I temi di NT+Tributi e bilanci a cura di Anutel

Sospensione delle attività in caso di irregolarità nei tributi locali

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di Stefano Baldoni (*) - Rubrica a cura di Anutel

La possibilità per i Comuni di negare il rilascio, il rinnovo o la permanenza in esercizio dell’autorizzazione commerciale nel caso di irregolarità nel pagamento dei tributi locali richiede la necessità di essere di fronte a violazioni definitivamente accertate; l’irregolarità fiscale non può portare alla revoca dell’autorizzazione in qualsiasi momento, ma solo nelle fasi di rilascio, rinnovo o di verifica della segnalazione certificata di inizio attività. Questi sono gli importanti principi sanciti dalla Corte di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana n. 338, pubblicata il 23/04/2025, che si pongono almeno in parte in contrasto con la posizione del Consiglio di Stato sostenuta nella sentenza 8875/2022.

La sentenza fa riferimento alla disposizione dell’articolo 15-ter del Dl 34/2019 la quale, nell’intento di rafforzare gli strumenti a disposizione degli enti locali per combattere l’evasione nel pagamento dei tributi comunali, ha consentito ai Comuni di prevedere, con apposita norma regolamentare, che il rilascio, il rinnovo o la permanenza in esercizio delle attività commerciali o produttive siano subordinati alla regolarità nel pagamento dei tributi locali.

Diversi comuni hanno adottato appositi regolamenti per dare attuazione alla norma, adottando varie interpretazioni in merito al concetto di “regolarità” nel pagamento dei tributi, ossia se la presenza di eventuali inadempienze sia rilevante solo nel caso di violazioni definitivamente accertate, ovvero anche nell’ipotesi di mancati pagamenti, a prescindere dalla loro contestazione o dalla definitività della stessa. Inoltre, i regolamenti comunali hanno anche disciplinato il momento in cui suddetta verifica deve essere effettuata. In particolare, in alcuni casi, gli enti hanno previsto la verifica non solo nel caso di richiesta di rilascio o rinnovo delle autorizzazioni, o di verifica della Scia, ma anche periodicamente, provvedendo ad avviare il procedimento per la revoca in caso di irregolarità. Inoltre, i regolamenti comunali hanno definito il concetto di gravità della irregolarità, stabilendo sovente dei limiti di importo minimo. Così come in diversi casi gli enti hanno fatto riferimento alle sole violazioni riguardanti alcuni tributi e non tutti i tributi locali.

La Corte Siciliana ha evidenziato che la norma dell’art. 15-ter del D.L. 34/2019, ha una formulazione assai generica che a differenza di analoghe norme contenute nel codice dei contratti pubblici nell’indicare i presupposti per la sua operatività, si limita, testualmente, al richiamo di una semplice irregolarità del pagamento dei tributi locali lasciando, almeno apparentemente, agli enti locali ampia discrezionalità nel definire, con l’adozione di un proprio regolamento, detta “irregolarità tributaria”, sia in merito all’entità del tributo, sia alla gravità dell’inadempimento, sia soprattutto in ordine al relativo accertamento.

Analogamente la Corte Siciliana ha ritenuto che, allorquando la norma fa riferimento al rilascio, al rinnovo o alla permanenza dell’autorizzazione, non legittima la possibilità di operare la verifica e, quindi, l’eventuale “blocco” dell’attività dell’impresa, in qualsiasi momento, ma solo in quelli ben individuati del rilascio dell’autorizzazione, ossia del suo rinnovo, cioè al momento della scadenza della licenza, ovvero solo laddove si tratti di “segnalazioni certificate di inizio attività”, poiché immediatamente efficaci già nelle more dei dovuti accertamenti dell’ufficio – nel momento in cui, in esito a tali accertamenti, l’attività dev’essere consentita ovvero invece inibita.

Una siffatta interpretazione però, per i Giudici siciliani, porterebbe ad una arbitraria discriminazione tra i contribuenti, che si troverebbero esposti alle diverse scelte comunali e finirebbe per violare il principio di legalità nella determinazione dei presupposti circa l’inadempimento del pagamento dei tributi che comporti l’applicazione dell’effetto pregiudizievole consentito dalla norma. Il potere riconosciuto al Comune di non rilasciare, non rinnovare o consentire la prosecuzione dell’attività imprenditoriale anche di fronte al semplice mancato pagamento di tributi, anche in assenza di contestazione delle violazioni e prescindendo dalla sua gravità o dalla fissazione di un importo minimo, priverebbe l’impresa di qualsiasi tutela. Ciò in quanto nessuna impresa, di fronte alla “minaccia” di essere costretta a interrompere l’attività potrebbe contestare la pretesa nelle sedi competenti, in quanto il mero mancato pagamento già è presupposto per l’esclusione dal mercato. Per i Giudici ciò comporterebbe la surrettizia reintroduzione del principio del “solve et repete”, dichiarato incostituzionale già nel lontano 1961 (Corte Costituzionale, sentenza 21/1961).

Ne deriva che la norma deve essere letta in senso più restrittivo, ossia che l’irregolarità che comporta effetti negativi sull’inizio o la prosecuzione dell’attività commerciale o produttiva è solo quella definitivamente accertata, cioè la pretesa contenuta in sentenze o atti divenuti definitivi in quanto non più soggetti ad impugnazione.

Va evidenziato che non è stato dello stesso parere il Tar Calabria, con la sentenza n. 434/2024, allorquando ha evidenziato che la norma stabilisce la possibilità di subordinare il rilascio, il rinnovo e la permanenza in esercizio alla regolarità del pagamento dei tributi locali da parte dei soggetti richiedenti, senz’altro soggiungere, né in termini di importo minimo né in termini di procedura. E anche il Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 8875/2022 ha escluso che il credito tributario debba essere definitivamente accertato, così come ha ritenuto che la norma non sia da ritenere costituzionalmente illegittima, poiché la sua finalità è quella di combattere l’evasione fiscale negli Enti locali, rispondendo ai principi costituzionali della capacità contributiva e del buon andamento della Pa Ciò sulla scorta di quanto anche evidenziato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che, con la sentenza n. 14049/2022, hanno specificato che la norma dell’articolo 15-ter non ha natura sanzionatoria ma piuttosto è una forma di coazione indiretta all’adempimento. Il Consiglio di Stato sconfessa anche la tesi della lesione del diritto alla tutela per il contribuente nei confronti della pretesa fiscale e sia della libertà di esercizio dell’iniziativa economica; ciò in quanto anche se il contribuente deve provvedere al pagamento delle somme per evitare conseguenze negative sull’autorizzazione o sulla licenza, ha sempre eventualmente diritto alla ripetizione dell’indebito. Vale a dire o il contribuente impugna l’avviso di accertamento, provvedendo al pagamento nelle more del giudizio (o ottenendo una sospensione dello stesso), avendo diritto in caso di successo alla restituzione di quanto versato, ovvero non lo impugna, con la pretesa che in questo caso sarebbe definitiva (in tale senso anche Tar Catania n. 3415/2023).

(*) Vicepresidente Anutel

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Corso FAD 2025: Programmazione, Performance e Risk Management negli Enti Locali

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