I temi di NT+Tributi e bilanci a cura di Anutel

Decreto Aiuti, un salvagente per i capoluoghi di provincia a rischio default

di Antonio Infantino - Rubrica a cura di Anutel

Con l'articolo 43 del decreto Aiuti è arrivato un intervento in favore dei capoluoghi di provincia in crisi finanziaria, che ha replicato le previsioni contenute nei commi 567-580 della legge di bilancio del 2022. Alla misura potranno accedere i Comuni capoluogo che hanno registrato nel rendiconto 2020, trasmesso in Bdap, un disavanzo pro capite superiore a 500 euro, ridotto dei contributi già ricevuti per ripianare gli extra-deficit derivanti dal FAL. Come nella versione destinata alle grandi città tutto ruota intorno all'accordo che i Sindaci dovranno sottoscrivere, entro 60 giorni dall'entrata in vigore del decreto, con il Presidente del Consiglio dei Ministri. È un salvagente lanciato agli enti in difficoltà, con la possibilità che a questo aiuto si possano aggregare anche le città metropolitane, le province e i capoluoghi che hanno un debito per abitante superiore a mile euro, che potranno applicare misure analoghe, non incentrate sul recupero del disavanzo, per avviare un percorso di risanamento strutturale del bilancio.

Si tratta di un patto fra il sindaco e il Governo per favorire il riequilibrio finanziario, nel quale vengono riproposti gli stessi obiettivi previsti per le grandi città, come l'incremento dell'addizionale comunale all'Irpef, in deroga al tetto previsto dall'articolo 1, comma 3, del Dlgs 360/1998, con un aumento almeno pari allo 0,2 per cento, e la generazione, nel proprio bilancio e con fondi propri, di un miglioramento del recupero del deficit annuale non inferiore al 20 per cento.

Sono le due condizionalità dell'accordo sulle quali si innestano tutte le altre. La prima riguarda la valorizzazione delle entrate proprie e del patrimonio immobiliare, attraverso l'incremento dei canoni di concessione e di locazione o attraverso piani di valorizzazione e di alienazione degli immobili. Un altro punto nodale è riservato all'incremento della riscossione delle entrate proprie attraverso l'affidamento dell'attività a terzi, inclusa Agenzia delle entrate riscossione, con l'invio dei carichi da riscuotere almeno 30 mesi prima della prescrizione del diritto al credito (24 mesi nei primi due anni dell'accordo), e la possibilità di rateizzare i tributi fino a 24 mesi (36 mesi nei primi due anni del piano) anche in deroga alle previsioni dei commi 796 e 797 della legge 160/2019. Sul fronte della spesa sono previsti ulteriori impegni tesi a ridurre strutturalmente la spesa corrente della missione 1 del bilancio, con esclusione di quella destinata alle entrate tributarie, alla gestione del patrimonio e all'ufficio tecnico. A queste misure si aggiungono quelle di attuazione dei piani di razionalizzazione delle società partecipate, approvati ai sensi dell'articolo 24 del Dlgs 175/2016, così come il contenimento dei costi di gestione di dette società.

Un'ulteriore misura riguarda la razionalizzazione delle strutture organizzative attraverso la riduzione delle dotazioni organiche e della spesa di personale, con la conseguente diminuzione delle posizioni dirigenziali e dei costi delle locazioni passive. Una ulteriore condizionalità prevede che tutte le maggiori entrate siano destinate prioritariamente al rientro del disavanzo. L'accordo dovrà puntare anche sull'incremento degli investimenti attraverso i fondi del Pnrr con un aumento dei pagamenti della spesa in conto capitale, nel periodo 2022-2026, di almeno il 5 per cento in più rispetto alla media del triennio precedente. I piani dovranno, quindi, essere presentati e sottoposti a un tavolo tecnico, composto da rappresentanti del ministero dell'Interno, del MEF e di AdER, entro 30 giorni dall'entrata in vigore del decreto. Tavolo tecnico che potrà proporre anche modifiche alle misure da attuare, sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo.

La norma sospende anche i termini delle procedure di dissesto, previste dall'articolo 6, comma 2, del Dlgs 149/2011, per i primi due anni del crono-programma del piano, mentre resta applicabile la sanzione prevista dall'articolo 248 del Tuel, qualora l'ente dovesse dichiarare il default a seguito dei controlli intermedi. Il monitoraggio sul rispetto del patto rimane identico a quello introdotto per i Comuni capoluogo di città metropolitana, disciplinato dai commi 577 e 578 della legge 234/2021. Le verifiche intermedie saranno, infatti, affidate alla commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali (Cosfel) che trasmetterà i risultati alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti che potrà utilizzare le risultanze per i controlli sui bilanci e sui rendiconti e per verificare il rispetto degli obiettivi intermedi dei piani di riequilibrio degli enti in predissesto. L'accordo ha il pregio di affrontare in modo sistematico i problemi di squilibrio strutturale. Resta da capire che fine faranno i piani di riequilibrio per gli enti che a inizio anno, approfittando dell'opportunità offerta dalla legge di bilancio e dal decreto milleproroghe, hanno deciso di riformularli o di rimodularli.

L'articolo 43 del decreto non sembra sospendere queste procedure che sembra debbano continuare il loro corso ed essere monitorate ai sensi dell'articolo 243-quater del Tuel, così come non è stato replicato il fondo ventennale aggiuntivo a carico dello Stato per il risanamento dei conti e nemmeno i piani di rilevazione ed estinzione dei debiti commerciali. Manca all'appello anche il blocco delle procedure di esecuzione forzata così come le deroghe alle assunzioni di personale per potenziare gli uffici deputati alla gestione delle entrate, perno attorno al quale dovrebbero ruotare gli impegni che i Sindaci sottoscriveranno con il Governo.

É un deciso passo avanti verso il superamento delle procedure di dissesto e di predissesto che hanno fatto il loro tempo e si stanno dimostrando del tutto inefficaci per conseguire il risanamento dei conti locali, ma è altrettanto vero che l'accordo previsto dalla norma in commento è pieno di condizionalità che senza risorse aggiuntive appare una sorta di Mes senza soldi e senza nemmeno la sospensione delle procedure di risanamento in corso di svolgimento, se non la previsione di aumentare le addizionali locali oltre il tetto massimo previsto dalle norme in vigore. Anche i termini utilizzati per individuare gli enti che possono accedere all'accordo destano qualche perplessità. Non è chiaro se il comma 2 fa riferimento a quelli in predissesto, ai sensi dell'articolo 243-bis del Tuel, e il comma 8 a quelli che hanno intenzione di affrontare un pesante indebitamento pro capite senza la necessità, o la possibilità, di ricorrere ad altri strumenti di soluzione della crisi finanziaria. Individuarli con maggiore precisione, specificando che ne sarà delle procedure in corso di gestione, servirebbe a fare chiarezza.

La soluzione trovata dal governo va nella direzione auspicata da tanti Sindaci e dall'Anci, resta, però, il fatto che rimangono esclusi tanti enti di medie dimensioni, non capoluogo di provincia, che si trovano nella stessa condizione delle città beneficiate dalle nuove disposizioni normative. Evitare di accentrare tutto in capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e trovare, o istituire, strutture centrali e locali deputate alla verifica al controllo dei piani di ristrutturazione finanziaria potrebbe, forse, risolvere il problema e ampliare la platea degli enti prevista dal decreto.

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