Rinegoziazione dei contratti di affitto tra Pa e attività economiche alla prova della pandemia
Può il contesto di emergenza giustificare l'operazione? Questione rinviata alla Sezione Autonomie della Corte
Può il contesto di emergenza sanitaria e le conseguenti restrizioni imposte alle attività economiche legittimare la rinegoziazione dei contratti di locazione di diritto privato con conseguente riduzione del canone spettante alla pubblica amministrazione? Questa la domanda che un Comune ha posto alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti dell'Emilia Romagna. Un quesito di grande interesse in un contesto nazionale di diffuse difficoltà che colpiscono particolarmente alcune categorie e che vede le amministrazioni impegnate in interventi di sostegno economico, sotto svariate forme. La risposta è stata rinviata alla Sezione Autonomie della Corte, con una delibera (la n. 32/2021) che consente tuttavia di ricostruire la cornice entro cui si dipana l'azione amministrativa degli enti pubblici.
Il principio pubblicistico di irrinunciabilità alle entrate
Da un lato vige il principio in base al quale «la riscossione delle entrate patrimoniali si pone come atto doveroso di recupero delle indispensabili risorse materiali necessarie a far fronte alla spesa pubblica». Pertanto, è possibile rinunciarvi solo in presenza di un preminente interesse pubblico concreto ed attuale (Corte dei conti, sezione giurisdizionale centrale di appello, n. 78/2019). Non solo. La rinuncia, anche parziale, derivante dall'espressione della facoltà di rinegoziazione del contratto, da parte dell'amministrazione locatrice ai crediti (certi, liquidi ed esigibili) derivanti dai contratti di locazione stipulati, lungi dal potersi inquadrare nell'alveo degli «aiuti/contributi/sovvenzioni», si pone in contrasto anche con l'indirizzo consolidato della giurisprudenza contabile secondo cui in generale non sono percorribili modi di estinzione dell'obbligazione diversi dall'adempimento. Sarebbe cioè illecito rinunciare ai canoni di locazione ma finanche ridurli, fuori dai casi specificamente consentiti dalla legge.
La rinegoziazione del contratto secondo il codice civile
Se queste sono le regole pubblicistiche, è innegabile come, d'altro canto, le stesse amministrazioni si trovino a operare con gli strumenti di diritto privato (articolo 1, comma 1-bis, legge 241/1990). Ed è lo stesso codice civile a prevedere la rinegoziazione quale rimedio di natura manutentiva per la prosecuzione di un contratto, nel momento in cui fatti sopravvenuti alterino il sinallagma contrattuale. La "rinegoziazione" dei contratti è contemplata dall'articolo 1467, comma 3, del codice civile, il quale stabilisce che «la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto» implicando la cosiddetta reductio ad aequitatem con funzione conservativa degli effetti del contratto. Infatti, se la prestazione di una delle parti (l'operatore economico/conduttore, che deve corrispondere il canone di locazione) diviene «eccessivamente onerosa» per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte obbligata a questa prestazione può richiedere la risoluzione del contratto (articolo 1467, primo comma). Evidentemente la sopravvenuta onerosità deve superare la normale alea del contratto (articolo 1467, secondo comma), e comunque la possibilità di rinegoziare è una scelta rimessa esclusivamente alla controparte (il Comune, dopo che sia stata richiesta la risoluzione.
La posizione dei giudici
La novità della delibera della Corte dell'Emilia Romagna sta nel richiamare la peculiarità dell'attuale periodo emergenziale, ponendo un problema, di grande rilievo economico-sociale: se ci sia «un potere di rinegoziazione "generale" del contratto, avulso ed indipendente da precise e puntuali disposizioni normative». A questo riguardo viene citata la Corte di cassazione (relazione n. 56 dell'8 luglio 2020 in cui sono stati analizzati gli impatti del diritto emergenziatle anti-Covid in ambito contrattuale) la quale sottolinea come presupposto fondante sia la sussistenza di «fatti sopravvenuti», idonei a modificare l'originario equilibrio e a rendere non più equitativo il rapporto obbligatorio. Ecco allora che la Corte dei conti regionale ben sintetizza come sia necessario imporre «un metodo, diretto a valorizzare una reale analisi economica dei contratti, pervenendo ad un importante approccio metodologico, soprattutto nei contratti a lungo termine: sostituire la logica egoistica del negozio statico ed immutabile con quella della sua possibile revisionabilità alla luce della leale collaborazione, tesa a superare le sopravvenienze di fatto e di diritto che hanno inciso sull'equilibrio del contratto».
In sintesi, con grande realismo rispetto alla situazione economica attuale, conclude la Corte che «in ragione della necessità di far permanere l'equilibrio contrattuale, l'obbligato conduttore potrebbe aspirare ad una riduzione della sua prestazione, stante il fatto che, non potendo più esercitare la propria attività commerciale, potrebbe avere seri problemi ad onorare i suoi impegni di pagamento dei canoni pattuiti» oltre al fatto che «tutto quanto sinora detto non esclude, ovviamente, che le parti possano liberamente concordare, in ragione degli effetti della sospensione dell'attività sul fatturato dell'impresa, sospensioni, riduzioni o posticipazioni del pagamento del canone, rinegoziando modalità e termini dell'adempimento, attraverso un nuovo contratto».
Fino a che punto sia possibile giungere a una combinazione di interessi contrapposti sarà questione che la Corte Autonomie dovrà dipanare. Due sono, in particolare, le possibilità su cui la Sezione Autonomie dovrà decidere, anche alla luce dei rinnovati limiti contemplati dagli articoli 54 e seguenti del Dl 34/2020: 1) se esista un obbligo di tenere fermi i contratti stipulati, ovvero 2) se invece esso receda di fronte a un generale obbligo di rinegoziazione dei contratti. A un osservatore esterno la risposta potrebbe sembrare scontata. Si vedrà se la Sezione preposta della Corte coglierà questa occasione per invertire una consolidata giurisprudenza che però non ha mai dovuto affrontare - nella storia moderna - una situazione pandemica così drammatica.
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