altre opere previste dal programma originale.

Il nuovo decreto Pnrr si occuperà quindi anche di rimodulare il Piano nazionale complementare, che viaggia parecchio in ritardo rispetto alla tabella di marcia ma non è rivedibile a piacere perché comunque molti bandi sono partiti, pur se in tempi più lunghi del previsto, e hanno già generato le «obbligazioni giuridicamente perfezionate» che impediscono ripensamenti. Anche su questo aspetto i numeri definitivi arriveranno solo con il decreto, ma dal Pnc dovrebbero arrivare in tutto fra i due e i tre miliardi, quasi integralmente assorbiti dai Piani urbani integrati. Il resto, insieme al Fondo nazionale sviluppo e coesione soprattutto per gli interventi nel Mezzogiorno a cui va destinato l’80% delle risorse, servirà per sostenere altri due filoni di investimenti comunali, cioè il potenziamento dei servizi sociali nelle aree interne (750 milioni) e la valorizzazione dei beni confiscati alle mafie (300 milioni).

Anche se non è nell’ordine del giorno ufficiale, il dossier potrebbe tornare al centro del confronto della nuova cabina di regia Pnrr convocata dal ministro Raffaele Fitto per martedì 16 gennaio con ministri e amministratori locali. Sarà lì che i sindaci torneranno alla carica sul nodo risorse.

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