Appalti

Project financing, no all'aggiudicatario che cede a terzi il 99% della società di progetto

La decisione del Consiglio di Stato resta valida anche con il nuovo codice che amplia la possibilità di partecipazione degli investitori istituzionali nel Ppp

di Roberto Mangani

Nell'ambito di una concessione affidata a seguito di una procedura di project financing l'aggiudicatario non può costituire successivamente all'aggiudicazione una società di progetto partecipata al 99% da un soggetto terzo. Ciò in quanto in questo modo si verificherebbe una modifica sostanziale del contratto di concessione sotto il profilo soggettivo (diversità del concessionario), non coerente con i principi di trasparenza e di concorrenzialità, in quanto idonea a porre nel nulla la scelta dell'aggiudicatario, che non coinciderebbe più con il titolare della concessione. A fronte di una situazione di questo tipo l'ente concedente può legittimamente procedere ad adottare un provvedimento di cessazione della concessione, senza che possa inficiarne la legittimità la circostanza che lo stesso sia stato erroneamente qualificato.

Queste sono le affermazioni principali contenute nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 18 aprile 2023, n. 3886, che ha il merito di privilegiare un'impostazione più attenta alla sostanza dei fenomeni che alla forma nella valutazione dell'agire della pubblica amministrazione concedente.

I principi affermati nella pronuncia mantengono la loro validità anche nel nuovo quadro normativo del Dlgs. 36/2023, che peraltro introduce una significativa novità destinata a ripercuotersi sul ruolo dei finanziatori dell'iniziativa da realizzare in project financing, con effetti anche nella società di progetto.

Il caso
Un ente locale, a seguito di una procedura di project financing, affidava a un consorzio stabile la concessione del servizio di progettazione, realizzazione e gestione dell'intervento di adeguamento dell'impianto di illuminazione comunale. Successivamente all'aggiudicazione, il concorrente aggiudicatario costituiva una società di progetto partecipata al 99% da un soggetto terzo, comunicando il subentro della stessa nella concessione. Il Comune, dopo aver in un primo momento preso atto di tale subentro, successivamente adottava un provvedimento definito di risoluzione del contratto di concessione, ritenendo la costituzione della società di progetto non in linea con le relative previsioni normative. L'originario aggiudicatario impugnava tale provvedimento davanti al Tar Campania, che tuttavia respingeva il ricorso. La sentenza del Tar veniva fatta oggetto di appello davanti al Consiglio di Stato.

Il Consiglio di Stato: il provvedimento dell'ente concedente e la presunta carenza di potere.
Il primo motivo di appello si è incentrato sulla censura mossa all'operato dell'ente concedente – non considerata dal giudice di primo grado – secondo cui la risoluzione contrattuale disposta da quest'ultimo sarebbe da considerare illegittima in quanto adottata in carenza del relativo potere. Questa censura è stata respinta anche dal Consiglio di Stato. Il giudice d'appello ricorda in via preliminare che la corretta qualificazione del provvedimento amministrativo va operata tenendo conto dell'effettivo contenuto dello stesso, a prescindere dalla denominazione che l'ente pubblico ha inteso dargli. Ne consegue che un errore nella terminologia definitoria utilizzata non può assumere carattere vincolante né può di per sé influire sulla valutazione in tema di legittimità del provvedimento stesso.

Applicando questo principio al caso di specie, il Consiglio di Stato ha evidenziato come il provvedimento in questione abbia un contenuto e una causa composita. A fondamento dello stesso assume rilievo dirimente la composizione della società di progetto che vede la presenza sostanzialmente totalitaria di un soggetto terzo, mentre non riveste più alcun ruolo l'originario aggiudicatario della concessione. Questo comporta la palese violazione della normativa di riferimento del Dlgs 50/2016, e in particolare della disposizione che prevede la cessazione della concessione qualora la stessa abbia subito una modifica che per le sue caratteristiche avrebbe comportato lo svolgimento di una nuova procedura di aggiudicazione (articolo 176, comma 1, lettera c). È infatti evidente che la sostanziale sostituzione dell'originario concessionario – derivante dall'assenza di quest'ultimo nella società di progetto - rientra in questa casistica. Ciò porta a ritenere che il provvedimento adottato dall'ente concedente - al di là della denominazione utilizzata che fa riferimento alla risoluzione contrattuale - sia in realtà inquadrabile in termini diversi, e cioè come provvedimento che dispone la cessazione del rapporto concessorio sulla base della specifica norma sopra richiamata. Ne consegue che per l'adozione di tale provvedimento l'ente concedente non doveva seguire l'iter procedurale previsto per la risoluzione contrattuale, come sostenuto dall'appellante che aveva fondato la sua censura sulla ritenuta carenza di potere (o, se si vuole, sull'esercizio illegittimo del potere).

Le argomentazioni sviluppate dal Consiglio di Stato in relazione a questa prima censura presentano un significativo interesse perché si incentrano sull'elemento sostanziale piuttosto che sul dato meramente formale. A fronte di una evidente violazione delle regole che disciplinano il rapporto concessorio, ciò che il giudice amministrativo ha inteso tutelare è il diritto dell'ente concedente di farla valere, senza che possa essere di ostacolo l'elemento di una non perfetta formulazione del provvedimento adottato.

La società di progetto
Anche la censura volta a contestare la legittimità del provvedimento di decadenza della concessione sotto il profilo del merito è stata respinta dal Consiglio di Stato. Come visto, tale provvedimento è stato motivato dal punto di vista sostanziale con l'avvenuto mutamento soggettivo del concessionario, riconducibile alla composizione della società di progetto che non ricomprendeva l'originario aggiudicatario della concessione. Al riguardo, il giudice amministrativo richiama in primo luogo la disposizione (articolo 176, comma 1, lettera d) che prevede la cessazione del rapporto concessorio in caso di modifiche che avrebbero richiesto una nuova procedura di aggiudicazione.

Tra tali modifiche il successivo articolo 175, comma 8 espressamente prevede quelle che comportino una modifica soggettiva della concessione al di fuori di casi limitati e tassativi (clausole di revisione, fenomeni successori, assunzione da parte della stazione appaltante/concedente degli obblighi dell'appaltatore/concessionario). In altri termini, la sostituzione del concessionario non è ammessa, se non nei limitati casi sopra indicati. Queste previsioni si inseriscono nell'ambito delle altre disposizioni che regolamentano i rapporti tra il concessionario aggiudicatario e la società di progetto. Tali disposizioni consentono infatti che il primo, successivamente all'aggiudicazione costituisca una società di progetto. La ratio di questa scelta del legislatore è da individuare nell'intento di segregare il progetto attraverso un veicolo societario dedicato esclusivamente alla sua realizzazione. La società di progetto non può tuttavia divenire lo strumento attraverso il quale vengono ad essere violati i principi generali di trasparenza e concorrenzialità.

Detto in termini più espliciti, non è consentito che dopo avere selezionato il concessionario con gara, quest'ultimo non sia presente nella società di progetto i cui azionisti verrebbero a essere soggetti terzi.D'altronde è la stessa disciplina normativa a dettare regole coerenti con tale divieto. In primo luogo, l'articolo 184, comma 1 stabilisce che l'aggiudicatario ha facoltà, dopo l'aggiudicazione, di costituire una società di progetto, rimarcando quindi la naturale coincidenza soggettiva tra aggiudicatario e socio. A fianco di questa previsione che regola la fase costitutiva della società di progetto, si colloca poi la successiva disposizione che riguarda la fase operativa della società. Viene infatti stabilito che il contratto di concessione stabilisce le modalità per l'eventuale cessione delle quote della società di progetto, fermo restando che i soci che hanno concorso a formare i requisiti per la qualificazione (c.d. soci qualificanti) sono tenuti a partecipare alla società, garantendo l'adempimento degli obblighi del concessionario fino alla data di emissione del certificato di collaudo (articolo 184, comma 3).

Vi sono poi disposizioni specifiche per gli investitori istituzionali. Per questi ultimi – che normalmente non concorrono a formare i requisiti di qualificazione – sia l'ingresso che l'uscita dalla società di progetto possono avvenite liberamente in qualunque momento (articolo 184, comma 3). Sulla base di questo quadro normativo il Consiglio di Stato ha ritenuto che la costituzione fin dall'origine della società di progetto con una composizione in cui il capitale sociale era quasi integralmente in capo a un soggetto terzo integra una modifica soggettiva della concessione al di fuori dei casi consentiti, e come tale può legittimamente essere causa di cessazione della concessione stessa, tenuto anche conto che vi è la sostanziale estromissione dalla società di progetto del socio qualificante (l'originario aggiudicatario della concessione che era titolare dei requisiti richiesti dalla gara).

Il Dlgs 36/2023
Le conclusioni affermate nella sentenza mantengono la loro validità anche a seguito dell'entrata in vigore del Dlgs 36/2023. Le norme relative alla cessazione della concessione e alla società di progetto rimangono infatti sostanzialmente inalterate nella nuova disciplina.Vi è tuttavia un'importante novità introdotta dal Dlgs 36 che ha riflessi anche sulla tematica esaminata. Ci si riferisce alla previsione contenuta all'articolo 193, comma 1, che ha inteso facilitare la partecipazione di investitori istituzionali a operazioni da realizzare in project financing. Questa facilitazione opera su tre livelli:

a) possono presentare proposte di project financing anche senza essere in possesso dei requisiti di qualificazione richiesti per l'affidamento della concessione, salva la necessità, nella successiva gara per l'affidamento dei lavori o dei servizi, di associarsi o consorziarsi con operatori economici in possesso dei requisiti richiesti dal bando;
b)in sede di gara, possono soddisfare la richiesta dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale avvalendosi, anche integralmente, delle capacità di altri soggetti;
c) possono altresì impegnarsi a subappaltare, anche integralmente, le prestazioni oggetto del contratto di concessione a imprese in possesso dei requisiti richiesti dal bando, a condizione che il nominativo del subappaltatore sia comunicato all'ente concedente entro la scadenza del termine per la presentazione dell'offerta.

Le possibilità indicate alla lettera b) e in più ancora alla lettera c) aprono significativi spazi per il ruolo degli investitori istituzionali nella finanza di progetto. Spazi destinati potenzialmente a incrementarsi ancora di più se a queste previsioni si collega anche la possibilità per questi soggetti di uscire in ogni momento dalla società di progetto.

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