Personale

Vincolo di permanenza per i neoassunti superabile con mobilità volontaria o con l'ok dell'ente

Le amministrazioni sono stimolate a darsi delle specifiche regole e dei propri criteri

di Arturo Bianco

Il vincolo della permanenza minima di 5 anni per i neoassunti può essere superato sia nel caso di mobilità volontaria per interscambio sia nel caso in cui l'ente si esprima favorevolmente, ritenendo che non ci siano conseguenze negative per la propria funzionalità. Possono essere così riassunte le indicazioni contenute nel parere del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 103321/2022.

In questo modo vengono risolti i dubbi sul contrasto tra le previsioni del Dl 80/2021, che consentono la mobilità volontaria in uscita con il consenso dell'ente ai dipendenti pubblici che hanno meno di 3 anni in servizio, le statuizioni dello stesso decreto che hanno confermato che i dipendenti degli enti locali hanno un obbligo di permanenza almeno quinquennale e le regole dettate dall'articolo 35, comma 5 bis, del Dlgs 165/2001 che stabilisce l'obbligo della permanenza quinquennale nella sede di prima destinazione per tutti i dipendenti pubblici neo assunti.

La risposta è espressamente finalizzata all'ampliamento dei margini di autonomia delle singole amministrazioni nella organizzazione e nella gestione delle risorse umane, motivazione che negli ultimi anni si può dire rilanciata rispetto alla introduzione di rigidi vincoli e limitazioni che ha caratterizzato in precedenza le scelte legislative. É del tutto evidente che siamo in presenza di una lettura che dobbiamo definire come «costituzionalmente orientata», visto che il contrasto legislativo è sicuramente indubbio, ma che per molti versi deve essere definita anche come "creativa". Dal parere deriva la conseguenza che le amministrazioni sono stimolate a darsi delle specifiche regole e dei propri criteri, quindi una regolamentazione autonoma.

La pronuncia della Funzione Pubblica in risposta al quesito posto dal comune di Rimini, parte dall'assunto della "apparente antinomia" tra le previsioni dettate dal Dlgs 165/2001 e le regole dettate dal Dl 80/2021. Viene utilizzata tale formula in quanto il superamento del vincolo del consenso dell'ente per la mobilità volontaria in uscita, scelta che caratterizza le novità apportate nello scorso anno, costituisce il recepimento di un accordo raggiunto a livello europeo ed è finalizzato alla semplificazione delle regole che disciplinano il ricorso a questo istituto, con l'obiettivo di incentivarne l'utilizzo. Il che, per molti versi, vuol dire spingere verso la creazione di una sorta di mercato tra le Pa, che si pongono in concorrenza per accaparrarsi le migliori professionalità, oltre che consentire ai dipendenti i trasferimenti per esigenze personali. Mentre il vincolo alla permanenza nella sede di prima assegnazione per almeno 5 anni costituisce una misura organizzativa finalizzata alla tutela delle esigenze di funzionalità delle amministrazioni. Sulla base di questa logica ispiratrice della norma si trae la conseguenza che le Pa possono non utilizzare la norma di tutela, qualora ritengano che il trasferimento del personale in mobilità volontaria non determini conseguenze negative sulla organizzazione dell'ente stesso. Altrimenti, ci dice il parere, saremmo in presenza di «vincoli paralizzanti» per le singole amministrazioni. Nella stessa direzione si muove, concludono i tecnici di Palazzo Vidoni, la possibilità offerta agli enti locali di differire il trasferimento in mobilità volontaria fino al mese successivo alla sostituzione del dipendente che si trasferisce ad un'altra amministrazione, con il che si consente di ridurre ulteriormente le possibili conseguenze negative sul funzionamento, anche dando corso all'affiancamento.

Sulla base della lettura della Funzione Pubblica si trae la conclusione che è necessario che le amministrazioni si diano una specifica regolamentazione con la quale conciliare le esigenze organizzative e le aspettative dei singoli dipendenti, nonché dettare le regole procedurali e fornire gli ambiti entro cui i dirigenti possono esercitare le proprie competenze di soggetti dotati dei poteri e delle capacità dei privati datori di lavoro.

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