Quota fissa Tari anche per i rifiuti speciali
Le utenze non domestiche che producono rifiuti speciali devono pagare la quota fissa della tassa sui rifiuti (Tari) anche sulle superfici dove tali rifiuti sono prodotti.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23228 del 28/08/2024, ha ribadito un orientamento che negli ultimi tempi si sta consolidando, portando alla necessità di riflettere sulle modalità operative adottate dagli enti locali fino ad oggi.
La Corte ha affrontato la tassabilità di alcuni locali destinati al conferimento, lavorazione ed esposizione della merce di una utenza, la quale invoca la non tassabilità delle relative superfici in quanto nelle stesse si producono imballaggi e rifiuti da imballaggio secondari e terziari. La Corte ha in primo luogo ribadito che gli imballaggi secondari e terziari non sono rifiuti urbani (fatta eccezione per i primi se sono state istituite forme di raccolta differenziata), alla luce, in particolare per quelli terziari, della previsione del codice dell’ambiente (Dlgs 152/2006) che, all’articolo 226, ha stabilito il divieto di immissione degli imballaggi terziari di qualsiasi natura nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani. La Corte ha ritenuto peraltro non condivisibile la tesi sostenuta in dottrina in base alla quale, la previsione dell’articolo 221, comma 4, del medesimo decreto permetterebbe di considerare rifiuti urbani anche quelli derivanti dagli imballaggi terziari, ove rientranti nei criteri di assimilazione dei rifiuti speciali (oggi si potrebbe dire ove aventi i requisiti di qualità previsto dal Dlgs 116/2020). Secondo la Corte tale tesi non tiene conto della valenza decisiva dell’articolo 195 del medesimo codice che fa salve le competenze statali generali in materia, norma che finisce per neutralizzare la portata dell’articolo 221, comma 4, dovendosi ritenere sussistente il divieto di immissione degli imballaggi terziari nel normale circuito dei rifiuti urbani.
Ciò premesso la Corte ha ribadito che per poter usufruire della detassazione di tali aree (parziale, come vedremo) è onere del contribuente fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza e alla delimitazione delle aree citate. È infatti a carico del contribuente un onere di informazione al fine di ottenere l’esclusione delle aree dalla superficie tassabile. Sul punto è del tutto infondata la tesi circa l’insussistenza dell’obbligo della dichiarazione, poiché lo stesso principio comunitario del “chi inquina paga” sarebbe un cardine normativo fondamentale e assoluto che esclude la necessità di specifici oneri dichiarativi in capo al contribuente. Oneri che invece, per la Corte, oltre a essere previsti in modo specifico dalla normativa (articolo 1, comma 649, legge 147/2013), in base alla quale la detassazione della superficie in cui si producono in via continuativa e prevalente rifiuti speciali è subordinata alla circostanza che il contribuente provveda al loro smaltimento a sue spese e che ne dia idonea dimostrazione, la dichiarazione è funzionale alle verifiche da parte dell’ente impositore circa la sussistenza delle aree sottratte alla tassazione e al controllo della esenzione rivendicata dal contribuente. Tenendo conto del regime relativamente presuntivo del tributo in oggetto, dovuto per tutte le superfici possedute o detenute suscettibili di produrre rifiuti urbani.
Diversa è però la questione dell’assoggettamento delle già menzionate superficie in cui si producono rifiuti speciali alla quota fissa del tributo. Riprendendo il pensiero espresso dalla Corte già in precedenza (da ultimo si veda la sentenza n. 13455/2024), la Corte ritiene che la quota fissa sia dovuta per tutte le superfici possedute o detenute astrattamente idonee a produrre rifiuti, in quanto potenzialmente in grado di ospitare attività antropiche inquinanti e, quindi a costituire un carico per il gestore del servizio. La quota fissa è infatti destinata a finanziare i costi essenziali e generali di investimento e del servizio (vedasi Dpr 158/1999, richiamato dalla legge 147/2013) nell’interesse della collettività. Pertanto, la stessa è dovuta a prescindere dalla qualità e dalla quantità dei rifiuti prodotti.
La Corte ritiene non condivisibile la tesi sostenuta in dottrina, in base alla quale l’orientamento sopra esposto non sarebbe aderente alla previsione del comma 649, articolo 1, legge 147/2013, considerato che lo stesso afferma che non si tiene conto della superficie in cui si generano rifiuti speciali in via continuativa e prevalente. Ciò in quanto il successivo comma 651 richiama la norma del Dpr 158/1999 dal quale si ricava che la quota fissa incide in misura predeterminata, avendo la funzione di assicurare la copertura degli investimenti, a differenza di quella variabile che, invece, è determinata in base alla quantità di rifiuti conferiti. Per la Corte sarebbe del tutto illogico esentare dal versamento della quota fissa un operatore economico che trae dagli investimenti eseguiti per la gestione del ciclo dei rifiuti una indubbia utilità, conferendo sicuramente una parte dei rifiuti al servizio pubblico.
Peraltro, la Corte ha rafforzato la sua decisione evidenziando come la quota fissa abbia la funzione di far concorrere tutti i contribuenti interessati dal tributo alla copertura di spese pubbliche afferenti a un servizio indivisibile, reso a favore della collettività, non riconducibile totalmente a un rapporto sinallagmatico con il singolo utente. La quota fissa ha inoltre anche la funzione di coprire i costi dei rifiuti esterni (vedasi il costo di spazzamento e lavaggio delle strade ed aree pubbliche), di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade e aree pubbliche soggette a uso pubblico. Ossia copre il costo di un servizio indivisibile. In conclusione, la quota fissa, che tutti devono pagare, ha anche una funzione redistributiva degli oneri relativi a interventi, attività, opere e impianti ambientali, che va riscossa da tutti i soggetti che sono insediati nel territorio ove vengono erogati i servizi per la gestione dei rifiuti, al di là dell’effettiva produzione dei rifiuti, poiché tutti, come membri della collettività, ne traggono direttamente o indirettamente un beneficio.
A livello operativo, questa posizione, ormai consolidata nella giurisprudenza della Corte (Cass. 14038/2019-16994 e16995/2020-5360/2020-22772 e 22773/2021, 29542/2021-32603 e 32604/2022-28030/2023-13455/2024), comporta la necessità per i Comuni di rivedere il trattamento delle utenze non domestiche in cui si producono rifiuti speciali, di solito completamente escluse dal tributo. L’assoggettamento di queste utenze alla quota fissa in alcuni casi potrebbe incidere in modo rilevante sull’impianto tariffario determinando, a livello complessivo, a parità di costi del piano finanziario da coprire, una riduzione della tariffa fissa delle utenze non domestiche, che potrebbe essere in tutto o in parte neutralizzata dalla revisione, probabilmente necessaria, della percentuale di costi fissi da addossare alle utenze non domestiche. Ciò a livello generale, mentre a livello individuale si verifica un indubbio e spesso rilevante aggravio per le utenze coinvolte. Senza considerare l’impatto di eventuali recuperi retroattivi della quota fissa non applicata negli anni pregressi. Insomma, una questione delicata che forse richiederebbe un opportuno intervento normativo risolutore.
(*) Vice presidente Anutel
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