I temi di NT+Rassegna di giurisprudenza

Le ultime pronunce in materia di permessi di soggiorno e regolarizzazione del rapporto di lavoro

di Esper Tedeschi

Regolarizzazione del rapporto di lavoro – Presenza nel territorio italiano sin dall'8 marzo 2020 – Art. 103, d.l. n. 34 del 2020 – Circolari ministeriali – Normativa integrativa della prefettura
Ai sensi dell'art. 103, comma 1, del d.l. n. 34 del 2020, 2 “al fine di […] favorire l'emersione di rapporti di lavoro irregolari, i datori di lavoro italiani o cittadini di uno Stato membro dell'Unione europea, ovvero i datori di lavoro stranieri in possesso del titolo di soggiorno previsto dall'articolo 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, possono presentare istanza […] per concludere un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale ovvero per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare, tuttora in corso, con cittadini italiani o cittadini stranieri. A tal fine, i cittadini stranieri devono essere stati sottoposti a rilievi fotodattiloscopici prima dell'8 marzo 2020 ovvero devono aver soggiornato in Italia precedentemente alla suddetta data, in forza della dichiarazione di presenza, resa ai sensi della legge 28 maggio 2007, n. 68 o di attestazioni costituite da documentazione di data certa proveniente da organismi pubblici; in entrambi i casi, i cittadini stranieri non devono aver lasciato il territorio nazionale dall'8 marzo 2020». A tal proposito la circolare del Ministero dell'Interno del 30 maggio 2020 ha chiarito che la prova della presenza in Italia dello straniero deve essere “documentata da attestazione di data antecedente all'8 marzo 2020, rilasciata da organismi pubblici intesi come soggetti pubblici, privati o municipalizzati che istituzionalmente o per delega svolgono una funzione o un'attribuzione pubblica o un servizio pubblico”. Il successivo 17 novembre 2020 il Ministero dell'Interno ha precisato, con la circolare n. 4623, tra l'altro, che «in relazione alla documentazione idonea alla prova della presenza del lavoratore in data anteriore all'8 marzo 2020, si ritiene che nel caso di documenti risalenti nel tempo questi debbano essere supportati da altra documentazione che dimostri la presenza nel territorio nazionale dello straniero in una data più ravvicinata”. Sul punto, la giurisprudenza ha inoltre chiarito che, nonostante l'art. 103 del d.l. n. 34/2020 non fissi un preciso intervallo temporale, utile ai fini della dimostrazione del soggiorno in Italia - ovvero di una presenza tendenzialmente continuativa - dello straniero, antecedente alla presentazione dell'istanza di emersione, e si limiti a richiedere una prova di tale presenza in data anteriore all'8 marzo 2020, è ragionevole che la dimostrazione in questione non trovi riferimento in fatti eccessivamente risalenti, cui segue un lungo intervallo opaco fino alla data dell'8 marzo 2020, e anche oltre, in cui lo straniero potrebbe essersi allontanato dal nostro Paese, per farvi poi ritorno allo scopo di beneficiare della sanatoria, anche con la compiacenza del presunto datore di lavoro. Pertanto è illegittima una circolare della Prefettura territorialmente competente la quale, in sovrapposizione alla normativa statale predetta, detti una prescrizione, evidentemente vincolante per lo Sportello unico territoriale (e solo per quello), che ritiene valide come prove di soggiorno sul territorio italiano, ai fini della concessione del beneficio in parola, solo i documenti di data certa a partire dal 1° gennaio 2018.
T.A.R. Lombardia, sede di Brescia, sez. I, 6 dicembre 2022, n. 1252

Permesso di soggiorno – Rinnovo – Interruzione soggiorno in Italia – Gravi e comprovati motivi
Ai sensi dell'art. 13 comma 4 del d.P.R. 394/1999, “Il permesso di soggiorno non può essere rinnovato o prorogato quando risulta che lo straniero ha interrotto il soggiorno in Italia per un periodo continuativo di oltre sei mesi, o, per i permessi di soggiorno di durata almeno biennale, per un periodo continuativo superiore alla metà del periodo di validità del permesso di soggiorno, salvo che detta interruzione sia dipesa dalla necessità di adempiere agli obblighi militari o da altri gravi e comprovati motivi”. Pertanto appare legittimo il provvedimento di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno adottato nei confronti dello straniero che sia tornato nel paese di origine per motivi di salute della figlia minorenne e che opponga di non essere potuto rientrare in Italia a causa dell'emergenza sanitaria da Covid, non costituendo tale circostanza un'ipotesi di “gravi e comprovati motivi” – che ai sensi del comma 4 citato consentono di prescindere dalla durata dell'assenza dal territorio nazionale – ove il Ministero abbia dimostrato in giudizio come le frontiere non fossero chiuse per tutta la durata della permanenza all'estero.
Cons. Stato, sez. IV, 16 dicembre 2022, ord. caut. n. 5880
Regolarizzazione del rapporto di lavoro – Certificato idoneità alloggiativa – Comunicazione motivi ostativi ex art. 10, l. n. 241 del 1990 – Buona fede e buona amministrazione
È illegittimo il provvedimento di diniego all'istanza presentata per l'emersione del lavoro irregolare, in ragione della tardiva presentazione del certificato di idoneità alloggiativa in sede di comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento, in quanto il termine ex art. 10-bis l. 241/1990 non è perentorio, non essendo qualificato come tale dalla legge, per cui il riscontro della richiesta oltre detto termine non comporta alcuna decadenza (cfr., per tutte, C.d.S., sez. III, 5 giugno 2015, n. 2775). Pertanto, l'Amministrazione ha l'obbligo di esaminare i documentati chiarimenti resi, sia pure tardivamente, ma prima della chiusura del procedimento, in conformità ai principi di buona amministrazione e di obbligo di correttezza e buona fede.
T.A.R. Campania, sede di Salerno, sez. III, 12 dicembre 2022, n. 3356

Regolarizzazione del rapporto di lavoro – Ricorso avverso il silenzio – Rimessione in termini per errore scusabile – Istanza ex art. 103, d.l. n. 34 del 2020
In ordine all'ammissibilità dell'azione avverso il silenzio serbato sulle istanze di emersione del lavoro irregolare ex art. 103, d.l. 34/20, nonché alla specificazione dell'eventuale termine di conclusione del procedimento, è emerso un contrasto giurisprudenziale. Infatti, ad un orientamento negativo secondo il quale “l'istanza di emersione del rapporto di lavoro irregolare ex art. 103, comma 1, d.l. 19 maggio 2020 n. 34, conv. nella l. 17 luglio 2020 n. 77, non è soggetta ai termini di conclusione del procedimento di cui all'art. 2, l. 7 agosto 1990 n. 241, stante la previsione nel comma 4 del medesimo art. 2 dell'esclusione della materia dell'immigrazione dal l'intero sistema dei termini previsti per i procedimenti amministrativi” (cfr. ex multis, T.A.R. Lazio, Latina, sez. I, 11/06/2021, n.380), formatosi sulla scorta di quanto ritenuto dal Consiglio di Stato con riferimento alla precedente procedura di emersione del lavoro irregolare di cui all'art. 5, d.lgs 109/12 (cfr., ex multis, Consiglio di Stato sez. III, 13/05/2015, n.2384), se ne è contrapposto un altro, alla stregua del quale “in materia di domanda di emersione dal lavoro irregolare di cui all'art. 103, comma 1, d.l. n. 34 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 luglio 2020, n. 77, sussiste un termine entro il quale l'amministrazione procedente deve concludere il procedimento” (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 06/10/2021, n.2145). Da ultimo, il Consiglio di Stato, da un lato rivedendo il proprio precedente orientamento teso ad escludere la giustiziabilità del silenzio dell'amministrazione nelle procedure di emersione del lavoro irregolare e disattendendo la tesi secondo la quale “non essendo rinvenibili nell'ordinamento termini specifici e diversi, deve applicarsi il termine di 30 giorni” (in questo senso T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 06/10/2021, n.2145), dall'altro ha affermato, quanto all'individuazione del termine di conclusione del procedimento, come lo stesso “deve essere chiuso nel termine di 180 giorni, e ciò in quanto ai sensi dell'art. 2, comma 4, l. 7 agosto 1990, n. 241, la materia dell'emersione deve ritenersi esclusa dall'intero sistema dei termini per il procedimento amministrativo previsto dai tre commi dell'art. 2 e, a maggior ragione, dal termine più breve previsto dal relativo comma 2” (Consiglio di Stato sez. III, 09/05/2022, n.3578). Tanto chiarito, l'evidenza del descritto, duplice, contrasto giurisprudenziale formatosi in pendenza del termine decadenziale entro il quale parte ricorrente avrebbe potuto e dovuto proporre la domanda secondo quanto affermato da ultimo dal Consiglio di Stato in tema di ammissibilità e tempestività dell'azione avverso il silenzio, integra quella situazione di incertezza che giustifica la rimessione in termini per errore scusabile.
T.A.R. Campania, sede di Salerno, sez. III, 20 dicembre 2022, n. 3535

Permesso di soggiorno – Rigetto – Conoscenza lingua italiana – Gravi limitazioni all'apprendimento – Dislessia – Difetto di motivazione del provvedimento
Per il rilascio del permesso di soggiorno CE di lungo periodo l'art. 9 del d.lgs. 286/98 richiede allo straniero “(il) possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità” la dimostrazione della “disponibilità di un reddito non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale e, nel caso di richiesta relativa ai familiari, di un reddito sufficiente secondo i parametri indicati nell'articolo 29, comma 3, lettera b)…” (comma 1) e, in ogni caso, il superamento, da parte del richiedente, “di un test di conoscenza della lingua italiana le cui modalità di svolgimento sono determinate con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca” (comma 2-bis). L'art. 1 comma 3 del D.M. del Ministro dell'Interno 4.6.2010 (recante modalità di svolgimento del test di conoscenza della lingua italiana, previsto dall'articolo 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), prevede inoltre che “le disposizioni del presente decreto non si applicano: […] b) allo straniero affetto da gravi limitazioni alla capacità di apprendimento linguistico derivanti dall'età, da patologie o da handicap, attestate mediante certificazione rilasciata dalla struttura sanitaria pubblica”. Pertanto è illegittimo il provvedimento che nega il rilascio del permesso di soggiorno, in quanto carente di motivazione, ove affermi che la dislessia non costituisca grave limitazione alle capacità di apprendimento e quando non risulti, né in sede procedimentale né nel corso del giudizio, in forza di quali accertamenti medici e/o pubblicazioni scientifiche di settore l'Amministrazione sia giunta a tale conclusione. Infatti, la giurisprudenza ha affermato che le difficoltà fisiche, che potrebbero impedire lo svolgimento dell'esame (quali ad esempio limitazioni agli arti) non sono prese in considerazione dalla sopra citata norma quali esimenti dall'obbligo di dimostrazione della conoscenza della lingua italiana (cfr. T.A.R. Liguria, sez. II, 02/05/2018, n. 409) mentre la stessa è chiara nell'escludere esclusivamente i soggetti affetti da patologie che limitano l'apprendimento linguistico (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. 1 ter, 30/11/2018, n. 11633).
T.A.R. Sicilia, sede di Palermo, sez. II, 23 dicembre 2022, n. 3738

Regolarizzazione rapporto di lavoro – Art. 103, d.l. n. 34 del 2020 – Requisiti – Permanenza sul territorio italiano – Artt. 8 e 9 CEDU
Al co. 3, art. 103, d.l. 34 del 2020 è stato previsto un particolare canale di “regolarizzazione”, svincolato dall'emersione dal lavoro irregolare. A mente di tale disposizione, infatti, “per le medesime finalità di cui al comma 1, i cittadini stranieri, con permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019, non rinnovato o convertito in altro titolo di soggiorno, possono richiedere con le modalità di cui al comma 16, un permesso di soggiorno temporaneo, valido solo nel territorio nazionale, della durata di mesi sei dalla presentazione dell'istanza. A tal fine, i predetti cittadini devono risultare presenti sul territorio nazionale alla data dell'8 marzo 2020, senza che se ne siano allontanati dalla medesima data, e devono aver svolto attività di lavoro, nei settori di cui al comma 3, antecedentemente al 31 ottobre 2019, comprovata secondo le modalità di cui al comma 16”. Il requisito del non aver lasciato l'Italia in seguito all'8 marzo 2020 (e fino al termine della procedura di emersione da parte dell'amministrazione), è stata, in particolare, inserita dal legislatore in quanto ritenuta significativa della volontà dello straniero di permanere sul territorio nazionale in modo stabile e continuativo. Da ciò si desume l'impossibilità dell'equiparazione di due situazioni ben distinte, quella, dell'aver lasciato il territorio italiano (intesa nell'accezione di essersi recati al di fuori dei confini nazionali in maniera immotivata o comunque per motivazioni irrilevanti dal punto di vista giuridico e per un periodo di tempo prolungato), e quella dell'essersi momentaneamente allontanati dall'Italia, per un lasso temporale circoscritto e per poter esercitare un diritto fondamentale dell'individuo, quello al rispetto della vita privata e familiare, tutelato sia dalla Costituzione all'art. 29 sia a livello europeo ed internazionale, nello specifico dall'art. 9 della Carta Fondamentale dei Diritti dell'Unione Europea e dall'art. 8 CEDU. È pertanto illegittimo il provvedimento di diniego della regolarizzazione fondato sul fatto che lo straniero si è allontanato dall'Italia per assistere il padre malato.
Cons. Stato, sez. II, 27 dicembre 2022, n. 11385

Cittadinanza – Documentazione priva di legalizzazione – Regolarizzazione – Principio di autoresponsabilità e leale collaborazione – Onore probatorio – Art. 2697 c.c.
È legittimo il provvedimento di diniego al rilascio della cittadinanza italiana se lo straniero ha prodotto documentazione priva di legalizzazione ed è stato, in due successive occasioni, invitato a regolarizzare la propria posizione. Infatti, si deve applicare non il meccanismo del comma 2, art. 3, del D.P.R. n. 362 del 1994, bensì quanto previsto dal successivo comma 3, ai sensi del quale “Qualora l'adempimento risulti insufficiente, o la nuova documentazione prodotta sia a sua volta irregolare, l'autorità dichiara inammissibile l'istanza, con provvedimento motivato, dandone comunicazione all'interessato ed al Ministero”. Inoltre, l'obbligo di presentare documentazione autentica discende, oltre che dallo stesso art. 1 del D.P.R. n. 362 del 1994, da un canone generale di diligenza, autoresponsabilità e leale collaborazione fra le parti, per come da ultimo positivizzato in relazione a qualsiasi tipo di rapporto tra amministrazione e privati dall'art. 1, comma 2 bis della l. 241 del 1990. Sicché non spetterebbe comunque all'amministrazione accertare e dimostrare la consapevolezza da parte dello straniero di suddetta falsità, a fronte della semplice allegazione da parte di quest'ultimo della propria estraneità circa l'illecita falsificazione. Infatti, resta in ogni caso valida la regola generale in materia di riparto dell'onere probatorio, sancita dall'art. 2697 c.c.
Cons. Stato, sez. III, 28 dicembre 2022, n. 11512

Regolarizzazione rapporto di lavoro – Art. 103, d.l. n. 34 del 2020 – Congiunti non conviventi – Autonomi nuclei familiari – Reddito minimo per la regolarizzazione
L'art. 103, comma 6, del decreto-legge n. 34 del 2020 dispone che “con il medesimo decreto di cui al comma 5 sono altresì stabiliti i limiti di reddito del datore di lavoro richiesti per l'instaurazione del rapporto di lavoro, la documentazione idonea a comprovare l'attività lavorativa di cui al comma 16 nonché le modalità di dettaglio di svolgimento del procedimento” e il richiamato comma 5 effettua rinvio ad un DM del Ministero dell'Interno. Il Ministero dell'Interno ha dato attuazione alla richiamata previsione con il DM 27 maggio 2020, che all'art. 9 disciplina i “requisiti reddituali del datore di lavoro”. Nell'ambito di tale disciplina appare illegittima la prassi seguita dalla Prefettura e dall'Ispettorato del Lavoro di Firenze di distinguere se i congiunti non conviventi abbiano o meno loro nuclei familiari, in caso affermativo stabilendo una quota parte del loro reddito, riferita al mantenimento della loro famiglia, e dunque da scorporare dal reddito utilizzabile, assieme a quello del datore di lavoro, per raggiungere il reddito minimo di legge necessario alla regolarizzazione. Tale operazione ermeneutica è priva di base normativa. Sul profilo specifico del requisito reddituale del datore di lavoro, il sistema disciplinare è, infatti, costituito dal d.l. n. 34/2020 e dal DM 27 maggio 2020, essendo da escludere che tale sistema sia ulteriormente integrato e modificato da atti ulteriori provenienti da soggetti diversi dal Ministero dell'Interno. L'art. 9 del DM citato prevede che “il coniuge ed i parenti entro il secondo grado [del richiedente] possono concorrere alla determinazione del reddito anche se non conviventi”, senz'altra specificazione, il che evoca un richiamo al reddito di questi ulteriori soggetti, come risultante dagli atti che ordinariamente sono idonei a far emergere il reddito delle persone fisiche. Non appare quindi legittimo che le singole Prefetture stabiliscano di conformare in modo diverso il reddito dei congiunti, per esempio scorporando dal reddito stesso una quota parte, ritenuta necessaria per la sopravvivenza dei congiunti stessi o addirittura ritenendo non utilizzabili redditi di congiunti in quanto valutati necessari per il mantenimento di autonomi nuclei familiari.
T.A.R. Toscana, Firenze, sez. II, 28 dicembre 2022, n. 1544