I temi di NT+Rassegna di giurisprudenza

Le ultime pronunce in materia di contabilità, società partecipate, servizi pubblici e diritto di accesso

di Massimiliano Atelli

Comune - Bilancio predisposto dalla Giunta - Mancata approvazione da parte dell'organo consiliare - Conseguenza - Assegnazione di termine acceleratorio, nel caso di inutile decorso del quale si procede mediante potere sostitutivo 
Riguardo all'articolo 141, comma 2, Tu n. 267 del 2000 - applicabile in virtù del richiamo di cui al successivo articolo 227, comma 2 bis - a tenore del quale «quando il Consiglio non abbia approvato nei termini di legge lo schema di bilancio predisposto dalla Giunta, l'organo regionale di controllo assegna al Consiglio, con lettera notificata ai singoli consiglieri, un termine non superiore a 20 giorni per la sua approvazione, decorso il quale si sostituisce, mediante apposito commissario, all'amministrazione inadempiente. Del provvedimento sostitutivo è data comunicazione al prefetto che inizia la procedura per lo scioglimento del Consiglio», la norma, secondo la costante giurisprudenza del Consiglio di Stato, si limita a introdurre un termine acceleratorio, che non è “assistito da alcuna qualificazione di perentorietà” (Cons. St., sez. V, 25 ottobre 2017, n. 4917), nel presupposto che sia perentorio solo il termine espressamente indicato come tale da una previsione normativa.
Come chiarito da Consiglio di Stato, sez. V, 19 febbraio 2007, n. 826 la legge dunque non collega all’inosservanza del termine ordinario di cui all’articolo 175, comma 3, alcuna immediata e concreta conseguenza dissolutoria, ma la semplice apertura di un procedimento sollecitatorio, che può bensì condurre all’adozione della grave misura dello scioglimento dell’organo, ma il cui presupposto non è la mera inosservanza del termine suddetto bensì la constata inadempienza ad una intimazione puntuale e ultimativa dell’organo competente, che attesta l’impossibilità, o la volontà del Consiglio di non approvare il bilancio.

Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 3 luglio 2020, n. 4288

Informazioni ambientali - Accesso - Prevalenza della normativa regionale su quella statale - Sussiste, se le previsioni della prima sono di tipo ampliativo 
Non è configurabile una prevalenza della normativa statale sopravvenuta, sub specie di abrogazione per incompatibilità della preesistente legge regionale, poiché in materia di ambiente, come chiarito dalla Corte costituzionale, l’evoluzione legislativa e giurisprudenziale hanno portato ad escludere che nella tutela dell’ambiente possa identificarsi una materia “in senso tecnico”, trattandosi piuttosto di un valore costituzionalmente protetto che interseca in senso trasversale competenze diverse. Per cui la ratio della riforma costituzionale del 2001, come dai lavori preparatori, risiedeva nell’esigenza di riservare allo Stato il potere di fissare standard di tutela uniformi su tutto il territorio nazionale senza voler escludere la competenza regionale nella cura di interessi collegati ai valori ambientali (si vedano Corte cost. 407/2002; 378/2007; 104/20089).
In sostanza, la tutela dell’ambiente di cui all’art. 117 Cost. comporta il potere dello Stato di dettare standard minimi di protezione uniformi validi su tutto il territorio nazionale, facendo salva la facoltà delle Regioni di adottare normative di conservazione che non deroghino al livello minimo di tutela fissato con legge statale.
La configurazione delle attribuzioni normative statali in materia di ambiente non come materia ma come valore di tipo trasversale implica che anche la disciplina dei procedimenti amministrativi spetti allo Stato soltanto per la parte in cui corrisponda a fondamentali esigenze di uniformità, mentre per il resto possa essere dettata dalle Regioni.
In tal senso, depone altresì il disposto di cui all’articolo 29 della legge sul procedimento amministrativo n. 241/1990 che, nel demandare alle Regioni ed agli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, la regolazione delle materie disciplinate dalla medesima “ così come definite dai principi stabiliti dalla presente legge”, ha incluso tra i livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione «le disposizioni della presente legge concernenti gli obblighi per la pubblica amministrazione di garantire la partecipazione dell'interessato al procedimento».
Come chiarito dalla Corte costituzionale, la riconducibilità delle norme statali sul procedimento amministrativo ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. non comporta di per sé l’automatica illegittimità delle norme regionali che differiscano da esse, tenuto conto della possibilità per le Regioni di discostarsi dallo standard statale per prevedere “livelli ulteriori di tutela” (cfr Corte Costituzionale sentenza 9 gennaio 2019 n.9).
Di qui la sicura prevalenza delle leggi regionali con cui venga ampliata la pubblicità dei procedimenti di Valutazione di incidenza ambientale, e l'impossibilità di censurare l’operato del Comune per aver assicurato un livello di partecipazione ulteriore rispetto a quanto prescritto dalla legislazione statale, avendo assicurato tramite la pubblicazione per la visione del pubblico un livello ulteriore di tutela conforme alla normativa regionale e non in contrasto con la legge statale.
Del resto, ha concluso il Tar Abruzzo, per quanto concerne nello specifico la normativa comunitaria in tema di procedura di V.inc.a, va puntualizzato che la Direttiva 92/43 Cee Habitat riguarda sia i piani che più specificamente i “progetti”, e per essi - anche se non impone l’obbligo generale di acquisire il parere dell’opinione pubblica a differenza di quanto prescritto per la Via e per la Vas - all’art. 6 paragrafo 3, seconda parte, prevede che l’assenso sia accordato “se del caso previo parere dell’opinione pubblica.

Tar Abruzzo - Pescara, sez. I, sentenza 2 luglio 2020, n. 205

Partecipate con più soci pubblici - Diritto di prelazione fra soci pubblici ad un prezzo predefinito - Prelazione impropria - E' ammissibile   
Alle pubbliche amministrazioni è riconosciuta la facoltà di perseguire le proprie finalità oltre che nelle forme del diritto pubblico, anche in quelle, espressione di autonomia privata propria di tutte le persone giuridiche, dell’attività contrattuale ordinaria.
Si tratta del principio ora codificato dall’art. 1, comma 1 bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241, secondo cui la pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente.
In quest’ottica costituisce espressione dell’autonomia privata degli enti pubblici anche la pattuizione di una clausola di prelazione “impropria” nello statuto di una Società partecipata, attraverso la quale, in caso di cessione di una quota di partecipazione, la stessa deve prima essere offerta in vendita ai soci prelazionari ad un valore definito in base a criteri predeterminati. Si tratta di una clausola che tutela con intensità maggiore rispetto alla prelazione propria (in cui la vendita è offerta al prezzo ottenuto da una proposta di acquisto) l’interesse dei soggetti già presenti nella compagine sociale di disincentivare la dismissione, di incrementare la propria quota di partecipazione in caso di vendita di quote e di impedire l’ingresso di soci non graditi.
In questi casi, all’interesse del Comune che cede la propria quota di ottenere il maggiore prezzo possibile, fa da contraltare l’interesse speculare del Comune che esercita il diritto di prelazione di pagare il minor prezzo stabilito in base ai criteri predeterminati. Pertanto la cessione di una quota di partecipazione da un Comune ad un altro costituisce un’operazione neutra dal punto di vista delle finanze pubbliche, dato che l’eventuale minor guadagno di un Comune va a vantaggio dell’altro. Trattandosi di interessi contrapposti ed equiordinati di enti pubblici non è possibile individuare un interesse pubblico prevalente.  

Tar Veneto, sez. I, sentenza 1 luglio 2020, n. 569

Gestori di telefonia mobile - Domanda di portabilità e passaggio ad altro operatore - Accesso agli atti ex legge n. 241/1990 da parte dell'utente - Sussiste    
Sussiste un interesse qualificato, diretto, attuale e concreto all’ostensione all'utente che l'abbia richiesta della documentazione, strettamente correlata alla effettiva fruizione del servizio di telefonia, conseguente alla domanda di portabilità e al passaggio ad altro operatore.
Non è infatti revocabile in dubbio che l’attività amministrativa, alla quale gli artt. 22 e 23 della legge n. 241 del 1990 correlano il diritto d'accesso, comprende non solo quella di diritto amministrativo, ma anche quella di diritto privato posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi che, pur non costituendo direttamente gestione del servizio stesso, sia collegata a quest'ultima da un nesso di strumentalità derivante, anche sul versante soggettivo, dalla intensa conformazione pubblicistica. Ciò in armonia al consolidato principio secondo il quale «le regole in tema di trasparenza si applicano oltre che alle pubbliche amministrazioni anche ai soggetti privati chiamati all'espletamento di compiti di interesse pubblico (concessionari di pubblici servizi, società ad azionariato pubblico etc.» (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria n. 5/2005).
In senso contrario alla pretesa inammissibilità dell’istanza di accesso proposta dall'utente, in quanto asseritamente non avente ad oggetto documenti amministrativi ma privatistici, come tali – a suo dire - esclusi dall’ambito di applicazione degli artt. 22 e ss. della legge n. 241/1990, il Tar pugliese ha confermato il proprio orientamento in subiecta materia, secondo cui il diritto di accesso ai documenti amministrativi può essere esercitato anche nei confronti dei “gestori di pubblici servizi” (art. 23 legge n. 241/90) e, più in generale, dei «soggetti di diritto privato, limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario» (art. 22, comma 1, lett. e) e può avere ad oggetto ogni documento amministrativo «concernent(e) attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale» (si veda, ex multis, Tar Lecce, Sez. II, 14 febbraio 2019, n. 251).
Ciò comporta che, sotto il profilo soggettivo, esso è esercitabile anche nei confronti dei gestori del servizio “universale” di telefonia e di navigazione Internet, in quanto gestori di servizio pubblico (Tar Venezia, I, 31 dicembre 2019 n. 1420; TAR Lecce, Sez. II, 30 luglio 2019, n. 1374; Tar Reggio Calabria, I, 30 settembre 2016, n. 991; Consiglio di Stato, VI, 17 marzo 2000, n. 1414), mentre, sotto il profilo oggettivo, esso può avere ad oggetto tutti gli atti comunque pertinenti a tale attività di pubblico interesse, quand’anche sottoposti, come nel caso dei contratti di utenza e dei documenti ad essi pertinenti, a disciplina sostanziale privatistica.

Tar Puglia - Lecce, sez. II, sentenza 29 giugno 2020, n. 672

Servizi pubblici locali - Gestione ciclo rifiuti - Indagine esplorativa affidata da più comuni ad una UTI - Non può esitare in una aggiudicazione  
Il Tar FVG ha respinto il ricorso di una società pubblica gerente il servizio di raccolta, trasporto e trattamento dei rifiuti nella provincia di Udine, che - sostenuta dall’Autorità Unica per i Servizi Idrici e i Rifiuti (AUSIR), asserente una violazione delle proprie competenze - aveva impugnato i provvedimenti assunti dell’Unione Territoriale Intercomunale della Carnia (UTI) aventi ad oggetto un’indagine esplorativa indetta fra le società interamente pubbliche operanti nel settore dei rifiuti urbani. 
Ad avviso del Tar FVG, l’indagine esplorativa affidata dai Comuni del territorio all’UTI, dichiaratamente finalizzata a fornire un semplice supporto informativo ai Comuni in vista delle rispettive determinazioni relative al futuro affidamento in house del servizio di raccolta dei rifiuti, non è né può diventare una vera e propria gara per l’individuazione di un nuovo gestore, né, di conseguenza, terminare con la dichiarazione di un “vincitore”. In sostanza, non per il solo riscontro di una comparazione tra gli operatori si può fondatamente parlare di gara, quando l’esito di tale comparazione non orienti in un determinato senso e in modo giuridicamente vincolante le scelte amministrative.
La modalità di affidamento cui i Comuni dovranno ricorrere, secondo il regime in house definito dall’Autorità Unica per i Servizi Idrici e i Rifiuti (AUSIR), transita infatti necessariamente attraverso l’acquisizione di una partecipazione societaria in uno dei gestori (tra quelli oggetto della delibera di affidamento dell’AUSIR) e quindi attraverso una scelta che sarà oggetto di una loro esclusiva determinazione ai sensi del Tu sulle società pubbliche (vedi in particolare gli articoli 7 e 8 del Dlgs 175/2016). Saranno quindi le decisioni assunte dai singoli Comuni, tenuti ad un onere di motivazione analitica (articolo 5 Dlgs 175/2016), gli atti che in concreto determineranno l’affidamento del servizio ad un determinato gestore in house.  

Tar Friuli Venezia Giulia, sez. I, sentenza 24 giugno 2020, n. 217