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Quota fissa della Tari anche nelle superfici in cui si producono rifiuti speciali

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di Stefano Baldoni (*) - Rubrica a cura di Anutel

La Cassazione insiste sulla debenza della quota fissa della tassa sui rifiuti (Tari) anche nel caso delle superfici produttive di rifiuti speciali.

La recente sentenza della Suprema Corte n. 28017, depositata lo scorso 4 ottobre 2023, ha affrontato l’applicazione della TARI sui locali destinati a magazzino e vendita di un’attività di commercio all’ingrosso di abbigliamento.

I Giudici di merito, a fronte dell’applicazione da parte del comune del tributo sull’intera superficie dei locali utilizzati dalla citata attività, avevano ritenuto non tassabili quelli diversi dagli uffici e dai servizi e, in particolare, i locali destinati a magazzini e vendita, in cui si svolgeva l’attività di commercio all’ingrosso, con gestione a distanza di molti ordinativi.

La Corte di cassazione ha in primo luogo ritenuto corretta l’interpretazione delle Corti di Giustizia tributaria di primo e di secondo grado, in base alla quale predette superfici non erano da considerarsi soggette al tributo, in quanto nelle stesse si producevano, in via continuativa e prevalente, imballaggi terziari. La norma del comma 649 dell’articolo 1 della legge 147/2013 esclude dal conteggio delle superfici assoggettate al prelievo quelle in cui si producono, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali. La Cassazione ha evidenziato che gli imballaggi, in base alle normative del Dlgs 152/2006, costituiscono oggetto di un regime speciale rispetto a quello dei rifiuti in genere, regime caratterizzato essenzialmente dalla attribuzione ai produttori e agli utilizzatori della loro gestione (termine che comprende tutte le fasi, dalla raccolta allo smaltimento). Ciò vale in generale, ma in particolare per gli imballaggi terziari e quelli secondari, laddove non sia stata istituita una raccolta differenziata degli stessi, per effetto delle norme contenute negli articoli 221 e 226 del Dlgs 152/2006, che precludono la possibilità di immissione degli imballaggi terziari nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani. Ciò comporta il divieto di assimilazione (secondo il regime vigente fino al 2020, prima dell’abrogazione del potere comunale di assimilazione avvenuto a opera del Dlgs 116/2020) degli imballaggi terziari e, altresì, di quelli secondari se manca la raccolta differenziata. Con conseguente disapplicazione dei regolamenti comunali che hanno operato la relativa assimilazione, in quanto gli imballaggi terziari (e in alcuni casi i secondari) sono ex lege rifiuti speciali. Conclusione che si ritiene non cambi neppure dopo la modifica operata dal Dlgs 116/2020 alla classificazione dei rifiuti, in quanto non è stata sostanzialmente variata la disciplina normativa degli imballaggi (pur se qualche incertezza è stata creata dall’inserimento dei medesimi nell’elenco dei rifiuti speciali definiti per legge come urbani, contenuto nell’allegato L-quater al Dlgs 152/2006). Ne deriva che le superfici in cui si producono, in via continuativa e prevalente, detti rifiuti, non sono da assoggettare alla TARI, quantomeno per la parte variabile del prelievo.

La Corte evidenzia altresì come sia del tutto irrilevante la differenziazione, invocata dal Comune ricorrente, tra imballaggi terziari e rifiuti da imballaggio terziari, in quanto l’articolo 226, nell’escludere la possibilità di conferimento nel ciclo di raccolta dei rifiuti urbani, fa riferimento agli imballaggi terziari e non ai rifiuti da imballaggio. Ciò perché, a detta della Corte, la problematica dell’imponibilità non può che riguardare i rifiuti da imballaggio, in quanto anche gli imballaggi confluiscono nella definizione di rifiuto con riguardo alla fase della loro dismissione (rammentando, che in base alla definizione contenuta nell’articolo 183 del Dlgs 152/2006, è rifiuto qualsiasi sostanza o oggetto di cui il detentore si disfi o abbia deciso o l’obbligo di disfarsi).

Altra precisazione importante che giunge dalla Corte riguarda la questione della «continuità e prevalenza» della produzione dei rifiuti speciali, ai fini della detassazione delle superfici. La Corte ha ritenuto che, sulla base degli elementi probatori forniti (tra cui una perizia), fosse soddisfatto il requisito della “continuità e della prevalenza” anzidetto, in quanto il dettato normativo, ai fini dell’esclusione, non richiede la produzione ‘esclusiva’ e totalizzante di rifiuti non assimilabili, bensì le caratteristiche di continuità e prevalenza (vedasi anche Tar Campania, sentenza n. 758/2023). Per la Corte, infatti, la perizia fornita aveva dimostrato che le modalità ordinarie di svolgimento dell’attività comportasse l’utilizzo pressoché esclusivo di imballaggi non assimilabili, a fronte di modesto accesso fisico di clientela e gestione telematica degli ordini. Interpretazione che, comunque, richiede sempre la dimostrazione, a carico del contribuente, di una produzione del tutto modesta e trascurabile di rifiuti urbani, rispetto a quella dei rifiuti speciali. È evidente che la produzione di rifiuti urbani deve comunque rimanere del tutto modesta e residuale, se non addirittura solamente eventuale, privando altrimenti di significato la previsione (obbligatoria) nei regolamenti comunali di percentuali di abbattimento forfettarie della superficie nel caso di produzione congiunta di rifiuti speciali e di rifiuti urbani.

In merito invece alla portata dell’esclusione dal tributo, la Corte di cassazione ribadisce la posizione già assunta dalla medesima Corte con le pronunce n. 23137/2023, n. 5578/2023, n. 8222/2022, n. 5360/2020, in base alla quale, nonostante la produzione “continuativa e prevalente” di rifiuti speciali, resta dovuta comunque la quota fissa della Tari, in quanto destinata a finanziare i costi essenziali e generali di investimento e servizio nell’interesse dell’intera collettività (dunque indipendentemente dalla qualità e quantità dei rifiuti prodotti, così come dall’oggettiva volontaria fruizione del servizio comunale, purché effettivamente apprestato e messo a disposizione della collettività). Inoltre, la quota fissa finanzia anche i costi dei rifiuti esterni (quelli giacenti sulle strade e vie pubbliche), in modo da coprire anche le pubbliche spese afferenti a un servizio indivisibile, reso a favore della collettività e non riconducibile a un rapporto sinallagmatico con il singolo utente. Si tratta di costi ai quali debbono partecipare tutti i possessori di locali all’interno del territorio comunale, in quanto astrattamente idonei ad ospitare attività antropiche inquinanti e, dunque, a costituire un carico per il gestore del servizio. Quindi, la quota fissa deve essere pagata per intero su tutte le superfici possedute o detenute, a prescindere dalla tipologia di rifiuti prodotti. Si tratta quest’ultima di una conclusione molto impattante e, a modesto parere di chi scrive, non del tutto corretta (vedasi anche RM 2/2014), tenuto conto che il comma 649 dell’articolo 1 della legge 147/2013 esclude dal computo della superficie quella in cui si producono in «via continuativa e prevalente» rifiuti speciali; esclusione che, riguardando la «base imponibile» del tributo, travolge sia la quota variabile e sia anche quella fissa, commisurata proprio alla superficie tassabile (Dpr 158/1999). Non a caso, le prime sentenze della Cassazione al riguardo si riferivano non alla Tari ma alla previgente TIA1 (articolo 49 del Dlgs 22/1997), la cui disciplina non prevedeva l’esclusione dal conteggio delle superfici tassabili di quelle produttive di rifiuti speciali. Esclusione all’epoca non necessaria in quanto il prelievo, essendo “nato” con l’intento di creare una tariffa corrispettiva, doveva commisurarsi, almeno per la quota variabile, ai rifiuti effettivamente prodotti e conferiti al servizio pubblico

(*) Vice presidente Anutel

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14/11/2023, Parma: Le aree edificabili nell'imu: l'approccio nel caso di adozione di un nuovo strumento urbanistico (9,00-17,00)

16/11/2023, Asti: L'impatto contabile del nuovo codice dei contratti - i riflessi contabili del Pnrr (9,00-14,00)

16/11/20232, Bari: Il PIAO ed il collegamento con la programmazione finanziaria: un percorso operativo per le amministrazioni (9,00-14,00)

30/11/2023 Brescia: Autonomia differenziata, federalismo fiscale e giustizia tributaria (9,00-17,00)

1/12/2023 Brescia: L’attività contrattuale senza rischi (9,00-17,00)

15/12/2023 Biella: Piattaforma per la notificazione digitale degli atti della pubblica amministrazione (9,00-16,30)

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25/10/2023: Il punto sull'imposta di soggiorno (10,00-12,00)

25/10/2023: La nuova Imu per nuovi operatori - II modulo (15,30-17,30)

26/10/2023: Imu ed aree edificabili – diritti edificatori ed aree pertinenziali (10,00-12,00)

26/10/2023: Il nuovo assetto ordinamentale delle corti di giustizia tributaria il giudice monocratico (9,30-11,30)

26/10/2023: Il processo tributario del "futuro". principi e criteri direttivi della legge delega per la riforma fiscale (15,30-17,30)

24/11/2023: Il processo davanti alla corte di giustizia tributaria di I° grado (10,00-12,00)

2-7-6-14-16/11/2023: Corso di abilitazione per accertatore delle entrate locali legge 296/2006 art. 1 comma 179

27-29/11/2023: Imu e nuova Imu - disciplina dell’abitazione principale nell’ambito dell’attività di controllo e di verifica (15,30-17,30)

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24/11/2023: La Tari dopo le ultime delibere Arera (10,00-14,00)

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29/11/2023: Gli aggiornamenti degli allegati al d.lgs. n. 118 del 2011 normati dal dm 25 luglio 2023 (15,30-17,30)

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30/10/2023: Gli incarichi legali nelle Pa (15,30-17,30)

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15/11/2023: Le concessioni demaniali marittime le selezioni pubbliche per gli affidamenti: presupposti e vincoli, iter e procedimento, adempimenti della Pa (10,00-12,00)

22/11/2023: Il piano triennale dei fabbisogni di personale e i tetti di spesa del personale negli enti locali (10,00-12,00)

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29/11/2023: I controlli collaborativi della corte dei conti: tra preventivo, salvaguardia, consuntivo e consolidato (10,00-12,00)

14/12/2023: Il contenzioso degli appalti nel Dlgs 36/2023 (10,00-13,00)

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Corso che consente l’acquisizione dei crediti formativi richiesti dalla legge ai componenti degli OIV.
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