Personale

Pnrr, ai Comuni 40 miliardi ma 130mila dipendenti persi in vent’anni

Con i nuovi contratti la spesa per gli arretrati può bloccare le assunzioni

di Gianni Trovati

«Il Pnrr è nelle vostre mani», ha detto il premier Mario Draghi giovedì scorso ai sindaci riuniti all’assemblea nazionale Anci di Parma. «Ma le nostre mani sono legate dalle carenze di personale», rispondono in coro gli amministratori, civici e politici, di sinistra e di destra, del Nord e del Sud. «Le risorse ci sono, ci serve personale competente», ha riassunto ancora ieri il presidente dell’Anci Antonio Decaro. I numeri messi in fila dalla Ragioneria generale dello Stato misurano il problema.

Oggi i Comuni hanno 320.304 dipendenti. Nel 2010 gli organici contavano 392.856 persone, mentre se si va indietro fino al 2001 le liste del personale salgono a 451.878 unità. In sintesi, questi enti hanno perso il 18,5% del personale in dieci anni, e il 29,1% in venti. Un quadro del genere allarma il governo, che infatti con Draghi e con il ministro per la Pa Renato Brunetta a Parma ha promesso interventi rapidi.

Queste cifre, generali, dicono molto ma non tutto. Il resto è raccontato dall’età media dei dipendenti, salita fino alle soglie dei 53 anni contro i 45 del 2001, e dalla distribuzione geografica dell’esodo, che negli ultimi dieci anni ha visto crolli negli organici di oltre il 30% in Molise, Campania e Basilicata, flessioni nei dintorni del 20% in Marche, Lombardia, Toscana e Piemonte e riduzioni inferiori solo in Calabria, Lazio, Sicilia, Emilia Romagna e Veneto. L’emorragia di personale, insomma, non conosce un confine rigido fra Nord e Sud, ma diverse dinamiche al ribasso prodotte dalle contingenze territoriali su età media del personale e fortuna di Quota 100, con un’accelerazione dove la crisi dei bilanci ha impedito anche il poco reclutamento permesso dalle norme. E con una sola eccezione: il Friuli Venezia Giulia, che grazie allo Statuto di autonomia ha visto crescere il personale di quasi il 40% nel decennio.

In queste condizioni i Comuni dovrebbero riuscire a gestire i circa 40 miliardi di investimenti previsti dal Recovery, e a cumulare quindi tra interventi ordinari e opere Pnrr circa 15 miliardi all’anno di spesa in conto capitale, con un aumento del 50% rispetto ai livelli raggiunti oggi dopo due anni di crescita resa possibile dall’addio al Patto di stabilità interno e dagli aiuti centrali.

Ma la cura per fermare la corsa della spesa di personale nella Pa che si era sviluppata nei primi dieci anni Duemila ha aperto voragini negli organici locali. Anche perché è stata uguale per tutti: fra il 2014 e il 2018, calcolano i tecnici della Ragioneria, i Comuni hanno sostituito in media fra il 31 e il 54% del personale uscito. Nel 2019 il tasso è salito all’88%, grazie all’abolizione dei vecchi vincoli al turn over. Ma due nuovi ostacoli rischiano di interrompere sul nascere questo accenno di ricostruzione.

Il primo è rappresentato dal parametro che ha sostituito le percentuali del turn over. Oggi i Comuni sono divisi in “classi” in base al rapporto fra la loro spesa di personale e le entrate correnti: dove è più basso si può assumere di più, dove è più alto meno, fino a zero dove il dato è più critico. Il criterio è logico ma ora rischia di ridurre drasticamente le assunzioni per un effetto collaterale: nel 2022 entrerà in vigore il nuovo contratto nazionale, che oltre ad aumentare la spesa (774 milioni all’anno nel comparto) impone il pagamento degli arretrati, perché riguarda il 2019/21. E gli arretrati gonfiano la spesa, aumentandone il peso sulle entrate e quindi peggiorando il rapporto che governa le possibilità assunzionali. A Province e Città metropolitane va anche peggio. Per loro il turn over è stato abbandonato solo sulla carta, perché a oltre due anni dal cambio di regole (deciso dal governo Conte 1) ancora manca il decreto attuativo sul parametro della spesa. Ma qui gli uffici sono già stati svuotati dalla riforma che puntava all’abolizione delle Province, poi bocciata per referendum. Senza uscite non ci sono nuove assunzioni. E senza assunzioni rischia di non esserci il Pnrr.

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